Città del Vaticano - «Attorno al potere si radunano sempre i cortigiani. Non è un problema del potere, ma della natura umana: adorare chi comanda e disprezzare chi cade» (La Rochefoucauld).

Negli ultimi anni ci siamo tanto, forse troppo, lamentati della corte che si era creata attorno a Papa Francesco. Una corte che – lo abbiamo spiegato più volte – non era lì per autentico sostegno a quel pontificato, né per amore delle sue idee, né tantomeno per adesione a un’ideologia o a un progetto di riforma. Era lì, banalmente, perché Francesco era il potente di turno.

Ve lo raccontano alcuni che, pur avendo fatto della riservatezza delle proprie fonti e di certe dinamiche il proprio punto di forza, hanno collezionato più lamentele di quante ne avrebbero potute immaginare, e per di più da persone dalle quali mai ci si sarebbe aspettati nulla del genere. È anche per questo che, durante il conclave di maggio, non avevamo alcun dubbio che le cose non sarebbero andate come qualche sprovveduto si illudeva. Il problema – psicologico prima che ecclesiale – è che Jorge Mario Bergoglio era per natura incline a generare attorno a sé una corte personale. E la psicologia del potere, insegna la clinica, non ammette spazi vuoti: o lo si governa, o lo si subisce.

Gli eterni seminaristi

Nella Chiesa cattolica abbiamo finito col normalizzare – e non da oggi – un meccanismo ben oliato: amiamo chi ci adula e ci circondiamo di costoro, convinti che siano fedeli, mentre sono solo i soliti “eterni seminaristi”. Li conoscete: quelli che, appena vedono una veste rossa o un anello episcopale, vanno in escandescenza, come adolescenti in crisi davanti al loro idolo pop. Un atteggiamento forse perdonabile nei primi anni di seminario, ma grottesco se riproposto da chi è ordinato da sessant’anni. Qui non si tratta più di devozione, ma della cartina al tornasole di una formazione sacerdotale disastrata.

Leone XIV e la corte inevitabile

L’attuale Pontefice non è uomo da circondarsi volontariamente di adulatori. È ben distante, per carattere e psicologia, dal suo predecessore. Tuttavia, in Vaticano, i rapporti necessari non mancano: ci sono uffici, agende, compiti amministrativi affidati da decenni a bocche untuoseche non si possono semplicemente rimuovere dall’oggi al domani. Chi viene catapultato nel Palazzo Apostolico deve necessariamente affidarsi a chi lo abita da anni, salvo poi pian piano affiancare a costoro figure più affidabili che possano, col tempo, prenderne il posto. Ma qui il nodo non è personale, è sistemico. Lo abbiamo denunciato più volte: il Vaticano soffre del tipico familismo amorale italiano, con filtri e cordoni sanitari che i cortigiani di lungo corso innalzano per perpetuare il proprio potere.

Le regole e gli effetti collaterali

Abbiamo sempre invitato a diffidare da chi si accaniva contro Papa Francesco in modo gratuito con accuse, addirittura, di “eresia”. Le critiche erano necessarie ma dovevano avere una ratio. La regola dei cinque anni prevista da Praedicate Evangelium, ad esempio, era una di quelle cose volute appositamente da Francesco non tanto dagli analfabeti estensori di quel testo. Quella regola, nella sua testa, aveva un significato ben preciso e non andava del tutto demonizzata: almeno tentava di smontare i piccoli potentati. Ma, allo stesso tempo, generava altri problemi: stipendi, pensioni, turn over troppo rapido. In cinque anni, quando finalmente impari un compito, è già ora di lasciare. Forse la vera domanda è un’altra: serve davvero moltiplicare norme “punitive”? O non sarebbe meglio investire in una formazione umana e sacerdotale che educhi a vedere la Chiesa non come un luogo di potere ma come un luogo di servizio? Alla luce del testo normativo, occorre estendere il ragionamento anche ai laici: molti di loro appaiono oggi più avvinghiati alla poltrona di quanto non lo siano numerosi sacerdoti equilibrati, i quali, stremati dal clima attuale, non vedono l’ora di lasciarsela alle spalle. Una critica era inevitabile: Francesco non applicava quella regola a tutti, ma soltanto a chi non godeva delle sue simpatie. Ed era proprio questo il punto da sottolineare, come nel caso della norma sul pensionamento: o si va tutti in pensione a 75 anni, oppure non ci va nessuno. Le eccezioni possono esistere, certo, ma non possono trasformarsi in strumenti utili a epurare i “nemici” o chi semplicemente osa pensare diversamente.

