Città del Vaticano - In questi anni, la gestione della Fabbrica di San Pietro e della Basilica Vaticana da parte del cardinale Mauro Gambetti si è caratterizzata per la creazione di un sistema di familismo amorale, volto a tutelare i propri interessi personali più che il bene comune dell’istituzione. Un sistema in cui la fedeltà personale ha soppiantato la competenza e la verità, generando dinamiche che ricordano da vicino le pratiche tipiche dei processi politici volti a eliminare gli oppositori.
Negli ultimi anni, il frate francescano Mauro Gambetti si è dedicato con insistenza a trasformare la Basilica di San Pietro in una vera e propria macchina per fare soldi. Sono stati organizzati eventi con vip, creati biglietti ad hoc, serate a tema con personaggi quanto meno discutibili. Tutto ciò che potesse attirare le telecamere ha sempre riscosso il suo entusiasmo. Nel frattempo, però, la Basilica ha smarrito la sua vocazione principale: la preghiera. Si sono moltiplicati i disservizi, la pulizia è carente, manca l’ordine, e i collaboratori sono scelti esclusivamente tra amici fedelissimi, poiché Gambetti teme sopra ogni cosa la fuga di notizie. Ormai noto per le sue gaffe e la sua evidente insofferenza verso la vita di preghiera, Gambetti si è distinto più per l’attenzione a proteggere la propria immagine che per il rispetto del compito affidatogli. Come spesso accade nella Chiesa, ci si preoccupa più di “come siano uscite certe notizie” e “chi le abbia passate”, piuttosto che della loro veridicità. Eppure, se una notizia è vera, il problema non dovrebbe essere la fonte, ma il fatto stesso. Questo modo distorto di affrontare i problemi è figlio di quella crisi di formazione su cui Silere non possum ha più volte richiamato l’attenzione.
Nella gestione della Basilica, Gambetti è ossessionato dal non far trapelare nulla, ma non si preoccupa affatto di correggere comportamenti chiaramente contra legem. Le telecamere sono state posizionate ovunque anche nella Fabbrica di San Pietro. Oggi, in San Pietro, quando accade qualcosa, si sente spesso mormorare: “Speriamo che Silere non possum non lo venga a sapere, altrimenti…”. Ogni mattina, Gambetti tira un sospiro di sollievo quando vede che il suo nome non compare tra queste pagine. Eppure, non tutto ciò che viene segnalato trova spazio negli articoli pubblicati: le sue gravi mancanze sono numerose. Basti pensare, ad esempio, all’ostensione del volto di Cristo, lo scorso marzo: la celebrazione iniziò con evidenti problemi tecnici ai microfoni. Gambetti, come di consueto, arrivò in ritardo. Lo stesso è accaduto durante la traslazione della bara di Papa Francesco, quando è stato l’ultimo ad accedere a Santa Marta. Sono dettagli che rivelano uno stile di vita e di servizio lontano dalla fedeltà, dalla preghiera e dalla serietà che, un tempo, costavano a un novizio persino l’espulsione dal convento se si fosse presentato tardi alla preghiera.
Silere non possum ha documentato con precisione le storture che si sono verificate: promozioni, incarichi e protezioni garantite non sulla base del merito, ma sulla base dell’appartenenza al “cerchio magico” di Gambetti. Chi si è permesso di sollevare critiche è stato tacciato di essere la fonte di Silere non possum, è stato identificato, isolato e sottoposto a veri e propri processi politici.
In queste ore, la soubrette Valeria Marini ha pubblicato foto e video realizzati all’interno della Basilica di San Pietro e persino nelle aree interne dello Stato Vaticano, dietro la chiesa. Viene spontaneo chiedersi: chi ha autorizzato l’ingresso di questa donna in zone tanto delicate? Chi le ha permesso di superare i cordoni di sicurezza, un privilegio che non viene concesso nemmeno ai sacerdoti? Questi ultimi, infatti, se solo osano avvicinarsi oltre i limiti, vengono spesso ripresi in modo sgarbato dai giovani "ragazzetti" assunti da Gambetti.
Processi politici: il frate della querela
Come nella tradizione dei regimi totalitari, che si servivano dei processi farsa per eliminare gli oppositori, anche nel microcosmo vaticano si è proceduto a costruire accuse ad hoc. Ricorda da vicino quanto raccontato da Hannah Arendtne “Le origini del totalitarismo”, quando descrive il metodo con cui i regimi sovietici e nazisti utilizzavano i tribunali per legittimare epurazioni già decise a tavolino: il processo non come luogo di giustizia, ma come strumento di eliminazione politica. Gambetti, in questi anni, ha trasformato la Fabbrica di San Pietro in un ambiente dove il sospetto e il controllo sono diventati strumenti quotidiani di governo. Fonti interne hanno raccontato a Silere non possum di riunioni nelle quali si discuteva apertamente di come “neutralizzare” certi sampietrini, accusati non di illeciti concreti, ma di avere “relazioni pericolose” con chi osava raccontare all’esterno i malfunzionamenti della gestione Gambetti. Lo abbiamo visto con la società Vox Mundi, con decine di dipendenti, ecc...
