Silere non possum ne aveva pubblicato in esclusiva il testo sottoposto ai vescovi per l'approvazione. Oggi, 9 gennaio 2025, entra in vigore ad experimentum per tre anni, il documento “La formazione dei presbiteri nelle chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari” (quarta edizione), approvato dalla 78a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi ad Assisi dal 13 al 16 novembre 2023.
Il testo, che è destinato a cambiare a breve visto che Papa Francesco ha voluto una commissione che si spendesse per rivedere la Ratio in ottica sinodale e missionaria (sic!), ha ricevuto la conferma del Dicastero per il Clero.
Emerge, ancora, una volontà di assecondare la moda del momento: la figura della donna e le previsioni sulla tutela dei minori che sono chiaramente superflue in quanto non abbiamo mai pensato di ordinare gente malata. Resta perplessità per la lunghezza dell'iter formativo. Più anni, nella speranza che il tempo supplisca all'incompetenza. Più anni al fine di far stufare le persone.
Si parla di iter formativo al presbiterato articolato in due tempi: una prima fase di carattere iniziatico e la seconda fase è dedicata alla scoperta del Popolo di Dio e al maggiore coinvolgimento della comunità cristiana nella formazione dei candidati al presbiterato.
Si possono osservare con positività alcuni aspetti che, si auspica, vengano valutati con attenzione da coloro che sono chiamati a formare: «La dimensione affettivo-sessuale è un’area di primaria importanza per l’efficacia del ministero presbiterale vissuto in una prospettiva di amore-carità, dono di sé; nella libertà intima e relazionale che nel celibato – secondo la tradizione latina – trova un contesto di particolare fecondità e apertura nelle relazioni con persone, donne e uomini, giovani e anziani, laici, famiglie e consacrate/i, che animano le nostre comunità. L’attuale contesto socio-culturale, insieme a contraddizioni e ambiguità, offre particolari opportunità di crescita più autentica in questo ambito. La libertà con cui si affrontano oggi questi temi è buona premessa perché anche nel contesto della formazione dei candidati al presbiterato ci possano essere frutti di sempre maggiore maturità umana, affettiva, psichica e spirituale».
Il testo riporta un punto della Ratio Fundamentalis che è ed è stato motivo di calunnie e sofferenze per molti: «In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai Seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio Magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne»
Spiace che non si abbia avuto il coraggio di eliminare questo punto, il che però non è possibile per la singola conferenza episcopale. Si tratta di un lavoro che auspichiamo vivamente avvenga al più presto nella Ratio fundamentalis. Per fortuna, però, bisogna apprendere con positività la specifica che è stata aggiunta ed offre una chiave interpretativa sana e che, appunto, nulla c'entra con l'orientamento sessuale ma è rivolta a tutti, eterosessuali e non:
Scrivono i vescovi: «Nel processo formativo, quando si fa riferimento a tendenze omosessuali, è anche opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto, ma, così come per ogni candidato, coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane, affinché, conoscendosi e integrando gli obiettivi propri della vocazione umana e presbiterale, giunga a un’armonia generale. L’obiettivo della formazione del candidato al sacerdozio nell'ambito affettivo-sessuale è la capacità di accogliere come dono, di scegliere liberamente e vivere responsabilmente la castità nel celibato. Infatti, essa «non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui» Inoltre, «il celibato per il Regno dovrebbe essere inteso come un dono da riconoscere e verificare nella libertà, gioia, gratuità e umiltà, prima dell’ammissione agli ordini o della prima professione» Questo non significa solo controllare i propri impulsi sessuali, ma crescere in una qualità di relazioni evangeliche che superi le forme della possessività, che non si lasci sequestrare dalla competizione e dal confronto con gli altri e sappia custodire con rispetto i confini dell’intimità propria e altrui. Essere consapevole di ciò è fondamentale e indispensabile per realizzare l’impegno o la vocazione presbiterale, ma chi vive la passione per il Regno nel celibato dovrebbe diventare anche capace di motivare, nella rinuncia per esso, le frustrazioni, compresa la mancata gratificazione affettiva e sessuale».
