Sono sempre più numerosi i casi di accuse infondate, costruite ad arte, contro sacerdoti. Si parte da lettere anonime con accuse generiche sui costumi, si passa ad “accuse gravi” mai circostanziate ma infamanti, fino a giungere a vere e proprie accuse di abusi sessuali. Come abbiamo visto per i casi di suore e sacerdoti accusati di avere legami con la mafia, i magistrati seguono uno schema ben preciso e non si preoccupano delle prove ma guardano a ciò che dice la stampa. I preti e le suore, poi, sono bersagli facili.
Alcuni casi sono emblematici e, chissà come mai, riguardano spesso una regione italiana. Si tratta di quelle realtà, poco sviluppate, dove le alternative per qualcuno sono poche: o vendo le arance o circuisco politici o circuisco preti. Semplice ed indolore, per qualcuno.
Nei giorni scorsi in televisione è andata in scena l’ennesima scenetta ridicola messa su da uno di questi giovani che, cacciati dal seminario o mai fatti entrare, accusano il loro obiettivo e hanno il chiaro fine di rovinargli la vita. Si tratta di personaggi realmente pericolosi perché recitano una vera e propria parte. La maggior parte delle volte, peraltro, questi ragazzini non hanno accettato la loro sessualità e quindi entra in gioco anche questo aspetto che diventa una vera e propria lotta. Provenendo da determinate realtà, infatti, ammettere di essere omosessuali in famiglia diventa problematico perché si rischia di essere cacciati di casa, quando va bene.
Nei salotti televisivi vengono sempre invitati personaggi discutibili che fanno i soldi scrivendo libretti dove speculano sulla vita altrui. Difficilmente in questi programmi troverete qualcuno che pone domande specifiche che facciano emergere la verità dei fatti. Il copione, però, è sempre lo stesso: “Io mi sono aperto tanto, mi sono fidato tanto, poi lui mi ha usato per i suoi scopi”. Addirittura, quando l’ipocrisia giunge all’apice, si parla di “voracità sessuale”. Il racconto viene sempre condito da considerazioni che non hanno nulla a che vedere con “l’abuso”. Ad esempio, “era seminarista ma già faceva le cose da prete” oppure “era il cocco del vescovo” o ancora “era sempre spavaldo”. Considerazioni che fanno comprendere come ci sia, in realtà, una vera e propria gelosia e invidia nei confronti di qualcuno che magari ha avuto una storia, magari ha provato ad instaurare una relazione ma poi, come tutti i figli di Dio, liberamente ha scelto di chiudere. Quella chiusura, però, diventa una colpa.
Visto che uomini e donne non sono diversi, la dinamica è sempre la solita ed è quella tipica della fidanzata che si sente tradita, offesa dalla scelta dell’amato. La risposta è la più comune: ti rovino la vita. Figuriamoci, queste dinamiche qualche magistrato non le riesce ad ammettere neppure quando avvengono fra uomo e donna (perché l’unica vittima è sempre e solo la donna!!), figuriamoci se ci mettiamo anche le considerazioni morali, che dovrebbero essere estranee al diritto, quando ad essere coinvolto è un sacerdote o una religiosa.
L’attività dei vescovi o dei superiori maggiori
Spesso le criticità nascono da una incompetenza nel gestire la questione. A volte ci troviamo di fronte a vescovi, solitamente moralisti, che non distinguono fra “atti consenzienti” ed “atti non consenzienti” o “atti con minori” e “atti con maggiorenni” o “atti fra minori”. Del resto, anche la preparazione è quella che è.
Oggi, però, questo rischio è reale anche nell’ambito penale statale. La scenetta di cui abbiamo parlato, infatti, riguarda la storia di un ragazzo che si trovava in parrocchia ed era entrato in relazione con questo seminarista. Il giovane aveva confidato al seminarista di voler entrare in seminario ma di essere combattuto per il suo orientamento sessuale.