Francesco, Leone XIV e quella "casta meretrix"

I Papi cambiano, la Chiesa resta. Non è stato Bergoglio a inventarsi i cortigiani, né Leone XIV li farà sparire. Dal 2013 ad oggi, il problema è lo stesso: una struttura che permette, anzi incoraggia, la proliferazione di corti parallele. Il pontificato di Francesco ha aperto le porte a personaggi che nulla avevano a che fare con i valori della Chiesa, e che brandivano ideologie incompatibili con il Catechismo della Chiesa Cattolica. Quello di Leone XIV deve fronteggiare, dall’altro lato, i feticisti del potere e del merletto ecclesiastico, pronti a sacrificare tutto sull’altare dell’apparenza. Sono quelli che, ormai da settimane, stazionano in attesa, pronti a registrare ogni parola o gesto del Papa per poi strumentalizzarlo a piacimento. All’inizio ripetevano il mantra: “Staremo a vedere cosa farà questo Papa”, oppure “Troppo presto per giudicare, aspettiamo”. E c’è persino di peggio: soggetti che con la Chiesa non hanno nulla a che vedere, piombati qui solo perché silurati dagli ambienti politici dove avevano già fatto danni, e che ora si aggrappano al religioso affettivamente instabile che li nutre con la sua personale interpretazione dei fatti. Il vero dramma, però, è che parliamo di laici privi di qualunque competenza per offrire una lettura autonoma, radicata nella fede o in un autentico cammino ecclesiale, capace cioè di restituire equilibrio anziché deformarlo.

Un monsignore, passeggiando nel cortile della caserma e parlando del mestiere del giornalista, tra il serio e il faceto, muovendo le mani davanti al volto quasi a sottolineare teatralmente ogni parola, ha detto: “Alma Æquilibrii Mater, della cui festa non esiste data, perché da mane a sera, va invocata”

Personaggi da romanzo grottesco

Pensiamo a quei soggetti che, spintisi al matrimonio più per conformismo clericale che per convinzione, trascorrono le loro giornate a discettare di pizzi e merletti, di cavilli clericali insignificanti o a fare illazioni sul lavoro altrui, i quali scrivere sotto i post di personaggi evidentemente psicopatici, accettando persino di farsi insultare pur di occupare per un momento la scena. Oppure pensiamo proprio a quei personaggi psicopatici, che dopo una lunga serie di siluramenti da enti regionali e uffici stampa politici, passano ormai più tempo nelle aule dei tribunali che davanti al computer: imputati per le sciocchezze che diffondono sulle proprie pagine o su giornali nei quali riescono a infilarsi pur senza possedere alcun tesserino. Che, sia chiaro, non sarebbe nemmeno un dramma: il problema nasce quando tu quel titolo non ce l’hai, ma continui a millantare di averlo. È lì che riveli la tua frustrazione: lo vorresti, non lo hai, e dunque reprimi. E le tue valutazioni finiscono inevitabilmente per avere la cifra tipica del represso. La gente dovrebbe finalmente capire che il giornalismo vero non è minacciare qualcuno sventolando documenti “segreti” o presunti tali, né estorcere comportamenti giocando sulla paura del potente di turno o del personaggio pubblico di veder pubblicate le proprie foto intime o i dettagli della vita privata — anche perché per certe pratiche si finisce dritti a processo (l’ultimo, non a caso, il 2 dicembre 2025). Il giornalismo non è nemmeno lo “scoop” sui ravioli che il Papa ha mangiato a pranzo. Il giornalismo è tutt’altro: è un mestiere serio, che oggi più che mai urge riscoprire e difendere, in un mondo che perseguita — politicamente e legalmente — i giornalisti autentici, quelli che non si piegano ai ricatti del potere e raccontano fatti e portano prove di corruzione e abusi.

Entrambe queste categorie – i cattolici concentrati sui migranti e i cattolici concentrati sulle tiare e le sedie gestatorie – non hanno nulla a che spartire con la Chiesa. Sono individui che insultano i Papi defunti, denigrano chiunque non condivida la loro visione del mondo, e si dichiarano delusi dalla vita semplicemente perché non si è risposto a quel messaggio con cui speravano di entrare nelle tue “grazie”. Oggi devono accontentarsi di essere oggetto di scherno, da parte di prelati e laici, quando sui social non solo si abbandonano a invettive degne dei repressi, ma arrivano persino a copiare notizie altrui, incapaci come sono di accedere a informazioni di prima mano. Il sistema da loro utilizzato è sempre lo stesso: accusare gli altri di non vivere i principi cattolici perché “troppo a sinistra”, quando in realtà loro stessi non incarnano affatto quei principi, vivendo esistenze ben lontane dai dettami del Catechismo della Chiesa Cattolica e, tanto per gradire, disertando persino la Santa Messa domenicale. Il loro modus operandi è l’adescamento: individuano qualcuno che possa fornire informazioni, ne traggono lo “scoop”, magari ricattano, e poi – quando non servi più – ti sputtanano. Non pochi chierici sprovveduti ne hanno fatto le spese.

