Rifiuto di depositare atti, stralcio delle vesti in pubblica piazza e richieste di mandati di cattura senza nessuna cognizione di ciò che si sta facendo. A questo si è ridotto l'ufficio del promotore di giustizia vaticano. 

L'ufficio del promotore di giustizia sta mettendo in serio imbarazzo, non solo lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede, ma anche tutti quei governi che, tramite le nunziature, hanno fornito il loro assenso alle assurde pretese avanzate. A partire dal tribunale milanese, il quale si è trovato ad assecondare le richieste di arresto e di sequestro del cellulare dell'imputata Marogna, salvo vedersi bacchettati dalla Corte di Cassazione; passando per l'Inghilterra dove i giudici hanno fatto saltare le tesi del promotore di giustizia, fino a giungere in Europa centro meridionale dove ora la Slovenia si trova in serio imbarazzo per le assurdità ipotizzate e mai provate oltre Tevere. 

La Corte di Cassazione, difatti, in merito al mandato d'arresto richiesto dal promotore di giustizia ha bacchettato i magistrati vaticani specificando che: 

la richiesta di arresto formulata sulla base della Convenzione ONU di Merida è una argomentazione erronea. "In primo luogo perché la Convenzione può venire in applicazione solo in assenza di trattato e tra le Parti esiste un accordo specifico in tema di estradizione (l'art. 22 del Trattato del Laterano), che ammette soltanto la estradizione verso l'Italia; inoltre, la Convenzione di Merida non contiene alcun riferimento all'estradizione del cittadino e richiede comunque all'art. 44, par. 6, che lo Stato parte, che subordini l'estradizione all'esistenza di un trattato, effettui una espressa dichiarazione a tal fine (adempimento che lo Stato italiano non ha compiuto)."

La Corte, dopo aver spiegato ai magistrati vaticani come funzionano le cose, ha quindi ritenuto che l'arresto era illegittimo. Oseremmo dire che errori di questo tipo da parte di professori di procedura penale sono alquanto grossolani. Della decisione del giudice inglese avevamo già parlato. 



Qui la sentenza della Cassazione Italiana

Il rifiuto di depositare gli atti

Il 27 luglio 2021 il presidente del Tribunale Vaticano aveva ordinato il deposito di tutti gli atti da parte dell'Ufficio del promotore di giustizia. Difatti durante l'udienza di quel giorno vennero sollevate dalle difese tutte le eccezioni in merito alle violazioni del codice di rito fatte dal promotore di giustizia. Nonostante quell'ordinanza però il 9 agosto 2021 i promotori scrivono al Tribunale sollevando l'inopportunità di questo deposito.

Con una goffaggine assurda scrivono: "Una difesa (Gianluigi TORZI) ha rilevato che nel doc. n. 251 dell'indice non è contenuta, tra gli allegati, la dichiarazione di FELACE. Essa è allegata al n. 12 della presente produzione documentale." Come a dire, bravi loro, eccola qui. Probabilmente, torniamo a ribadire, la procedura penale non è molto chiara perché gli atti vanno depositati PRIMA e non a istanza delle parti.

Continuano scrivendo: "Tutto il materiale estrapolato e/o estrapolabile dai dispositivi elettronici potrà essere reperito dalle difese all'interno degli hard disk degli apparati sequestrati; in ogni caso, nel corso dell'istruzione dibattimentale gli operanti potranno provvedere alla stampa e/o alla individuazione di qualunque contenuto informatico presente nei dispositivi sequestrati." Addirittura sostengono che vi sia impossibilità al deposito perchè "quanti hanno presenziato agli atti istruttori non hanno dato consenso alla riproduzione ed alla divulgazione in qualsiasi forma dei file contenenti le registrazioni e virgola anzi, hanno accettato la registrazione sul presupposto e nella consapevolezza che la stessa fosse funzionale solo ad una piu fedele verbalizzazione degli atti". 

Quindi, in ogni caso, se i legali avessero bisogno gliele facciamo avere durante il dibattimento, che si preparino oppure no, è ininfluente. Visto e considerato che chi ha detto quello che ha detto, non vuole che gli altri lo sentano, allora mandiamo queste persone a processo senza garanzia alcuna. Eppure nell'89 alla Sapienza i diritti umani fondamentali si insegnavano eccome. 

