Sanremo - L’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata ha reso noto che, lo scorso 12 settembre, nella festa del Santissimo Nome di Maria, il Ministro Generale, padre Immacolato M. Acquali, ha notificato a padre Stefano Maria Manelli il decreto con cui il Dicastero per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha concesso l’indulto di dispensa dai voti religiosi, richiesto dallo stesso fondatore. Con questo provvedimento, padre Manelli cessa ufficialmente di appartenere all’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata che aveva fondato con P. Gabriele Maria Pellettieri. Come previsto dal diritto canonico, sarà ora il vescovo di Sanremo–Ventimiglia, mons. Antonio Suetta – che nel settembre 2022 aveva accolto Manelli “in prova” per un triennio – a emanare il decreto di incardinazione del sacerdote nella diocesi ligure. Nella stessa comunicazione, il Ministro Generale ha chiesto a confratelli e fedeli una speciale preghiera per il buon esito del Capitolo Generale straordinario ormai imminente, affidando ogni cosa alla protezione della Vergine Immacolata, nella luce della festa dell’Esaltazione della Santa Croce.
Un annuncio che segna forse l’epilogo di una vicenda dolorosa: quella di una famiglia religiosa ricca di frutti spirituali, i Francescani dell’Immacolata, precipitata negli ultimi decenni in un intreccio di tensioni e dinamiche clericali malate e dolorose.
La fondazione
Fondata nel 1990, l’istituzione affonda le sue radici in una comunità nata vent’anni prima in Irpinia, quando un gruppo di frati minori conventuali inaugurò una vita prevalentemente contemplativa. Con la crescita delle vocazioni, la fraternità si aprì anche all’apostolato, soprattutto attraverso i media – stampa, radio, televisione – ispirandosi al modello delle “Città dell’Immacolata” di san Massimiliano M. Kolbe, canonizzato proprio in quegli anni. Il riconoscimento canonico arrivò dapprima a livello diocesano, grazie all’arcivescovo metropolita di Benevento che eresse l’istituto con sede a Frigento (AV), e poi, il 1° gennaio 1998, con l’elevazione a diritto pontificio. Peculiare è sempre stato il quarto voto, detto “Voto Mariano”, che rende i Francescani dell’Immacolata missionari in senso stretto. Negli anni successivi al 2009 l’Istituto iniziò a vivere dissidi interni segnati da tensioni che avevano come oggetto anche la liturgia.
Fino ad oggi, il governo dell’Istituto è stato affidato a padre Immacolato M. Acquali come Ministro Generale, affiancato da padre Massimiliano M. Zangheratti (vicario e procuratore generale), padre John Francesco M. Lim (segretario generale) e padre Alfonso M. Bruno (consigliere generale). A essi si aggiungono i delegati generali per i diversi continenti: padre Rosario M. Sammarco per l’Europa, padre Ignazio M. Manfredonia per gli Stati Uniti, padre Gennaro M. Tindoy per le Filippine e il delegato per l’Africa.

Fedeltà e fratture
La peculiarità di questo Istituto è stata soprattutto quella di riportare in vita il carisma francescano nella sua forma più radicale. I frati sceglievano di vivere concretamente la povertà, ascoltavano le costituzioni e la regola o le vite dei santi durante i pasti, dedicavano ampio spazio alla preghiera e alla pastorale, coltivando al tempo stesso una profonda spiritualità mariana. La preghiera in latino, insieme a un forte impulso all’evangelizzazione tramite i nuovi canali di comunicazione, divenne un tratto distintivo. Fondamentale fu anche la devozione a san Massimiliano Maria Kolbe. Non va dimenticato che l’intuizione di padre Gabriele Maria Pellettieri e di padre Stefano Maria Manelli nacque dopo anni trascorsi nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, la cui situazione – purtroppo – appare critica ancora oggi. Eppure, la storia di questo Istituto sembra incarnare, nel bene e nel male, ciò che Papa Leone XIV ha dichiarato nella sua intervista dello scorso luglio: «Parte del problema è che la liturgia è stata usata come strumento politico, diventando un pretesto per altre battaglie. Ci siamo polarizzati anche su questo: ma davvero, se celebrassimo bene la liturgia del Vaticano II, ci sarebbe tutta questa differenza? (…) Ormai la polarizzazione è tale che spesso le persone non sono neppure disposte ad ascoltarsi. Questa chiusura è un problema: significa che siamo nel campo dell’ideologia, non più nella comunione della Chiesa».
Alcuni hanno parlato del “più grande fallimento di Summorum Pontificum”: il motu proprio di Benedetto XVI intendeva infatti rendere accessibile la liturgia antica per farne riscoprire la bellezza, non certo trasformarla nell’unico rito, rinnegando quanto adottato da San Paolo VI.
