Il Santo Padre Francesco, sabato 29 giugno 2024, nella solennità dei santi Pietro e Paolo ha presieduto la Santa Messa nella Basilica Vaticana. Durante la Santa Messa sono stati benedetti i pallii destinati agli arcivescovi metropoliti. «Oggi - ha detto il Papa - gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno ricevono il Pallio. In comunione con Pietro e sull’esempio di Cristo, porta delle pecore (cfr Gv 10,7), sono chiamati ad essere pastori zelanti, che aprono le porte del Vangelo e che, con il loro ministero, contribuiscono a costruire una Chiesa e una società dalle porte aperte».

Guardando al Giubileo, Francesco ha incentrato la sua omelia sull'immagine della porta: «Il Giubileo - ha detto - sarà un tempo di grazia nel quale apriremo la Porta Santa, perché tutti possano varcare la soglia di quel santuario vivente che è Gesù e, in Lui, vivere l’esperienza dell’amore di Dio che rinvigorisce la speranza e rinnova la gioia. E anche nella storia di Pietro e di Paolo ci sono delle porte che si aprono».



Omelia del Santo Padre

Guardiamo ai due Apostoli Pietro e Paolo: il pescatore di Galilea che Gesù fece pescatore di uomini; il fariseo persecutore della Chiesa trasformato dalla Grazia in evangelizzatore delle genti. Alla luce della Parola di Dio lasciamoci ispirare dalla loro storia, dallo zelo apostolico che ha segnato il cammino della loro vita. Incontrando il Signore, essi hanno vissuto una vera e propria esperienza pasquale: sono stati liberati e, davanti a loro, si sono aperte le porte di una nuova vita.

Fratelli e sorelle, alla vigilia dell’anno giubilare, soffermiamoci proprio sull’immagine della porta. Il Giubileo, infatti, sarà un tempo di grazia nel quale apriremo la Porta Santa, perché tutti possano varcare la soglia di quel santuario vivente che è Gesù e, in Lui, vivere l’esperienza dell’amore di Dio che rinvigorisce la speranza e rinnova la gioia. E anche nella storia di Pietro e di Paolo ci sono delle porte che si aprono.

La prima Lettura ci ha raccontato la vicenda della liberazione di Pietro dalla prigionia; questo racconto ha tante immagini che ci ricordano l’esperienza della Pasqua: l’episodio accade durante la festa degli Azzimi; Erode richiama la figura del faraone d’Egitto; la liberazione avviene di notte come fu per gli israeliti; l’angelo dà a Pietro le stesse disposizioni che furono date a Israele: alzarsi in fretta, mettersi la cintura, indossare i sandali (cfr At 12,8; Es 12,11). Quello che ci viene narrato, dunque, è un nuovo esodo. Dio libera la sua Chiesa, libera il suo popolo che è in catene, e ancora una volta si mostra come il Dio della misericordia che sostiene il suo cammino.

E in quella notte di liberazione, dapprima si aprono miracolosamente le porte del carcere; poi, di Pietro e dell’angelo che lo accompagna si dice che si trovarono davanti «alla porta di ferro che arriva alla città; la porta si aprì da sé davanti a loro» (At12,10). Non sono loro ad aprire la porta, essa si apre da sé. È Dio che apre le porte, è Lui che libera e spiana la strada. A Pietro – come abbiamo ascoltato dal Vangelo – Gesù aveva affidato le chiavi del Regno; ma egli fa esperienza che, ad aprire le porte, è per primo il Signore, Lui sempre ci precede. Ed è curioso un fatto: le porte del carcere si sono aperte per la forza del Signore, ma Pietro poi farà fatica ad entrare nella casa della comunità cristiana: colei che va alla porta, pensa che sia un fantasma e non gli apre (cfr At 12,12-17). Quante volte le comunità non imparano questa saggezza di aprire le porte!

Anche il cammino dell’Apostolo Paolo è anzitutto un’esperienza pasquale. Egli, infatti, dapprima viene trasformato dal Risorto sulla via di Damasco e poi, nella continua contemplazione del Cristo Crocifisso, scopre la grazia della debolezza: quando siamo deboli – egli afferma – in realtà è proprio allora che siamo forti, perché non ci aggrappiamo più a noi stessi, ma a Cristo (cfr 2 Cor 12,10). Afferrato dal Signore e crocifisso con Lui, Paolo scrive: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Ma il fine di tutto ciò non è una religiosità intimista e consolatoria – come oggi ci presentano alcuni movimenti nella Chiesa: una spiritualità da salotto –; al contrario, l’incontro con il Signore accende nella vita di Paolo lo zelo per l’evangelizzazione. Come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, alla fine della sua vita egli dichiara: «Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero» (2 Tm 4,17).

Proprio nel raccontare di come il Signore gli ha donato tante possibilità per annunciare il Vangelo, Paolo usa l’immagine delle porte aperte. Così, del suo arrivo ad Antiochia insieme a Barnaba, si dice che «appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). Allo stesso modo, rivolgendosi alla comunità di Corinto dice: «Mi si è aperta una porta grande e propizia» (1 Cor 16,9); e scrivendo ai Colossesi li esorta così: «Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della Parola per annunciare il mistero di Cristo» (Col 4,3).

Fratelli e sorelle, i due Apostoli Pietro e Paolo hanno fatto questa esperienza di grazia. Hanno toccato con mano l’opera di Dio, che ha aperto le porte del loro carcere interiore e anche delle prigioni reali dove sono stati rinchiusi a causa del Vangelo. E, inoltre, ha aperto davanti a loro le porte dell’evangelizzazione, perché sperimentassero la gioia dell’incontro con i fratelli e le sorelle delle comunità nascenti e potessero portare a tutti la speranza del Vangelo.

E anche noi quest’anno ci prepariamo ad aprire la Porta Santa.

Fratelli e sorelle, oggi gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno ricevono il Pallio. In comunione con Pietro e sull’esempio di Cristo, porta delle pecore (cfr Gv 10,7), sono chiamati ad essere pastori zelanti, che aprono le porte del Vangelo e che, con il loro ministero, contribuiscono a costruire una Chiesa e una società dalle porte aperte.

E voglio dare, con fraterno affetto, il mio saluto alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico: grazie di essere venuti a manifestare il comune desiderio della piena comunione tra le nostre Chiese. Invio un sentito saluto cordiale al mio fratello, al mio caro fratello Bartolomeo.

I Santi Pietro e Paolo ci aiutino ad aprire la porta della nostra vita al Signore Gesù, intercedano per noi, per la città di Roma e per il mondo intero. Amen.