Durante quell'udienza però, come riferisce senza nascondere lo sconcerto, lo stesso Pignatone "il Promotore di giustizia aveva chiaramente affermato che la videoregistrazione era stata effettuata con la piena consapevolezza e il consenso di tutti partecipanti e che non c'era alcun problema che ne impedisse il deposito."



Documento 09 agosto del Promotore di giustizia al Tribunale

Grazie a tutto questo trambusto si arriva all'udienza del 06 agosto e ci si ritrova punto e a capo. Le difese contestano il rifiuto da parte del promotore di giustizia di eseguire un'ordinanza e il promotore ritorna sulle sue parlando anche di una "richiesta sorprendente" ovvero la "restituzione degli atti" all'Ufficio del Promotore di Giustizia per procedere al "corretto interrogatorio" di alcuni indagati. Sostanzialmente Diddì vuole interrogare quei soggetti che, gli è stato contestato, non ha mai sentito rendendo vana tutta l'attività compiuta. Difatti gli imputati MAROGNA e BECCIU non sono mai stati sentiti dal promotore, in nessuna veste processuale. Addirittura per la prima hanno avanzato un mandato di cattura e una richiesta di estradizione ma mai è stato richiesto un interrogatorio. Soltanto ora il promotore si sveglia e chiede al Tribunale di poter risanare i propri "peccati". 

Così, il 06 ottobre 2021 il Presidente nuovamente riordina il deposito di tutti gli atti: "Nel merito, si deve in primo luogo osservare che il deposito degli atti richiesti dalle Difese appare indispensabile al fine di assicurare la p a r condicio delle parti nella conoscenza degli atti e quindi il rispetto del principio del contraddittorio, che - con riguardo alla materia in esame - non può che essere attuato in piena rispondenza a quanto previsto dall'art. 358, comma 1, n. 4 cp.p. (in forza del quale il difensore ha facoltà [...] di esaminare in cancelleria gli atti e documenti e ivi estrarne copia»): è quest'ultima norma che preclude il ricorso a forme di ostensione diverse da quelle previste dal codice di rito."

Non le manda a dire Pignatone, il quale scrive: "Infine, non si comprende come la tutela della riservatezza possa cssere messa a rischio dalla pubblicità, propria della sede dibattimentale, di atti (gli interrogatori) che per loro natura non sono sottoposti a segreto o di dichiarazioni (come quelle rese da Mons. Perlasca) che lo stesso Promotore ha indicato come fonti di prova e ha ripetutamente evocato per motivare la sua richiesta di citazione a giudizio degli imputati."

Ma la domanda è la seguente: come mai il giudice istruttore ha rinviato a giudizio senza aver visto tutto questo fascicolo? 



Ordinanza 06 ottobre 21

Magistrati che non conoscono lo Stato

Dalla registrazione agli atti si evince che il promotore di giustizia professor Alessandro Diddì,  il 23 novembre 2020, mentre Mons. Alberto Perlasca è intento a sottolineare, più volte, che non ha mai visto e conosciuto Cecilia Marogna, l'avvocato romano resta perplesso quando il prelato cita il pontificio consiglio Cor Unum. Il Promotore aggiunto dice: "Cos'è sto Cor?". 

Ora ci domandiamo, voi vi immaginereste mai di andare in una delle numerose procure della Repubblica Italiana, riferire ad un magistrato di essere a conoscenza di fatti avvenuti in un ministero e sentire il pubblico ministero rivolgersi al poliziotto e dire: " Il ministero?". Sostanzialmente, come già abbiamo detto negli articoli precedenti, Diddì non ha la minima idea di come funzioni lo Stato della Città del Vaticano. Riteniamo davvero che questi soggetti siano idonei a effettuare atti in nome del Sommo Pontefice? 

Il Pontificio Consiglio Cor Unum nasce nel 1971 dietro impulso del Concilio Ecumenico Vaticano II, Giovanni Paolo II poi diede un compito specifico di accompagnare l'attività di Caritas Internationalis. 

G.M.

Silere non possum