Si tratta di atti che sono avvenuti, quindi, fra un ragazzo che aveva superato i 14 anni con un giovane-adulto. L’età del consenso era ampiamente superata e oggi fare considerazioni su questo tipo di cose è ipocrisia pura. Al momento attuale abbiamo i giovani che a 12 anni hanno già consumato i loro rapporti. Un sedicenne è ben consapevole di ciò che fa, anzi spesso è proprio lui a ricercare alcune esperienze perché è nell’età della scoperta, ed è capace di interrompere ciò che sta facendo. Tutto questo, chiaramente, quando gli atti sono consenzienti e non c’è violenza né fisica né psicologica.
Il compito del vescovo, quindi, è molto chiaro: verificare se le accuse che vengono mosse hanno un fondamento e se rientrano nel quadro del “penalmente rilevante”. Nella situazione attuale dove la comunicazione anche delle diocesi è affidata ad incompetenti giornalisti, è bene sottolineare alcune questioni pratiche.
1. Quando qualcuno chiede un incontro per questo tipo di “accuse” è bene che non sia il vescovo ad incontrare gli interessati o chi per loro. Ci sono gli organi competenti o si invia al Vicario Generale.
2. Gli incontri devono essere registrati. Bisogna registrare tutto dall’inizio alla fine (tanto lo fanno già loro e rischiate che poi lo taglino a piacimento)
3. Non bisogna mai comunicare tramite cellulare o computer riguardo a questi temi. I mezzi da utilizzare sono: l’incontro personale a porte chiuse e la lettera cartacea.
Iniziamo a riscoprire la doppia busta e diffidiamo dai cellulari e dalle e-mail. Sono mezzi che oggi vengono utilizzati anche dalla magistratura in modo illegale. Quando venite intercettati, il magistrato di turno sceglie quale spezzone tagliare e consegnare al giornalista così da farvi apparire colpevoli anche quando non avete detto nulla di ciò che viene scritto.
4. Quando si presentano i genitori o lo stesso accusatore è necessario far firmare un documento nel quale viene scritto, punto per punto, ogni cosa che è stata detta ed ogni accusa. Il denunciante deve poi firmarlo e assumersi la responsabilità di ciò che dice.
5. Subito dopo bisogna convocare il sacerdote e renderlo partecipe di ciò che è stato detto. Non bisogna nascondere nulla in quanto le persone devono essere in grado di difendersi.
6. Se le accuse si rivelano infondate o riguardano, appunto, atti che erano consenzienti che poi si è scelto di interrompere o “riorientare” è dovere della diocesi e dello stesso chierico procedere a denunciare.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che bisogna prendere in seria considerazione. L’esigenza attuale è quella di difendere chi viene falsamente accusato e tutelare la buona fama dei nostri presbiteri. Il vescovo o i suoi delegati non possono pensare di fare “pie considerazioni” riguardo a queste accuse o comunque pensare che chi bussa alla porta dell’episcopio lo faccia con animo sincero. Non c’è alcun animo sincero in queste persone e se bussano lo fanno perché hanno il chiaro fine di rovinare la vita dei singoli, delle diocesi stesse e, soprattutto, vogliono soldi.
Pensando al caso concreto emerso in televisione l’altra sera, il vescovo è ora oggetto di una vera e propria campagna diffamatoria. Non solo lui. Basta guardare l’account Facebook di questo ragazzino represso per rendersi conto che ogni tanto appaiono post dove pubblica foto del vicario generale o di altri preti con frasi condite da considerazioni che sono da querela. Tutto è possibile perché nel mirino c’è il prete. Se poi sono anche ben protetti perché i magistrati gli danno corda, allora tutto è ok.
L’errore che il vescovo ha fatto in passato, però, è proprio quello di parlare al telefono di queste cose. Intercettazioni illegali che piacciono tanto ai PM e che vengono vendute ai giornalisti con taglia e cuci. In quelle registrazioni, però, il presule non ha detto nulla di sbagliato: si tratta di una cosa che avete fatto - parlando con il prete ndr - e ora questo si vendica.
