C’è una caratteristica che attraversa oggi le nuove generazioni con la forza di un sintomo collettivo: una aridità del desiderio, una fatica profonda nel percepire il valore e la bellezza della realtà. È come se il cuore non avesse più presa sull’esperienza. Molti adulti interpretano questo fenomeno come pigrizia, fragilità psicologica o mancanza di valori; ma le radici sono molto più profonde. L’aridità non è un difetto morale: è una condizione antropologica che riguarda la struttura stessa dell’io.
Don Luigi Giussani aveva visto tutto questo con decenni di anticipo. Parlava di giovani incapaci di stupirsi, «una carenza atroce di stupore di fronte alla bellezza» e una «incapacità recettiva della bellezza». Ma questa diagnosi non è un’impressione pedagogica; trova eco in due dei più grandi esploratori del cuore umano: Blaise Pascal e Agostino d’Ippona.
Pascal osserva che l’uomo riempie la vita di rumori e diversivi per non affrontare il vuoto che ha dentro: è l’esperienza del divertissement. «Gli uomini disprezzano la religione; la odiano, e hanno paura che sia vera». L’aridità contemporanea è un’evoluzione di questa stessa dinamica: l’uomo teme ciò che potrebbe davvero metterlo in gioco, e così si consegna a ciò che non lo sfida. Si rende impermeabile. Per questo Pascal aggiunge che «il cuore sente» prima che la ragione stabilisca: quando il cuore è muto, tutto il resto diventa opaco.
Agostino, nelle prime pagine delle Confessioni, descrive un’esperienza che sembra scritta per i giovani di oggi: «Tu lo risvegli al piacere di cantare le tue lodi, perché per te ci hai fatti e il nostro cuore è inquieto finché in te non trova pace». L’inquietudine è il segno della vitalità; la sua assenza è l’indizio di un cuore che non percepisce più il proprio scopo. L’aridità delle nuove generazioni è, anzitutto, la perdita di questa inquietudine originaria. Non perché non desiderino, ma perché non sanno più dove dirigere il desiderio. È un’inquietudine senza oggetto, un appetito senza sapore. In questo vuoto si inserisce l’esperienza tipica della reattività. Giussani osservava che l’uomo moderno «reagisce» più di quanto giudichi; si muove per impulsi, non per attrazione. Una vita così è povera, perché non conosce il peso della realtà. Agostino aveva già percepito questo rischio quando confessa di essere entrato «più profondamente nella tempestosa comunità della vita umana» senza però sapere che cosa realmente cercasse. Quella tempesta oggi ha il volto della iperconnessione, del consumo emotivo, del bisogno continuo di stimoli.
Lo snodo decisivo è qui: se il cuore è arido, non basta un’etica, non basta uno sforzo, non basta un insieme di regole. Pascal lo dice: «Non mi sembra che avrebbe fatto molti passi avanti per la sua salvezza» colui che, pur conoscendo verità astratte, non è toccato da esse. La verità non muove l’uomo se non nella forma dell’esperienza. Ed è precisamente in questo punto che il metodo di Giussani mostra la sua potenza: riconsegnare l’uomo all’esperienza, riaprire i sensi del cuore, ridestare quella capacità recettiva che l’aridità ha anestetizzato.
Giussani afferma che la decisione, la moralità, la libertà non nascono dallo sforzo, ma da una attrattiva: «Io sono costituito da questa attrattiva». La vita riparte quando qualcosa o qualcuno ferisce il cuore, lo smuove, lo trascina fuori dall’indifferenza. È lo stesso dinamismo che Agostino descrive quando supplica: «Sono davanti a te le orecchie del mio cuore: aprile e dillo all’anima». Il cuore umano è fatto per ascoltare una voce che lo chiama; la sua aridità deriva dall’assenza di quella voce, o dall’incapacità di riconoscerla in mezzo al rumore. Il cristianesimo, per Giussani, non è un sistema di norme né un insieme di dogmi: è un avvenimento di bellezza che riapre l’accesso al reale. In questo senso è profondamente pascaliano. Pascal scrive che «tutte le cose coprono qualche mistero» e che sono «veli che coprono Dio». L’aridità contemporanea nasce dal fatto che non si percepisce più alcun velo, alcuna profondità, alcun mistero nelle cose. La realtà è piatta, e il cuore appassisce in questa bidimensionalità. Il metodo giussaniano restituisce invece alla realtà la sua forza di segno. Rimette il giovane davanti a ciò che accade, nella sua evidenza concreta, e lo invita a domandarsi: che cosa c’entra con me? Perché questo fatto mi attrae o mi disturba? Quale corrispondenza risveglia in me? In altre parole, riattiva l’esperienza elementare del cuore, quella che Pascal chiamava “ordine del cuore” e che Agostino viveva come la sete dell’Infinito. L’aridità non è vinta dalla volontà, ma dall’incontro. È vinta quando appare qualcosa di così vero e bello da scardinare la chiusura. Pascal, parlando della grandezza e miseria dell’uomo, nota che «più si va avanti nella conoscenza dell’uomo, più sorgono terre ignote»: il cuore è un territorio inesauribile, ma può irrigidirsi fino a non riconoscersi più. L’aridità nasce proprio da questa perdita di profondità.
L’incontro cristiano - come lo intende Giussani - non aggiunge analisi psicologiche, non fornisce ricette educative, non propone strategie motivazionali. Fa una sola cosa: restituisce il cuore a sé stesso. È ciò che accade quando Agostino esclama: «Che cosa sei per me? … Dillo all’anima: sono la tua salvezza. E io correrò dietro a questa voce». È l’irruzione di una presenza che ridà consistenza al desiderio. L’emergenza antropologica delle nuove generazioni non si risolve con un’aggiunta di doveri né con un cambiamento di linguaggio. Si risolve rimettendo il giovane davanti a un fatto che lo sorprende. Perché la vera alternativa alla aridità non è l’impegno: è la corrispondenza. Quando qualcosa corrisponde, il cuore riprende a battere.
In questo senso ciò che ci ha consegnato Giussani non è un metodo educativo tra altri: è una metodologia dell’umano. Non parla a una generazione specifica, ma alla struttura universale del desiderio. E proprio per questo è la risposta più adeguata a una condizione che sembra senza sbocco: non perché proponga una teoria, ma perché custodisce un’esperienza in cui la bellezza torna a ferire e la realtà torna a brillare. L’aridità non è l’ultima parola. Può diventare, come diceva Pascal, il luogo in cui l’uomo scopre «un Dio che ricolma l’anima e il cuore» e lo rende «incapace di altro fine se non lui stesso». È il punto da cui tutto può ricominciare.
d.M.S.
Silere non possum