Un sistema che molti non comprendono, e che prospera nella Chiesa proprio perché vi sono personaggi che, complici una scarsa formazione affettiva e sessuale, non si rendono conto di essere cercati non per ciò che sono, ma esclusivamente per il ruolo che ricoprono. Qui non c’è alcun autentico interesse relazionale, ma soltanto la logica dello sfruttamento: ottenere lo scoop, esibire un contatto, distruggere una reputazione. E si parla di personaggi che non sanno distinguere un vescovo reale da una pagina caricaturale sui social network.

In Vaticano negli scorsi anni si è parlato di queste dinamiche e di quanto accaduto con la vicenda relativa a Francesca Immacolata Chaouqui: un soggetto realmente problematico, introdotto in Vaticano da mani sprovvedute, che ancora oggi si aggira attorno alle questioni curiali millantando credito, sempre accompagnata dal suo prete amico calabrese. Una donna che ha sempre proclamato di agire in nome e per conto di Papa Francesco, salvo poi essere condannata e allontanata per aver arrecato grave danno al Pontefice. Oggi la ritroviamo di nuovo sotto inchiesta, per i suoi rapporti conAlessandro Diddi, Stefano De Santis e Alberto Perlasca. Ma di tutto questo – purtroppo o per fortuna – avremo modo di parlarne molto presto…

Padre Bruno Silvestrini e il cortocircuito vaticano

Nelle scorse settimane, mentre Leone XIV tentava di riposarsi a Castel Gandolfo, qualcuno ha pensato bene di mettere pressione al Pontefice, lasciando trapelare la notizia che alcuni agostiniani sarebbero andati a vivere con lui. Si tratta della piccola comunità della Sagrestia Pontificia, composta da tre frati, che negli ultimi anni del pontificato di Francescoha subito non pochi maltrattamenti da parte di mons. Diego Ravelli, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

Come spesso accade in Vaticano, però, le cose non sono mai semplicemente bianche o nere. Ci sono infinite sfumature, condizionate dall’umanità delle persone. Un’umanità che a volte si prova a velare con carità e riserbo, ma che talvolta occorre portare allo scoperto, se non altro per ricordare che certi individui non sono solo nocivi per sé stessi: diventano un nocumento per il Papa e per la Chiesa. E non dimentichiamo che, come sempre, le false voci e i “sentito dire” partono proprio da chi dovrebbe tacere più di chiunque altro, visto che i loro armadi non custodiscono “chiacchiere”, ma scheletri veri, con tanto di documenti a sostegno.

In Vaticano, in molti hanno iniziato a storcere il naso negli ultimi mesi: non hanno gradito che in numerose occasioni il Pontefice fosse accompagnato in pubblico e in privato dall’ex parroco di Sant’Anna in Vaticano, padre Bruno Silvestrini O.S.A. Un sacerdote che per anni ha svolto il suo ministero nella chiesa di Sant’Anna, l’unico varco di accesso per molti turisti e ragazzetti desiderosi di entrare nel “magico mondo vaticano”. E qui è necessaria una precisazione, almeno per chi conserva ancora un minimo di sanità mentale: lo Stato della Città del Vaticano è accessibile soltanto a chi abbia un motivo reale per entrarvi. Ma per molti resta un feticcio patologico.

Pensiamo, per esempio, a Francesca Immacolata Chaouqui: ha fatto di tutto pur di accedervi e ora che una sentenza di condanna e una richiesta formale le impediscono di farlo, non rinuncia a millantare incontri col Papa e rapporti privilegiati con ambienti interni. È un disturbo, non solo suo: il mondo vaticano pullula di individui senza alcun titolo che pur di varcarne i confini inventano identità, si spacciano per giornalisti (anche senza esserlo) e cercano disperatamente una foto tra le mura leonine. Perché? Perché mostrare di avere accesso a luoghi esclusivi è il modo più rapido per illudersi di “contare qualcosa”.

Se da un lato ci sono questi, dall’altro ci sono quelli che orbitano attorno al cardinale Mauro Gambetti, e che sfruttano il loro coinvolgimento in iniziative della Fabbrica di San Pietro per ottenere accessi privilegiati. Le criticità sono evidenti: chi entra davvero per lavoro sa bene che in Vaticano meno tempo ci si passa, meglio è. Qui sei spiato h24 e l’illegalità è il pane quotidiano. Chi, invece, non vi può accedere o nessuno se lo considera, millanta credito e amicizie “che contano”.