Poi il vescovo si meravigliava al telefono del fatto che un confratello sessantenne - a parere del presule - avesse fatto le stesse cose (non gli abusi, appunto, ma cose consenzienti!) ma queste non sono mai emerse sulla stampa. Certo, considerazioni imprudenti e soprattutto meno male che non emergono visto che riguardano la sfera privata del singolo. La spiegazione, però, è semplice. Sicuramente gioca un ruolo l’età e poi evidentemente non si trattava di ragazzini irrisolti con volontà vendicative.
Le valutazioni scritte sopra, che dovrebbero essere un vero e proprio modus agendi da manuale, le abbiamo elaborate alla luce di casi concreti che abbiamo visto o di cui ci siamo occupati anche in sede giudiziaria. Pensiamo, ad esempio, a quanto accaduto a Milano ai danni di un sacerdote che in realtà era innocente. Accuse false, una madre pazza alla ricerca di denaro, registrazioni di vescovi carpite di nascosto, ecc..
I casi sono moltissimi. Noi di Silere abbiamo parlato delle false accuse mosse da un ragazzetto siciliano ai danni di un prete di Piana degli Albanesi dopo aver circuito canonici di Santa Maria Maggiore e avergli svuotato i conti corrente. Le dinamiche sono sempre le solite e sono da manuale, per questo motivo abbiamo spesso messo in guardia dai ragazzini irrisolti che girano attorno al prete di turno. Sono tutti fatti con lo stampino. Talari, pizzi, candelieri, girocolli, cremine, dopobarba…
Individuano la loro preda e diventano delle vere e proprie zavorre alle calcagne. Ad ogni celebrazione liturgica sono lì, o in sagrestia o sull’altare. Devono sempre mettere bocca su tutto e se qualcuno entra nel raggio di 500 metri del parroco o del curato che loro hanno abbindolato iniziano a dare di matto. A Santa Maria Maggiore, ad esempio, c’era chi sceglieva addirittura l’arredo di casa, i tappeti, la disposizione di mobili.
Certo, qualcuno potrà anche sollevare questioni su chi si lascia abbindolare ma il problema è che da un lato c’è una assenza di formazione affettiva-sessuale e dall’altra c’è una dinamica di solitudine. Un mix di cose che, unite ad una ingenuità radicata, portano al disastro più assoluto. Del resto, non ci sarebbe nulla di male se queste cose (non tutte!) rientrassero in una normale amicizia dove a prevalere c’è gratuità e libertà. Ma sappiamo bene che per essere liberi e vivere rapporti gratuiti c’è bisogno di maturità e, soprattutto, non interessi. Chi ha la propria vita, già sistemata, solitamente non segue determinate derive. Il problema, sempre per fare un esempio pensiamo a Santa Maria Maggiore, è quando non hanno casa, non hanno lavoro, non si accettano e magari hanno girato tutti i seminari della penisola e sono stati cacciati.
È chiaro che vedono nella Chiesa un luogo dove mettere radici. Il prete mi trova lavoro, il prete mi tiene a casa, il prete mi porta in vacanza, il prete mi fa fare quello che voglio, il prete non mi giudica. E il sostentamento clero paga.
Tutte storie idilliache che si concludono nel peggiore dei modi. È sufficiente che fai un solo passo senza il loro consenso ed ecco che inizia il calvario. Accuse, vendette, ritorsioni. E queste, cari amici, sono le storie che piacciono agli scrittori e ai presentatori televisivi. In un anno sono già due i “finti abusati” che sono stati ospitati in televisione. Schema sempre uguale: truccati, barba sistemata, giacca, profumino e una serie di accuse sputate in prima tv senza alcuna prova. I loro racconti sono tutti gli stessi e sono conditi da grandi lezioni di moralità. Sono palesi rivendicazioni: “Lui era entrato in confidenza con me ma poi lo ha fatto anche con altri”, “Lui faceva così con tutti i giovani”. Uno schema che viene percorso anche da altre presunte vittime, in questo caso donne (perché appunto siamo tutti uguali), quando accusavano il loro mentore di “chiedere il sesso a tre”.
