Città del Vaticano - «Gesù è ormai pienamente riconciliato con tutto ciò che ha sofferto. Non c’è ombra di rancore. Le ferite non servono a rimproverare, ma a confermare un amore più forte di ogni infedeltà». Papa Leone XIV questa mattina ha rivolto ai fedeli presenti in piazza San Pietro la consueta catechesi del mercoledì proseguendo il ciclo giubilare dal titolo “Gesù Cristo nostra speranza”.
La risurrezione come pace, non come vendetta
Il Pontefice ha insistito su un punto essenziale: la risurrezione non è un ritorno trionfante segnato dal desiderio di rivalsa. Non è la vendetta di un Dio che, avendo subito il fallimento e il tradimento, torna a punire. È invece il gesto disarmato e mite di un amore che si rialza e si mostra più forte di ogni ferita. «Il Risorto – ha spiegato Leone XIV – non sente alcun bisogno di ribadire la propria superiorità. Appare ai discepoli con discrezione, non per condannarli, ma per ridare loro fiducia». L’evangelista Giovanni racconta che Gesù, entrando nel cenacolo, saluta i suoi con parole semplici: «Pace a voi!». A queste parole unisce un gesto sorprendente: mostra le ferite delle mani e del fianco.
Perché farlo proprio di fronte a chi lo aveva abbandonato? Il Papa ha risposto: «Quelle piaghe non servono a riaprire la vergogna, ma a dire che l’amore di Dio non si è tirato indietro nemmeno nel momento del nostro venir meno».
Ferite che diventano perdono
Nella catechesi odierna Leone XIV ha sottolineato che spesso l’uomo preferisce nascondere le proprie ferite per orgoglio o per timore. Gesù, invece, non lo fa. Egli espone i segni della passione come garanzia del perdono, mostrando che la Risurrezione non cancella il passato ma lo trasfigura. È il miracolo della misericordia che rende possibile una memoria pacificata, libera dal risentimento. Il Risorto, dunque, non umilia e non ricatta. È un amore “nudo e disarmato” che invita ciascuno a riconoscere la propria vulnerabilità come luogo in cui Dio opera.
La missione della Chiesa
La catechesi è poi confluita in un invito concreto: la missione affidata agli apostoli – «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» – non è dominio né potere, ma responsabilità. È il compito di essere strumenti di riconciliazione nel mondo. «Chi potrà annunciare il volto misericordioso del Padre – ha chiesto il Papa – se non voi, che avete sperimentato il fallimento e il perdono?». Per questo Gesù soffia sugli apostoli e dona lo Spirito: da quel momento, essi non possono più tacere l’esperienza di un Dio che rialza e ridona fiducia. «Anche noi siamo inviati», ha concluso Leone XIV. «Non abbiate paura di mostrare le vostre ferite risanate dalla misericordia, non temete di farvi prossimi a chi è chiuso nella paura o nel senso di colpa».
Uno sguardo al mondo ferito
Alla fine dell’Udienza, il Papa ha espresso dolore per i recenti scontri avvenuti in Madagascar, dove alcuni giovani manifestanti hanno perso la vita e un centinaio di persone sono rimaste ferite. Ha chiesto che ogni forma di violenza venga evitata, favorendo invece la ricerca dell’armonia sociale mediante giustizia e bene comune.
d.C.T.
Silere non possum