Acquitted of all charges, Msgr. Carlino thanks the Lord because Truth triumphed

Al termine del primo grado di giudizio del procedimento penale Sloane Avenue, una delle diverse macchie incancellabili su questo pontificato, Mons. Mauro Carlino ha rilasciato alcune dichiarazioni al portale d’informazione dell’Arcidiocesi di Lecce. Da quando è stato ingiustamente allontanato dalla Segreteria di Stato a motivo di accuse rivelatesi infondate, il prete è tornato nella sua diocesi di origine e lì oggi è segretario particolare dell’arcivescovo e parroco.

Carlino è stato assolto dal Tribunale Vaticano da tutti i capi di imputazione contestati.

Per questo motivo molti si chiedono: come mai il Papa non lo chiama a Santa Marta e si scusa con lui? Non si chiede che Bergoglio riconosca di aver sbagliato in merito a tutto il processo, non sia mai, ma almeno su quegli errori che ammette lui stesso facendo sentenziare l’assoluzione dal suo tribunale, non sarebbe male.

Carlino ha dimostrato la sua innocenza ed estraneità ai fatti contestati, perché non può riprendere il suo lavoro in Segreteria di Stato? Certo, nessuno glielo augura perché il clima che si ritroverebbe sarebbe dieci volte peggiore di quello che ha lasciato, ma la giustizia è cosa seria. Chi viene riconosciuto innocente deve avere la possibilità di riscattarsi. Anche perché altrimenti non si fa che confermare quanto si dice ormai da dieci anni: meglio parroci ad Honolulu che mettere piede qui dentro.

Ormai nessuno ambisce più a mettere piede qui, lo fanno solo alcuni repressi che erano soliti falsificare documenti e a scrivere lettere false pur di ottenere tessere del governatorato. Del resto, che dire, i detti popolari ci azzeccano sempre: “Chi ha il pane non ha i denti…”.

Tornando a Mons. Carlino, invece, è importante sottolineare come questo presbitero abbia sempre servito la Santa Sede con serietà e durante il suo esame in aula, che si è svolto a marzo e ad aprile scorso, il sacerdote aveva messo subito in chiaro alcune cose che ai giudici laici del Tribunale Vaticano forse non sono chiare ancor oggi.

Esame dell'imputato

Prima di tutto Mons. Carlino ha spiegato di essere un sacerdote e in tutta la sua vita ha solo obbedito a ciò che gli hanno chiesto i superiori. Anche durante il processo, pur essendo completamente innocente, si è sottoposto all’autorità dell’arcivescovo di Lecce senza proferire parola.

Il coinvolgimento di Carlino nel caso Sloane Avenue avviene quando S.E.R. Mons. Edgar Peña Parra, Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, gli chiede fedeltà, obbedienza e riservatezza per risolvere “un grave errore” che era stato commesso da qualcuno.

L’errore era stato commesso da Mons. Alberto Perlasca, il quale era a capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, ed aveva firmato documenti senza l’autorizzazione dei superiori, permettendo che le mille azioni entrassero nella disponibilità di Gianluigi Torzi. Il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, il quale non ha mai studiato su un codice di diritto canonico, però non ha mai pensato di portare a processo Perlasca. «Non interessa al Papa, Perlasca è insignificante», afferma un prelato di Curia.

Carlino, quindi, aveva il compito di fare da intermediario tra le istanze del Sostituto e dei collaboratori del Sostituto e Gianluigi Torzi. In aula il sacerdote ha chiarito che lui non entrò mai nelle questioni tecniche delle trattative. 

Carlino è stato utile anche a chiarire un’altra illazione del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi. Nelle numerose pagine di rinvio a giudizio vi era scritto che Torzi era stato fatto pedinare dal Sostituto della Segreteria di Stato. In aula, però, Carlino ha mostrato con il suo cellulare che la chat presentata dalla gendarmeria vaticana era incompleta e tale azione fu messa in atto per verificare che cosa stesse facendo Giuseppe Milanese, uomo che entrò nella trattativa proprio perché amico personale del Papa dai tempi in cui era Arcivescovo di Buenos Aires. 

La Segreteria di Stato voleva solo verificare, quando la trattativa si era arenò, se vi fosse un coinvolgimento o responsabilità di Milanese o addirittura un accordo fra Torzi e Milanese. 

L'accusa mossa al sacerdote era quella di estorsione ma, come hanno sottolineato i difensori in aula, in realtà fu lui stesso vittima di quel reato. Nel suo esame, infatti, emerse che fu lui a convincere Torzi a "prendere" 15 milioni di euro piuttosto che i 20 richiesti.

L.M

Silere non possum

Carlino: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio».

Al termine del lungo processo, Carlino risponde ad alcune domande che gli sono state rivolte dal portale di informazione dell’Arcidiocesi di Lecce. 

Don Mauro, qual è stato il primo pensiero appena appreso sabato pomeriggio della sentenza di assoluzione?