Ora, immaginatevi voi se queste cose possono essere vere. Semplicemente c’è gelosia. Punto. I motivi possono essere vari, magari anche sbagliati ma ciò non giustifica la menzogna. Se hai avuto dei rapporti consenzienti con una persona e poi questa ti tradisce, interrompe o ti allontana, te ne devi fare una ragione come lo fanno tutte quelle persone mature che terminano le loro relazioni nel “mondo reale”. Noi, molto spesso, viviamo in un mondo tutto nostro. No, invece qui c’è chi pensa di dovertela far pagare e inizia a fare la morale nonostante, due giorni prima era consenzientemente a fare ciò per cui ora ti accusa.
E sono, per fare riferimento a coloro che appaiono in televisione con girocollo e sguardo represso, quelli che poi girano per locali notturni, chat segrete, ecc…
Ecco, forse è il caso di iniziare ad usare una certa prudenza ed anche consapevolezza. È necessario coltivare relazioni sane, solide e con persone risolte non certo con gente che ci fa sentire “i crocerossini” del momento ma che poi, dopo che hanno ottenuto ciò che volevano, prendono e ti rovinano la vita. È necessario affrontare, senza ipocrisia, anche queste accuse false. I vescovi e i superiori devono iniziare a guardarsi allo specchio e comprendere che la maggior parte di queste accuse non sono affatto abusi ma rientrano in questo complesso e malato sistema.
Bisogna iniziare a prestare attenzione a campanelli d’allarme di cui Silere non possum parla da tempo: gente cacciata dal seminario che continua a girare per gli altari con talare e scarpe con le fibbie, ragazzini irrisolti che popolano le sagrestie, vengono solo per suonare l’organo e fanno salotto creando divisione in parrocchia sparlando dell’uno e dell’altro, ragazzetti irrisolti che parlano al femminile e accusano preti e non di essere omosessuali (tutti tranne loro!), ecc… I giovani oggi dicono: red fleg. Ecco, iniziamo a mettere le red fleg sulla testa di determinati personaggi e se ci rendiamo conto che abbiamo timore di queste persone iniziamo ad alzare i tacchi e ad allontanarli dalle nostre realtà.
Vi assicuro che quando si arriva in sede canonica o, peggio ancora, in sede penale, è troppo tardi.
Alcune considerazioni
Vi invitiamo a guardare la puntata andata in onda il 2 gennaio perché vi renderete conto di come lo schema ormai è consolidato. In diversi anni in cui ci siamo occupati, anche in sede canonica, di questi casi lo schema è sempre identico. Questi ragazzini hanno sempre i soliti feticci: Papillon, Cravatte, Pizzi, Giacche con doppio petto, gemelli, ambienti del potere, titoli, rocchetti, soldi… Sempre le stesse e identiche cose. Sono ragazzi che non accettano il loro orientamento sessuale e proiettano sugli altri le loro frustrazioni. “Il parroco fa così”, “il vice parroco è andato lì”, “il collaboratore ha fatto quello”, ecc…
Poi ci sono alcune varianti che si mescolano con gli ambienti universitari o politici, ma quello è già un passo PLUS. Pensiamo a quei personaggi che ambiscono a dottorati e anche lì si intrecciano feticci per titoli, cravattino, linguaggio aulico… Passano il loro tempo a chiedere l’amicizia sui social network a nuove prede da adescare e stanno notte e giorno a guardare i profili social dei loro fetish. Se ti contattano e corrispondi, mettono in atto la loro strategia. Se per caso li rifiuti o non li consideri, puoi star certo che metteranno in giro le peggiori voci su di te.
Con il tempo ci si rende conto che sono strategie che basta farsi scivolare addosso ma è chiaro che, soprattutto per un chierico, non si può neppure stare a farsi ledere la buona fama in silenzio. Il modo per mettere fine a questa deriva, spesso fomentata anche da quelle sarte megere dove compriamo gli abiti, c’è ed è quello di agire in sede giudiziaria. Ancor prima di arrivare lì, però, è bene agire per evitare che queste zecche si attacchino alle nostre realtà.
Questo articolo è stato pubblicato nella sezione abbonati il 4 gennaio 2025. Viene pubblicato anche qui e reso fruibile per tutti a seguito delle numerose richieste pervenute da vescovi e presbiteri. Se volete sostenere il nostro lavoro potete abbonarvi.
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