Città del Vaticano – Questa mattina, in Piazza San Pietro, Papa Leone XIV ha ripreso le udienze generali dopo la consueta pausa estiva. Il Pontefice ha concluso il ciclo di catechesi dedicato alla vita pubblica di Gesù, soffermandosi su un passo del Vangelo di Marco (Mc 7,31-37) che narra la guarigione di un uomo sordo e muto. Un episodio che, secondo il Papa, offre una chiave preziosa per comprendere le difficoltà della comunicazione nell’epoca contemporanea.
Al centro della catechesi, la sofferenza del non sentirsi capiti, della chiusura relazionale, della parola che ferisce e del silenzio che isola. Il Papa ha utilizzato parole incisive e profondamente calate nella realtà per descrivere un’esperienza che, in un modo o nell’altro, tutti abbiamo vissuto: «Viviamo in una società che si sta ammalando a causa di una “bulimia” delle connessioni dei social media… siamo travolti da molteplici messaggi che suscitano in noi una tempesta di emozioni contraddittorie». Richiamandosi all’esperienza dell’uomo del Vangelo, Gesù – ha spiegato Leone XIV – non lo guarisce con un discorso, ma con la prossimità e il tocco. E da quell’incontro nasce una parola nuova, una parola “corretta”, capace di riaprire le relazioni. Proprio su questo passaggio, il Papa ha voluto soffermarsi:
«Tutti noi facciamo esperienza di essere fraintesi e di non sentirci capiti. Tutti noi abbiamo bisogno di chiedere al Signore di guarire il nostro modo di comunicare, non solo per essere più efficaci, ma anche per evitare di fare male agli altri con le nostre parole».
Una riflessione che tocca la quotidianità di ciascuno, nella vita familiare, nelle relazioni personali, nel lavoro e perfino nella vita ecclesiale, dove troppo spesso le parole vengono usate non per costruire ma per colpire. Ma la guarigione – ha ricordato il Papa – è solo l’inizio. «Tornare a parlare correttamente è l’inizio di un cammino, non è ancora il punto di arrivo», ha detto, sottolineando che conoscere davvero Gesù comporta una sequela che attraversa la Croce, il dolore, la solitudine, l’umiliazione.
«Per conoscere veramente Gesù occorre compiere un cammino, bisogna stare con Lui e attraversare anche la sua Passione… Per diventare discepoli di Gesù non ci sono scorciatoie».
Parole che hanno toccato profondamente i fedeli presenti, in particolare molti giovani, colpiti dal tono diretto e autentico con cui il Papa ha descritto la fatica di comunicare in un mondo che grida ma non ascolta. I ragazzi hanno apprezzato lo stile di Leone XIV, capace di avvicinarsi alla loro esperienza concreta: un modo di predicare che non resta astratto, ma che parte dalla vita quotidiana, riconoscendone le fatiche, le incomprensioni, le sfide che ciascuno è chiamato ad affrontare nella propria sequela del Vangelo. La Chiesa – ha aggiunto – deve sempre più essere quella comunità che accompagna ogni uomo da Gesù, affinché ascolti la sua Parola e impari a comunicare nel modo giusto.
L’appello per il Congo e il ricordo di Helsinki
Nel corso dell’udienza, Leone XIV ha poi lanciato un appello per la Repubblica Democratica del Congo, ricordando il brutale attacco terroristico avvenuto a Komanda nella notte tra il 26 e il 27 luglio. Oltre quaranta cristiani sono stati uccisi mentre pregavano. Il Papa ha affidato le vittime alla misericordia di Dio e ha chiesto alla comunità internazionale di lavorare per prevenire simili atrocità.
Infine, ha ricordato il 50° anniversario dell’Atto Finale di Helsinki, sottolineando il ruolo della Santa Sede nella promozione della libertà religiosa e del dialogo internazionale: «Oggi, più che mai, è indispensabile custodire lo spirito di Helsinki… fare della diplomazia la via privilegiata per prevenire e risolvere i conflitti».
L’udienza si è conclusa con i tradizionali saluti ai pellegrini. Tra i presenti anche diversi vescovi, tra cui S.E.R. Mons. Bruno Varriano OFM, che ha chiesto al Santo Padre di benedire la propria croce pettorale. Altri presuli hanno voluto esprimere la loro gratitudine al Pontefice, offrendo in dono alcuni oggetti religiosi, segni di comunione e devozione.
d.M.A.
Silere non possum