Come nella tradizione dei regimi totalitari, che si servivano dei processi farsa per eliminare gli oppositori, anche nel microcosmo vaticano si è proceduto a costruire accuse ad hoc. Ricorda da vicino quanto raccontato da Hannah Arendtne “Le origini del totalitarismo”, quando descrive il metodo con cui i regimi sovietici e nazisti utilizzavano i tribunali per legittimare epurazioni già decise a tavolino: il processo non come luogo di giustizia, ma come strumento di eliminazione politica. Gambetti, in questi anni, ha trasformato la Fabbrica di San Pietro in un ambiente dove il sospetto e il controllo sono diventati strumenti quotidiani di governo. Fonti interne hanno raccontato a Silere non possum di riunioni nelle quali si discuteva apertamente di come “neutralizzare” certi sampietrini, accusati non di illeciti concreti, ma di avere “relazioni pericolose” con chi osava raccontare all’esterno i malfunzionamenti della gestione Gambetti

Da oltre un anno, un sampietrino è stato sospeso dal suo incarico e lasciato senza stipendio, abbandonato a un destino che, senza l’aiuto della famiglia, lo avrebbe già condotto a vivere per strada. Il motivo? Un’accusa tanto assurda quanto inquietante: aver inviato delle foto a Silere non possum. Basterebbe già sottolineare che si tratta di un laico, e che Silere non possum non intrattiene alcun rapporto diretto con queste persone, per smontare l’intera impalcatura dell’accusa. Eppure, su questa accusa formulata da Mauro Gambetti, il quale ha firmato una querela con queste contestazioni, la Gendarmeria Vaticana e Alessandro Diddi hanno ritenuto opportuno agire illegalmente: perquisizione arbitraria, sequestro dei cellulari, accesso ai dispositivi senza alcuna autorizzazione legittima né reale necessità.
Al di là del fatto che ciò non è corrispondente al vero, ma ci si domanda: quale reato rappresenterebbe mai detenere o trasmettere una foto? Nessuno, ovviamente, almeno in uno Stato di diritto. Ma non basta. Alessandro Diddi, nella sua visione distorta della giustizia, pretende di applicare ai sampietrini — che non sono pubblici ufficiali — norme penali pensate per ben altri soggetti. Norme, peraltro, inserite con discutibile opportunità da Papa Francesco nel codice vaticano proprio su impulso del discusso avvocato romano. Lo stesso che passa documenti riservati a giornalisti amici. Questo caso rivela, ancora una volta, quanto questi personaggi ignorino totalmente la realtà ecclesiale e vaticana. Qui dentro, come in un piccolo paese, notizie, foto e link si scambiano alla velocità della luce, senza che ciò implichi alcun dolo o intenzionalità. Il solo possesso di una fotografia non prova affatto chi l’abbia scattata, chi l’abbia richiesta o a chi sia stata inviata. Lo vediamo ogni giorno: anche gli articoli di Silere non possum si diffondono di telefono in telefono, senza che per questo si possa accusare qualcuno di reati inesistenti. Questa vicenda non è solo un abuso di potere: è la dimostrazione di un sistema che, invece di tutelare la giustizia, umilia i più deboli per proteggere la propria incompetenza.
Chi parla muore: la tecnica di frate Mauro
Le contestazioni mosse da Mauro Gambetti sono puntuali e si riferiscono a fatti concreti che hanno generato non pochi problemi al frate francescano il quale si ritrovò a dover rendere conto di quanto scritto da Silere non possum al Papa in persona. Non si tratta di semplici irregolarità, ma di vere e proprie attività illecite: dall’invio di lettere di contestazione ai dipendenti soltanto perché considerati “vicini ad Angelo Comastri”, alla gestione disastrosa della tomba di Benedetto XVI — denunciata da Silere non possum —, fino alla pubblicazione dei comunicati affissi in bacheca, al degrado della basilica, con aree transennate in modo improvvisato con nastro adesivo, o ancora ai danni materiali come la rottura di una statua all’ingresso della sagrestia, causata dall’imperizia di un dipendente. Non si tratta di accuse generiche o infondate, ma di contestazioni precise, documentate e gravi. Qualcuno potrebbe domandarsi: perché Gambetti non ha denunciato per diffamazione? La risposta è semplice: non può. Le accuse sono fondate, le affermazioni sono vere, le fotografie sono autentiche, e i fatti contestati sono reali. Non esiste possibilità di smentita. Così, invece di rispondere nel merito, Gambetti ha scelto di prendersela con coloro che ritiene essere le “fonti di Silere non possum”. Un tentativo maldestro che si è rivelato inutile: il sampietrino sospeso — pur essendo assente dalla Basilica da tempo — non era una fonte del portale di informazione. Silere non possum continua a scrivere di ciò che accade quotidianamente in Basilica e degli abusi e inefficienze del team guidato da Mauro Gambetti.
