Anche nel panorama ecclesiale statunitense, Papa Francesco è riuscito a generare una profonda divisione, riflessa anche all’interno del Collegio cardinalizio. Se da una parte troviamo cardinali americani creati da Benedetto XVI, come Burke, DiNardo, Harvey e Dolan, su posizioni più cattoliche e ben distanti dal progetto di Chiesa di Bergoglio, dall’altra emergono figure come Gregory, Farrell, Cupich, Tobin, McElroy e Prevost, tutte nomine di Francesco, rappresentanti di un fronte più ideologicamente marcato e con non pochi scheletri negli armadi.

In particolare, durante il prossimo conclave, peseranno i voti di alcuni tra i più stretti sostenitori dell’attuale pontificato: Tobin (Newark), Cupich (Chicago), Gregory (Washington) e McElroy (Washington). Tuttavia, anche all’interno di coloro che vengono definiti "bergogliani" vi sono sfumature rilevanti. Il cardinale Prevost, pur nominato da Francesco e posto da lui a capo del Dicastero per i Vescovi, è considerato da molti come una figura meno organica al “partito di Francesco”. In queste ore è passato sulla bocca di qualche cardinale ultraottantenne. La sua limitata autonomia nel governo del dicastero, dovuta a un controllo centralizzante da parte del Papa, e alcuni accenni positivi al suo passato alla guida degli agostiniani, lo rendono un nome amico a chi vede la necessità di cambiamento. Del resto, anche queste categorie giornalistico-politiche - bergogliani e non - che ritroviamo nei salotti televisivi o sui giornali, non sono affatto reali. I cardinali creati da Francesco non sono compatti con lui, anzi. Molti gli contestano di non aver osato abbastanza, altri lo ritengono troppo sfacciato. 

La vera divisione, perché di questo si tratta, oggi non è tanto sullo stile personale del Papa, ma su due visioni opposte di Chiesa. Da una parte, vi sono coloro che desiderano una Chiesa “sociale”, anche se non sempre si riconoscono nello stile di Francesco. Tuttavia, ne condividono l’impostazione di fondo, che spesso comporta: confusione dottrinale, opacità nei rapporti con i media per controllare l’informazione, strumentalizzazione del diritto canonico, ambiguità morale, e una figura papale ridotta a semplice uomo fra gli uomini, possibilmente schierato ideologicamente e politicamente. Dall’altra parte, vi è chi ritiene che il Papa debba essere un principio di unità, un uomo che parla poco ma con chiarezza e fermezza, senza intrighi mediatici ma solo tramite i canali ufficiali e sobri della Santa Sede (di dodici anni fa). Un Papa che vive nel Palazzo Apostolico, non per privilegio, ma per sottrarsi al chiacchiericcio curiale e ai giochi di potere. Un pontefice saldo nella dottrina e nella morale, capace di guidare la Chiesa con decisione verso Cristo.

Anche fuori dal Conclave, e fuori dal Sacro Collegio, Francesco ha seminato zizzania fra i presuli statunitensi. Nelle scorse ore l'Arcivescovo Charles Joseph Chaput O.F.M. Cap., dal 23 gennaio 2020 arcivescovo emerito di Filadelfia, ha rilasciato una intervista al portale The Pillar. Ecco cosa ha detto: 

Lei ha incontrato Papa Francesco quasi 30 anni fa (1997), quando eravate entrambi vescovi diocesani, e ha detto di essere rimasto impressionato da lui e di continuare a considerarlo con affetto. Da quali caratteristiche di Francesco la Chiesa può imparare?
Aveva un istinto naturalmente generoso verso le persone che incontrava, e capiva la natura dei piccoli gesti. Dopo il sinodo del 1997, dove ci siamo incontrati e abbiamo lavorato insieme a Roma, mi ha inviato un bellissimo biglietto personale e una preghiera di novena con un piccolo ritratto della Madonna che scioglie i nodi. Era una delle sue devozioni mariane preferite. L'ho tenuta sulla mia scrivania ogni giorno per anni.
Le piccole gentilezze non sono costose, ma rimangono nella memoria, sollevano lo spirito e hanno un impatto molto più grande delle loro dimensioni. Papa Francesco lo ha capito. Tutti noi potremmo imparare da lui e il mondo sarebbe un posto migliore se lo facessimo.

Se da un lato lei ha elogiato Papa Francesco e le sue iniziative durante il suo pontificato, e ha parlato spesso della sua stima personale per lui, dall'altro ha anche sollevato critiche durante il pontificato di Francesco su questioni che la preoccupavano.
Le parti più dannose dello stile di Francesco sono state la sua mancanza di interesse nel chiarire le questioni teologiche e il suo evidente disgusto per alcune parti della Chiesa. Ha rifiutato di rispondere, ad esempio, alle serie questioni sollevate dai dubia di vari cardinali dopo Amoris Laetitia.
Ogni Papa ha due ruoli chiave nel suo rapporto con la Chiesa universale:
a) essere, nella sua persona, fonte e centro dell'unità della Chiesa, e
b) chiarire l'insegnamento della Chiesa nelle questioni controverse.
Papa Francesco è stato spesso causa di disunione a causa del suo stile e del suo temperamento. E ha rifiutato di chiarire i dibattiti teologici quando è stato chiamato a farlo. Sembrava rifiutare la responsabilità in quelle aree di responsabilità richieste a un papa.
Come cattolici, ciò che crediamo e il modo in cui pratichiamo il culto ci legano come comunità di credenti. Abbiamo lingue, etnie e culture locali diverse. Ma crediamo e adoriamo come un unico popolo fedele che poi si impegna nel mondo con l'amore di Gesù Cristo. In altre parole, il credo è importante. Così come gli insegnamenti che ne derivano.
Papa Francesco, troppo spesso, ha parlato in modo troppo vago di questioni serie, confondendo i suoi ascoltatori e sminuendo la gravità del suo incarico. Ha creato ambiguità su importanti questioni di dottrina, pratica cristiana e legge della Chiesa. E questo non finisce mai bene.