All’interno dell’Istituto, se in un primo momento il Motu Proprio fu accolto con favore e applicato con serietà da diverse comunità, verso la fine del pontificato di Benedetto XVI le tensioni iniziarono ad acuirsi e a sfociare in vere e proprie fazioni. Alcuni frati, insieme a realtà femminili di suore e monache, si orientarono in modo esclusivo verso la liturgia tridentina. In certe comunità, la polarizzazione arrivò al punto che alcuni religiosi rifiutavano di celebrare la Santa Messa secondo il rito di Paolo VI, pur avendo la responsabilità pastorale di santuari e parrocchie.
Lo scontro degenerò al punto da dar vita a blog contrapposti: alcuni schierati con padre Manelli, altri apertamente contro di lui. Comparvero persino pagine Facebook e siti che attaccavano con toni violenti diversi membri dell’Istituto, al punto da spingere padre Alfonso Maria Bruno ad aprire un ulteriore blog per proporre una narrazione alternativa dei fatti. Fu una deriva pericolosa, che diversi soggetti sfruttarono per alimentare zizzania e divisione. In questo contesto, i Francescani dell’Immacolata divennero l’esempio evidente di come Roma, durante il pontificato di Francesco, abbia spesso lasciato che le fratture interne si accentuassero, preferendo intervenire con durezza piuttosto che con delicatezza, formazione e comprensione. L’apice degli scontri si registrò infatti proprio nei primi anni dopo la sua elezione. I commissari pontifici furono nominati, ma il conflitto si inasprì ulteriormente: demonizzazione dei “nemici”, pagine dai toni violenti, accuse e diffamazioni sotterranee. Né l’ambiente pseudo-tradizionalista contribuì a ristabilire la pace, poiché – come ha ricordato lo stesso Leone XIV – si tratta di realtà che spesso rifiutano il dialogo e faticano a misurarsi con la realtà.
Lo si è visto chiaramente anche in questi giorni, dopo la pubblicazione del libro contenente l’intervista al Pontefice: alcuni ambienti tradizionalisti hanno subito attaccato Leone XIV, accusandolo di aver detto a voce alta la verità, ovvero che le battaglie ideologiche sulla questione tridentina generano solo divisione e diventano terreno fertile per maldicenze e diffamazioni contro sacerdoti e avversari etichettati come “nemici”. Negli ultimi anni, tuttavia, i Francescani dell’Immacolata hanno intrapreso un cammino di riassestamento, cercando da un lato di favorire nuove vocazioni e dall’altro di ricostruire un clima di maggiore serenità interna. Nelle scorse ore sono stati ricevuti anche dal Santo Padre, sebbene al loro fianco fosse presente il solito Gianfranco Ghirlanda, che ovunque sia intervenuto ha finito per lasciare dietro di sé più danni di quanti già non ve ne fossero.
Ventimiglia -Sanremo: tra accuse e omissioni
Il fatto che padre Stefano Maria Manelli sia stato accolto nella diocesi di Ventimiglia–Sanremo, dove il vescovo Antonio Suetta continua da anni a portare avanti ciò che già faceva nel seminario di Albenga – senza che a nessuno sembri importare – non è un dettaglio trascurabile. Nelle diocesi di Albenga–Imperia e di Ventimiglia–Sanremo, infatti, sono confluiti diversi membri dell’Istituto e alcuni anche con legami di parentela con il fondatore.
Quanto accaduto in questi lunghi anni, però, non può essere liquidato come una semplice “questione liturgica”. In gioco ci sono state scelte concrete, dichiarazioni pubbliche, inchieste, processi e, soprattutto, vite che hanno portato il peso di tutto questo. Ridurre tutto a un generico “c’erano incomprensioni liturgiche” significa dire una bugia. E poi, anche se fosse, Ventimiglia – Sanremo cosa deve diventare, l’ennesimo refugium peccatorum?
Negli anni passati, c’è stato chi ha giocato a crocifiggere Mons. Mario Oliveri, addossandogli tutte le responsabilità del cosiddetto “disastro del seminario di Albenga”. In realtà, la vita quotidiana del seminario era seguita da Antonino Suetta, che poi sarebbe stato nominato vescovo di Ventimiglia–Sanremo, dopo aver consegnato al mondo l’idea che il suo vescovo fosse il principale responsabile di quel “gravissimo sfacelo” (sic!). Peccato, però, che se Oliveri ha avuto una colpa, è stata semmai quella di un’eccessiva bontà: non era lui a vivere giorno per giorno in seminario e, di conseguenza, non era lui a dover vigilare su certe dinamiche interne.
Ma qual era il vero dramma del seminario di Albenga? La sessualità – come tanto si è detto – o piuttosto le dinamiche malate di chiacchiericcio e di compiacimento nello sparlare del confratello?