Resta alta l'attenzione per quei candidati che hanno lasciato strutture formative in precedenza: «Normalmente si sia molto prudenti nell’accettare un seminarista dimesso da un altro Seminario o casa di formazione». Da un lato, infatti, bisogna prendere in considerazione che vi sono realtà nelle quali il candidato può non essersi trovato bene anche a motivo dei carismi, delle prassi, delle tradizioni del singolo luogo o comunità. Questi devono avere l'opportunità di svolgere il loro discernimento in ambienti sereni e adatti alla loro specifica sensibilità (vocazione monastica, eremitica, religiosa o secolare); dall'altro bisogna prestare massima attenzione per quei "soggetti vaganti" che solitamente occupano i primi posti nelle sagrestie o attorno agli altari ed indossano anche la talare pur non avendone diritto. Solitamente queste persone cercano di entrare in seminario come luogo ove rifugiarsi ma sono realmente pericolosi per la fraternità e per l'Istituzione stessa.
Altro aspetto positivo, frutto di anni di battaglie che sono partite anche da qui, è quanto riguarda la scienza psicologica all'interno del seminario. Tali strumenti sono utilissimi se utilizzati in modo consono. A favore dell'uomo e non contro di esso. Il testo oggi, per fortuna, prevede: «Al termine della valutazione o in qualsiasi momento durante il percorso formativo può determinarsi da parte del candidato l’esigenza e la richiesta per un accompagnamento psicologico sotto forma di psicoterapia.
Qualsiasi ricorso alle scienze umane richiede comunque che i seminaristi prestino la loro cordiale e convinta collaborazione e che siano rispettate due condizioni fondamentali:
1. il libero consenso dell’interessato prima di promuovere qualsiasi intervento; nel caso in cui il consenso non fosse dato, gli educatori, senza ricatti o pressioni, dovranno operare il discernimento in base alle conoscenze di cui dispongono altrimenti;
2. la garanzia del diritto all’intimità: l’opportuna comunicazione al Vescovo, al Rettore e al Direttore Spirituale degli esiti della consulenza psicodiagnostica o del cammino psicologico va fatta, in forma scritta o verbale, preferibilmente dal candidato stesso o, con il suo consenso scritto, dai consulenti. In ogni caso, ogni informazione acquisita attraverso la consulenza psicologica avrà carattere riservato».
I professionisti sono consapevoli che ogni consenso scritto non ha alcuna valenza e, quindi, devono rifiutarsi di firmare alcunché e di rilasciare informazioni. Il candidato, se vorrà, riferirà direttamente ai superiori. Si tratta di una precisazione che i vescovi sono stati chiamati a fare perché gli abusi di coscienza sono sempre più all'ordine del giorno anche in questo ambito. I riferimenti sono ai sistemi promossi da Amedeo Cencini, Enrico Parolari, Giuseppe Sovernigo, ecc....
Nel primo capitolo il documento tenta di rispondere alla domanda su quale prete si debba formare e per quale Chiesa. Per questo, da una parte, si assume la formazione permanente in alcuni suoi elementi, ritenuti necessari al presbitero italiano odierno, come paradigma della formazione in Seminario; dall’altra, si accentuano decisamente le due dimensioni della missione e della comunione come orizzonte fondamentale di tale formazione. Nel secondo capitolo la pastorale vocazionale è presentata come impegno di tutta la comunità ecclesiale, passando poi a specificare le modalità di accompagnamento vocazionale dei ragazzi e dei giovani, basato su una seria formazione spirituale. Si conferma la validità del Seminario Minore, si propongono le comunità semiresidenziali come nuove modalità di accompagnamento e si parla delle vocazioni adulte.
Il terzo capitolo presenta le quattro tappe dell’itinerario formativo proposto dalla Ratio fundamentalis: propedeutica (un anno), discepolare (due anni), configuratrice (quattro anni) e di sintesi vocazionale (un anno). Lo stile fondamentale della proposta educativa chiede di investire sugli obiettivi formativi senza scandire i tempi in modo rigido e predefinito, favorendo la personalizzazione dell’itinerario ed evitando il rischio che le tappe si appiattiscano rigidamente agli anni previsti dagli studi teologici e da altri automatismi.
Nel quarto capitolo si parla della formazione nel Seminario Maggiore che viene presentata come unica, integrale, comunitaria e missionaria: non si esaurisce nell’apprendimento di nuovi contenuti, né si limita ai comportamenti morali o disciplinari, ma deve riguardare il campo delle motivazioni e delle convinzioni personali, è formazione della coscienza.
Il quinto capitolo illustra gli agenti della formazione.