In un clima simile, la verità diventa secondaria rispetto alla fedeltà personale. È il paradigma che Edward Banfield aveva descritto già nel suo celebre studio “Le basi morali di una società arretrata”, in cui analizzava il “familismo amorale” come la logica secondo cui l’individuo si preoccupa solo del bene della propria cerchia ristretta, ignorando qualsiasi principio di giustizia o bene comune. Le rimozioni di figure di alto profilo, le degradazioni improvvise, processi ad personam, gli esili silenziosi a incarichi fittizi, sono tutti esempi concreti di una strategia che ha avuto come obiettivo primario non il buon governo della Basilica di San Pietro, ma il consolidamento del potere personale del cardinale Gambetti. Un potere basato non sul rispetto della verità evangelica e della trasparenza, ma su una logica di amici contro nemici, dove chiunque non si pieghi senza condizioni diventa automaticamente un “sospettato”.
Le denunce raccolte da Silere non possum, spesso ignorate dagli altri media perchè pagati con favori e promesse al fine di farli tacere, hanno fatto emergere il volto più vero del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Nonostante le gravi inadempienze, infatti, Gambetti ha continuato a restare al suo posto perchè "Francesco non cambia idea facilmente" e "Gambetti ha sempre portato ciò che a lui interessava: i soldi", spiega un porporato che auspica: "Se il prossimo Papa non lo rispedisce ad Assisi sarà pianto e stridor di denti". Quella che dovrebbe essere la Basilica che custodisce le spoglie di Pietro, è in realtà una piccola corte feudale, dove la legge del più forte si impone su quella della verità. Come nella storia dei processi politici narrata da Arthur Koestler in “Buio a mezzogiorno”, l’apparenza di legalità serve solo a mascherare la brutalità del sistema: “Il loro scopo non era giudicare la verità, ma rafforzare il potere”. Oggi, chi ama davvero la Chiesa ed ha a cuore la missione spirituale della Basilica di San Pietro deve avere il coraggio di guardare in faccia queste derive e denunciarle. Solo così questa potrà tornare a essere, non il feudo di un singolo uomo assetato di potere e visibilità, ma la casa di tutta la cristianità.

Il Vaticano sempre più regime
I procedimenti legali avviati da Mauro Gambetti contro dipendenti, collaboratori ed ex collaboratori si moltiplicano ormai senza controllo. Alessandro Diddi si è trasformato nel suo braccio armato, pronto a intervenire per colpire chiunque sia considerato scomodo. Non si esita nemmeno a tendere trappole, come accaduto nel caso di Alfio Pergolizzi, ex dipendente, arrestato su iniziativa orchestrata con il cardinale che faceva da esca. Come dimenticare poi i blitz nella Fabbrica da parte della Gendarmeria, veri e propri flop. Ma come si concilia tutto questo con l’immagine — costruita ad arte — del frate francescano povero e umile, scelto da Papa Francesco per annunciare al mondo un volto nuovo alla guida della Basilica di San Pietro? L’uomo che avrebbe dovuto incarnare sobrietà e servizio, si è invece distinto in ben altre attività: assunzioni clientelari di amici, promozioni lampo e avanzamenti di carriera discutibili, aperitivi allestiti davanti ai portali della Basilica, cene sontuose nei Musei Vaticani.
Ancor più inquietante è il modo in cui Gambetti utilizza la Gendarmeria Vaticana: non per garantire sicurezza o giustizia, ma per individuare e reprimere le fonti dei giornalisti. Questo uso distorto della polizia per soffocare la libertà di stampa e di espressione richiama le pratiche dei regimi autoritari, non certo di un’istituzione che dovrebbe richiamarsi al Vangelo. Già George Orwell avvertiva che “la libertà è il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire”, ma nel Vaticano di Gambetti sembra essere diventato un crimine anche solo il far circolare notizie scomode.
Un quadro che tradisce clamorosamente l’ideale francescano e che getta una luce ben diversa sulla gestione del frate conventuale.
d.C.T.
Silere non possum