Leone XIV, sempre nell’intervista rilasciata lo scorso luglio, ha ricordato: «Un cardinale dell’area orientale del mondo mi disse, prima che diventassi papa: “L’Occidente è ossessionato dalla sessualità”. Per alcune persone, l’identità coincide soltanto con l’identità sessuale, mentre per molte altre, in altre parti del mondo, non è affatto una questione centrale nel modo in cui dobbiamo relazionarci gli uni con gli altri». E se l’Occidente ha questa ossessione per il sesso, tanto più ce l’ha la Chiesa. Non a caso, un presule in Vaticano osserva: «Se fosse stato davvero un problema di sessualità, avrebbero già chiuso anche Ventimiglia… e comunque non siamo lontani da questa ipotesi. Ciò che ha attirato l’attenzione, piuttosto, è stato il buco economico che c’era».
La piaga dei seminari
Il problema di fondo resta sempre lo stesso, e da tempo viene denunciato anche negli incontri del clero e nei meeting dedicati alla formazione permanente. Il vero dramma di alcune realtà ecclesiali - non dimentichiamo le parole di Leone XIV - è il chiacchiericcio, il mettere in giro voci per farsi spazio, il tentare carriere screditando chi si ha accanto o colpendo chi non concede attenzione né asseconda certe pretese. Una dinamica malata che, paradossalmente, viene spesso esportata da quegli stessi ambienti che si è soliti criticare e condannare con veemenza.
La logica è semplice e distorta: vorrei essere come lui? Lo critico. Non mi dà ciò che voglio? Lo diffamo. Per sostenere queste accuse, bisogna inventare: e allora si proiettano sugli altri le proprie fragilità. Se qualcuno è stato cacciato dal seminario, racconterà che a essere espulso sei stato tu. L’idea che tu abbia preso le distanze liberamente non gli sfiora nemmeno, perché quella forza morale e caratteriale lui non l’ha mai avuta, e dunque non può immaginarla negli altri. Se è omosessuale e non lo accetta, dirà che sei tu l’omosessuale, convinto che per te possa rappresentare un’offesa. Se non vive bene il rapporto con sé stesso, con il proprio corpo o con gli altri, attribuirà a te le criticità che non accetta di sé.
Sono esempi concreti che ritroviamo nell’esperienza di 99 seminaristi su 100. Ecco perché, se si vuole davvero guardare in faccia il problema, non basta analizzare i risultati della maldicenza: bisogna andare alla radice, ossia alla maldicenza stessa. Se dunque il vero nodo – ad Albenga come altrove – era la maldicenza, allora l’arrivo di un vescovo che gioca a fare lo psicologo non può cambiare granché. Anche perché di aspiranti psicologi in ambito ecclesiale abbiamo parlato più volte su queste pagine, e sappiamo bene come spesso rivelino molto più di sé stessi che delle persone che cercano goffamente di psicanalizzare. I fatti, del resto, parlano chiaro: il chiacchiericcio continua; persone represse che inventano storie sugli altri e proiettano su di loro le proprie ferite; seminaristi e preti succubi dei loro "parroci-sponsor"; soggetti che cambiano diocesi dall’oggi al domani; confratelli che si accoltellano a colpi di calunnie. Gli esempi, purtroppo, non mancano.
Quello che si è fatto, in definitiva, è stato semplicemente promuovere chi accusava gli altri, chi ha saputo recitare una parte per un certo periodo, spostando l’attenzione su un aspetto secondario e non decisivo. Nel frattempo, si è dimenticato ciò che davvero pochissimi vescovi hanno avuto il coraggio di affrontare: il lavoro lento e faticoso di trasformare la mentalità malata di certe realtà, attraverso una formazione autentica – umana, affettiva e sessuale, oltre che culturale e spirituale. I risultati, del resto, sono emersi nel giro di pochi anni – se non addirittura di pochi mesi – dalle scelte scellerate compiute. E oggi non resta che leccarsi le ferite.
Ferite ecclesiali
A Ventimiglia–Sanremo, dunque, sta crescendo una realtà che in parte richiama la situazione del seminario di Albenga, dove pure esistevano criticità, ma non certo quelle sbandierate con clamore mediatico. Purtroppo, c’è ancora chi pensa che vivere nella Chiesa significhi abitare in piccole oasi felici, dove la maldicenza diventa verità assoluta. Il dramma si manifesta quando, usciti dalle loro pievi e dalla protezione dei loro sponsor, questi soggetti finiscono irrisi: perché le loro insofferenze sono palesi, sono oggettive, e non semplici chiacchiere da sagrestia che attribuiscono agli altri.
La vicenda che ha coinvolto i Francescani dell’Immacolata ce lo ricorda con chiarezza: la sostanza non è cambiata, e forse qualcuno se n’è anche accorto. Modernisti o tradizionalisti che fossero, quando si tratta di alimentare dinamiche malsane sanno convivere senza problemi. Certo, possono dividersi sulla tovaglia o sulle candele sull’altare, ma quando c’è da sparlare e minare la fraternità, non esistono differenze liturgiche che tengano. Alla fine, resta l’amara constatazione: i veri nemici della comunione non sono le divergenze teologiche, ma l’incapacità di riconoscere l’altro come fratello. E questo, in qualunque veste lo si viva, è il tradimento più grande della vocazione stessa.
d.E.G. e f.C.T.
Silere non possum