Il mio primo pensiero è stato ringraziare il Signore e tutte quelle persone che hanno pregato per me, perché emergesse la verità. Sapevo che nel pomeriggio sarebbe arrivata la sentenza, ma ho affidato al Signore questo atto, rimettendomi alla sua volontà. Per scaricare la tensione che avevo nel cuore, ho voluto fare ciò che faccio abitualmente. Ho pregato al mattino e, dopo un matrimonio, sono andato allo stadio a vedere il Lecce. Solo dopo la partita, ho saputo della sentenza favorevole e ho pensato subito a mons. Ruppi, a don Ugo De Blasi e ai tanti intercessori a cui mi sono affidato e che hanno reso possibile il trionfo della verità.

Quali sono stati i momenti più difficili in questi anni di indagini e di processo?

Ho affrontato questo tempo con estrema fiducia nel Signore. Non nascondo che ci siano stati momenti difficili, suscitati dalla gravità e dalla assurdità delle accuse, amplificate dalle notizie di stampa, purtroppo incapaci di distinguere la verità dalle tante falsità. Mi ha molto confortato la vicinanza degli amici, il sostegno della famiglia e la paternità dell’arcivescovo Seccia e di tanti sacerdoti, che, conoscendomi, non hanno mai dubitato della mia onestà.

Quanto è stato difficile costruire una difesa davanti ad accuse false e infondate?

È stato un lavoro duro e quotidiano. Mi sono ritagliato alcune ore ogni pomeriggio per ricostruire i fatti, rivedere ogni carta e documento. Sapevo perfettamente di aver sempre agito in ubbidienza ai superiori, ma occorreva dimostrarlo. D’altronde, ho soltanto contribuito a risolvere un problema, con positivi risultati per la Santa Sede, senza mai agire né per interesse personale, né tantomeno per agevolare terzi. Grazie all'aiuto degli avvocati, Salvino Mondello, Agnese Camilli e Monica Giovenco, ho ricostruito tutte le mie giornate e rivisto ogni cosa. Sono stato sostenuto in questo da un caro amico, ingegnere informatico, Antonio Politi, con cui ho trascorso tantissimi giorni per dimostrare la falsità delle accuse, ribattere alle infondate ricostruzioni e dimostrare la mia innocenza. Ma tutto questo lavoro sarebbe stato inutile senza il sostegno del Signore e della preghiera dei semplici.

Don Mauro, come si riparte dopo anni di sofferenza e al termine di un processo finito come speravi?

Non si tratta di una ripartenza in quanto ho continuato a fare la volontà di Dio, in una situazione diversa e difficile, ma nel desiderio di servire il Signore assolvendo ai compiti che mi sono stati assegnati dal mio arcivescovo. Ho avuto la gioia di celebrare e pregare ogni mattina con le Suore Discepole di Gesù Eucaristico, di pregare con loro dopo la santa messa davanti all’Eucarestia. Ho seguito i ragazzini del settore giovanile del Lecce, accompagnandoli nel percorso di crescita e poi ho svolto il mio compito di segretario dell'arcivescovo con spirito di fedeltà e affetto. Ora certamente ho un fardello in meno da portare, ma so che ''tutto concorre al bene di coloro che amano Dio''.

L'abbraccio del presbiterio

L'arcivescovo di Lecce, S.E.R. Mons. Michele Seccia ha affermato:

«Sono felice per la sentenza che ha restituito al nostro don Mauro la dignità umana e la credibilità sacerdotale messe in dubbio da ipotesi di reato rivelatesi poi infondate. Sono stati anni di sofferenza anzitutto per lui. Ma egli ha affrontato le vicende nelle quali era stato ingiustamente coinvolto con coraggio e, certo della sua innocenza, con tanta fiducia nella magistratura vaticana. Ma sono stati anni di sofferenza anche per me che sono il suo vescovo e che non ho mai vacillato davanti alle accuse che gli venivano mosse. Tant’è vero che, nonostante immaginassi che più di qualcuno avrebbe storto il naso, dopo il suo rientro in diocesi non ho esitato a nominarlo mio segretario personale e poi, successivamente, anche parroco della Basilica di Santa Croce. Incarichi che egli ha svolto con obbedienza, fedeltà, spirito di servizio e di abnegazione e con grande impegno sacerdotale, pur dovendo affrontare le ricostruzioni fantasiose e la gogna mediatica. Infine, sono stati anni difficili per la Chiesa di Lecce che con lui ha pregato e che accanto a lui ha affrontato il tunnel del processo: sono stati molti coloro che hanno creduto nella sua innocenza e gli sono stati vicini con affetto e amicizia. In quest’ora di liberazione in cui ha vinto la verità, ringrazio il Signore e insieme con i confratelli presbiteri della nostra Chiesa locale prego per don Mauro affinché presto ritrovi la meritata serenità interiore». 

AGGIORNAMENTO

Il Promotore di Giustizia ha presentato una dichiarazione di appello contro l'ordinanza del Tribunale Vaticano che ha assolto Mons. Carlino. Per questo motivo il sacerdote dovrà difendersi anche nel secondo grado di giudizio innanzi alla Corte d'Appello della Città Stato.