Come ha gestito il suo approccio a un papato così impegnativo?
La fede si vive a livello locale. Sulla maggior parte delle questioni della vita cristiana, Roma è lontana e non immediatamente rilevante. Sono il vescovo locale e i suoi pastori a dare forma al tenore della cultura cattolica. Ho cercato di evidenziare i lati positivi del pontificato di Francesco - e ce ne sono stati molti - e ho cercato di chiarire gli aspetti problematici.

Come dovrebbero i cattolici soppesare i loro obblighi di pietà filiale e di obbedienza con le convinzioni della loro coscienza e la chiamata del Vangelo a dire la verità?
Come diceva San Paolo, abbiamo il dovere di dire la verità, ma sempre con amore. L'obbedienza cristiana non è mai meccanica. Presuppone la buona volontà di coloro che hanno un'autorità legittima, mostra loro un rispetto genuino e si subordina alla loro guida fino a quando non si discostano da ciò che la Chiesa ha sempre ritenuto vero. In altre parole, la vita nella Chiesa è un po' come la vita in un matrimonio sano. L'obbedienza reciproca dei coniugi implica la completa fedeltà reciproca e il mettere l'altro coniuge al primo posto.
Ma il vero amore è sempre fondato sulla verità. Ciò significa che i coniugi hanno l'obbligo di correggersi a vicenda - con amore - quando il comportamento o il modo di pensare di uno o dell'altro coniuge comincia a essere sbagliato. Una sana obbedienza, compresa quella nella Chiesa, richiede molta umiltà. Questo dovrebbe essere il nostro primo istinto. Ma richiede anche il coraggio di essere sinceri sulle questioni di sostanza. La critica all'autorità non è sempre sbagliata. A volte è necessaria.

Tra alcuni cattolici americani, le critiche al pontificato di Francesco sembrano stimolare una sorta di cinismo nei confronti della leadership ecclesiale nel suo complesso. Mi sembra che il cinismo possa alimentare una crisi di speranza. Cosa significa resistere nella speranza, per i cattolici che hanno lottato con la leadership di Papa Francesco?
Gli americani sono pessimi con la storia. Non la apprezziamo davvero perché ci immaginiamo come un “nuovo ordine dei tempi”. Queste parole, in latino, sono impresse sul Grande Sigillo degli Stati Uniti. Ma per chiunque prenda sul serio la propria fede cattolica, conoscere la storia è essenziale. La storia della Chiesa è la nostra memoria di popolo credente e una delle sue lezioni chiave è che, per quanto falliamo, per quanto roviniamo le cose e per quanto le cose sembrino squallide, Dio risuscita i santi per rinnovare la sua Chiesa.

Non ci sono quindi scuse per il cinismo. Esso ostacola l'autoesame e la conversione personale, che sono sempre i primi passi di qualsiasi sforzo più ampio di riforma e rinnovamento della Chiesa. Aggrapparsi al risentimento per questo o quel problema percepito nel pontificato di Francesco non porta a nulla.

Lei ha detto recentemente che la Chiesa ha bisogno ora di “un leader che sappia coniugare la semplicità personale con la passione per la conversione del mondo a Gesù Cristo”. Quali altri attributi ritiene siano necessari per la Chiesa in questo momento?
Un forte intelletto cristiano, preferibilmente reso più forte dall'esperienza della sofferenza o del sacrificio.

Pensa che il Collegio cardinalizio cercherà quello che lei cerca?
Non ne ho idea. Penso che la maggior parte dei cardinali porterà in conclave un desiderio onesto per il bene della Chiesa. Ho fiducia in Dio e nella sua Chiesa, qualunque sia il risultato.

A prescindere da chi diventerà Papa, anche i vescovi diocesani, i parroci, i religiosi e i laici devono essere oggi questo tipo di leader. Qual è il suo consiglio per loro?
C'è un'enorme quantità di bene nel nostro Paese, e mi dispiace che Papa Francesco non l'abbia visto e apprezzato. Ma è anche vero che abbiamo creato la cultura materialista di maggior successo della storia. In pratica, la religione viene schiacciata ai margini da una sfilata infinita di appetiti consumistici e distrazioni. Le preoccupazioni soprannaturali interferiscono con il consumo. Dio non viene tanto attaccato - anche se ora c'è un'ostilità più evidente - quanto ignorato e reso irrilevante.
Nella prossima generazione o due, avremo bisogno di persone e leader meno desiderosi di assimilarsi, più critici nei confronti di ciò che sta diventando il nostro Paese e molto più seri e coraggiosi riguardo alla loro fede cattolica. Siamo destinati a essere testimoni attivi di Gesù Cristo, non compagni di viaggio. Ciò richiederà una vita disciplinata di auto-educazione, immergendoci nelle Scritture e nel buon materiale di lettura cattolico, e assumendo un ruolo più attivo nei gruppi di sostegno alla fede. Dobbiamo prestare maggiore attenzione a ciò che accade nella Chiesa e nel mondo e non avere paura di esprimere le nostre preoccupazioni ai leader della Chiesa. E naturalmente non si può sopravvalutare l'importanza della preghiera, dell'adorazione e dei sacramenti. Sono fondamentali.

A.L.
Silere non possum