Tornando alle perplessità che diversi prelati hanno espresso, non va dimenticato che fu proprio Papa Francesco a chiedere la rimozione di Silvestrini da parroco di Sant’Anna: faceva entrare troppi giovani, spesso sfruttato da personaggi dai “non sani interessi”, pronti a sfruttare l’occasione per ottenere una foto in Cappella Sistina, magari in posa ammiccante appoggiati alla porta dell’Extra Omnes. Il problema, sia chiaro, non è il sacerdote in sé, ma il fatto che si lasci strumentalizzare. Certo, anche il suo limite è evidente: non percepisce queste dinamiche e finisce col farsi usare, nonostante gli sia stato ripetutamente detto di evitare simili situazioni. Con la sua passione per la fotografia, è lui stesso a scattare le foto e a portare in giro i ragazzi nel Palazzo Apostolico. Ragazzi spesso problematici, che ottengono ciò che vogliono, salvo poi – una volta esaurito l’interesse – sputare veleno sull’uno o l’altro chierico su post sui social o su dirette pubbliche su TikTok. 

Un sistema malato non partorisce figli sani

E c’è di più: mentre alcuni mantengono il riserbo su questioni delicate, altri diffondono senza scrupolivoci false, pur sapendo di essere essi stessi il problema. L'idea è quella tipica di chi nutre dei disturbi: lancio fango sperando di screditare chi parla, così quando parlerà di me potrò dire che non è vero. Il risultato, però, è esattamente l'opposto e sono numerosi i casi in cui qualcuno sottolinea: "Ah, ecco perchè diceva quelle cose..." (Sic!)

Ci sono soggetti che arrivano persino a rivelare dettagli privati sui movimenti del Papa, mettendo a repentaglio l’intero apparato di sicurezza. La scelta di Francesco, allora, fu di portare Silvestrini “più dentro”, riconoscendone comunque alcune capacità, per evitare che Sant’Anna si trasformasse in un corridoio turistico per giovani in cerca di tour esclusivi. Le Guardie raccontano di ragazzetti introdotti dal sacerdote senza neppure raccoglierne le generalità: un segno evidente di superficialità.

E torniamo così a ciò che Silere non possum denunciava giorni fa: in Vaticano c’è chi può fare ciò che vuole, e chi invece deve attenersi alle regole. C’è chi ostenta, pubblica e millanta, e chi deve invece lavorare in silenzio e con professionalità. Qualcuno, poi, ha fatto notare che come al solito alcune scelte lasciano il tempo che trovano: mentre aPorta Sant’Anna veniva vietato l’ingresso a piedi a chi si presentava in nome di un determinato religioso, la stessa gente veniva comodamente trasportata dentro con auto targate SCV, trasformando la regola in farsa. Siamo sempre allo stesso dramma: una formazione sacerdotale che non insegna a distinguere le relazioni vere da quelle tossiche. Le amicizie autentiche non sono quelle coltivate con chi su TikTok ti diffama in diretta, né con chi usa le tue foto per ostentare privilegi sui social. E se queste cose non le insegniamo in seminario, sarà impossibile risolverle dopo, spostando le persone da un incarico all’altro.

In sostanza: i Papi cambiano, ma le corti restano. E non di rado, a pagare il prezzo più alto sono proprio i servitori fedeli, quelli che da anni sono al fianco del Pontefice: trascinati loro malgrado nelle sabbie mobili di potere e favoritismi, finiscono per subire lo scotto del non piegarsi ai compromessi. Il castigo è sempre lo stesso: diffamazioni e attacchi confezionati ad arte dalle solite rane dalla bocca larga, che sui social si dilettano ad accusare i collaboratori più leali del Papa di essere in vacanza, quando in realtà stanno lavorando al servizio del Successore di Pietro.

Questo è il cosiddetto “magico mondo vaticano”: c’è chi ne sogna l’accesso come fosse un luna park esclusivo, chi vi è costretto suo malgrado, e chi, pur di strappare una foto o una tessera – magari senza alcun diritto – sarebbe disposto a svendere la madre o persino a manipolare il nunzio protettore morente, piegandolo ai propri interessi e giochi di prestigio. 

Oggi il Papa si trova a dover fronteggiare tutto questo: dinamiche che, forse, si potrebbero anche giustificare nel primo anno di seminario, ma che dopo decenni di ministero diventano semplicemente grottesche. Alla fine, resta sempre qualcuno che non è mai cresciuto, un eterno seminarista alla perenne ricerca della talarina da incensare. Leone XIV ne è pienamente consapevole e, tutt’altro che sprovveduto, sa bene che attorno a sé si muovono figure che rischiano di trasformarsi in un pericolo più che in un sostegno. Resta una realtà amara quanto innegabile: i Papi passano, ma le corti restano immutate.

d.E.V. e F.P.
Silere non possum