Roma - Papa Leone XIV ha fatto ciò che molti parroci romani aspettavano da oltre un anno: riparare un errore strutturale che aveva paralizzato la diocesi, riportando le cinque Prefetture del Settore Centro sotto un’unica unità pastorale. Un gesto netto, chiaro, privo di fronzoli e di quel linguaggio pneumatico con cui, nell’ottobre 2024, papa Francesco aveva avvolto un provvedimento che non aveva alcun senso né sul piano pastorale né su quello amministrativo.
Per capire la portata di quanto accaduto oggi bisogna tornare a quel Motu Proprio del 2024, scritto – come Silere non possum ha più volte denunciato - sulla base delle idee e delle pressioni di Renato Tarantelli, vicegerente della diocesi di Roma. Nessuna consultazione reale dei parroci, nessun discernimento comunitario, nessun confronto con chi vive la pastorale nei quartieri. Solo un’impostazione ideologica, una riforma costruita a tavolino, come se Roma fosse un plastico modellabile secondo le teorie di qualche urbanista improvvisato.
Il risultato era stato un documento interminabile, un fiume di parole senza sostanza, simile - come Silere non possum fece subito notare - a certi atti difensivi prodotti nei tribunali per confondere il giudice: lunghi, prolissi, apparentemente tecnici, ma poveri di contenuto. Una memoria difensiva, quindi, che però non spiega nulla. La differenza è che, invece di citare sentenze della Cassazione o interpretazioni normative, qui si brandivano la misericordia, la bellezza, la pastorale, perfino gli scrittori russi. Parlare senza dire nulla non è solo un vezzo stilistico: quando si riorganizza la diocesi del Papa, la vaghezza diventa confusione operativa, la confusione si traduce in cattiva pastorale e la vita di fedeli e chierici diventa un inferno quotidiano. Sono questioni che non sfiorano minimamente chi non ha mai fatto il parroco e, fallita la carriera da avvocato, ha ripiegato sul seminario, venendo poi in breve tempo promosso anche vescovo. Del resto, se qualcuno a fare l’avvocato non era capace ed è finito in seminario, un motivo ci sarà. E infatti quel testo portava addosso tutti i segni di chi conosce i codici solo per sentito dire: verbosità senza metodo, concetti gonfiati, metafore inutili.
Il provvedimento di Francesco smembrava il Settore Centro distribuendo le Prefetture fra i quattro settori cardinali. Il tutto veniva presentato come un gesto “sinodale”, frutto di “numerosi interventi” e “richieste già avanzate”. Qui occorre essere onesti: quelle richieste non arrivarono da nessuna parte, se non dalla scrivania di Tarantelli. Le parrocchie, chiamate nominalmente in causa, non ne sapevano nulla. I sacerdoti ascoltati erano pari a zero. La stragrande maggioranza dei presbiteri romani apprese tutto a cose fatte e rimase interdetta.
Il cuore del problema del Motu Proprio “La vera bellezza”
L’intero testo di Francesco si reggeva su un presupposto mai dimostrato: che il centro di Roma fosse talmente isolato e autoreferenziale da dover essere sciolto e “distribuito” negli altri quattro settori. Il Papa lo giustificava con pagine e pagine di riflessioni sulla bellezza, sulla storia della città, sul turismo, sulla teologia dell’incontro. Tutte cose vere, ma totalmente sganciate dalla questione reale: la pastorale ordinaria del Settore Centro non si riorganizza con la prosa ispirata, ma con scelte amministrative coerenti. L’evocazione dell’“unico centro”, dei “ponti”, della “sinodalità geografica” non bastava a dare senso a una riforma che complicava la vita ai parroci, rendeva opaca la linea di comando e, di fatto, svuotava il Settore Centro della sua identità storica e funzionale. Il fine era: smembrare un settore, le motivazioni sono state cucite ed erano motivazioni fumose che hanno creato malcontento e caos.
Leone XIV: la chirurgia dell’essenziale
E così, oggi, Leone XIV, che negli ultimi mesi sta smontando una dopo l’altra norme talmente fragili da non reggersi neppure con la colla, ha finalmente deciso di chiudere questa stagione di confusione. Con il Motu Proprio Immota Manet, lungo appena poche righe ma chirurgico nella sostanza, il Papa ha ristabilito ciò che tutti sapevano da sempre: le cinque Prefetture del Settore Centro costituiscono un’unità organica naturale, pastorale e storica.
E se un provvedimento va corretto, lo si corregge senza imbarazzo: «…stabilisco e dispongo che le cinque Prefetture, dalla I alla V, ritornino a far parte di un unico Settore Centro, che dunque si aggiunge nuovamente agli altri quattro Settori della Diocesi di Roma». Una frase. Una sola. Eppure è bastata a far crollare un intero edificio costruito male. E sia chiaro: non è un gesto contro il predecessore, ma il semplice riconoscimento che quel predecessore era stato manovrato da Renato Tarantelli, come Silere non possum ha sempre denunciato. Il Papa veniva letteralmente imbambolato da lui e da altri del suo giro, e firmava. A pagarne il prezzo erano i parroci. Il Papa lo dice con diplomazia, ma lo dice: alcune considerazioni del testo di Francesco erano legate al Giubileo imminente e sono state smentite dalla realtà stessa del Giubileo, che ha mostrato un Settore Centro omogeneo, specifico, indispensabile come unità pastorale autonoma.
I sacerdoti dell’Urbe guardano ora con speranza al futuro e si augurano che Leone XIV avvii al più presto una vera e propria bonifica anche delle persone, non solo delle norme. Gli sono grati perché, finalmente, il Papa sta tornando a dedicare attenzione reale alla sua diocesi e ai suoi preti.
d.R.M.
Silere non possum
