In an interview, Mons. Zanchetta's victim tells about the abuses suffered by the bishop friend of Pope Francis.
We talk about abuses in the Catholic Church. Today there is a sectarian drift in the places of formation that leads to abuses of power.
In un colloquio molto franco con la giornalista Silvia Noviasky, una delle vittime di S.E.R. Mons. Zanchetta ha raccontato la sua esperienza di violenza vissuta nel seminario di Oran. Appare dispiaciuto ed allo stesso tempo deluso dall’atteggiamento che ha contraddistinto tutti gli eventi che hanno portato Zanchetta ad una condanna, da parte del tribunale argentino, a quattro anni e sei mesi di reclusione. La vicenda non terminerà certo con questa pronuncia, il vescovo presenterà appello ma M.C. lamenta un atteggiamento troppo superficiale, se non connivente, da parte degli ecclesiastici che avrebbero dovuto occuparsi delle negligenze di questo vescovo.
Si tratta di gravi inadempienze che coinvolgono lo stesso Papa Francesco, che a seguito delle denunce presentate, ha collocato Zanchetta nell’organismo della Santa Sede (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica ) che si occupa di gestire tutto il patrimonio economico. Francesco ha riferito che Zanchetta si sarebbe difeso davanti a lui smentendo le accuse di abusi sessuali ma ha ammesso che la gestione economica nella diocesi di Oran era confusa. Chiaramente il Papa ha voluto difendere una sua decisione, presa con molta fretta, ma non si può non sottolineare come sia inopportuna questa scelta. Il vescovo è stato accusato di mala gestione finanziaria in ben due diocesi e ora viene collocato nel più alto organismo della Santa Sede che si occupa di finanza? È chiaro che qualcosa non funziona. Francesco è legato da amicizia con Zanchetta, lo abbiamo detto più volte, questo non gli ha permesso un giudizio obiettivo e disinteressato. Questo è molto preoccupante perchè l’impressione è che venga utilizzato il pugno forte con i nemici ma per gli amici c’è un trattamento speciale.
L'incapacità di vigilare
Ciò che emerge dalle parole di M.C. è l'incapacità, di ecclesiastici, gerarchicamente superiori a Zanchetta, di vigilare e agire nei confronti di chi commette abusi fisici e psicologici. Il seminarista racconta che sia il vescovo Scozzina (anche lui amico personale di Francesco) sia altri prelati, minimizzavano e lo invitavano a non denunciare. Quando il ragazzo ha scelto di continuare per la sua strada, ha incontrato un rifiuto da parte della Chiesa Cattolica ed emarginazione vera e propria. Chiaramente la Chiesa è fatta di persone e non tutti sono così, per fortuna ci sono persone sagge e che svolgono il loro ministero con devozione, infatti M.C. racconta che ha trovato conforto e supporto in un sacerdote che lo ha ascoltato e gli ha consigliato ciò che era giusto fare.
Il problema però non si è risolto con la condanna di Zanchetta. Il problema è molto più profondo. I vescovi, i formatori, i presbiteri, non sono capaci di affrontare queste questioni e compiono atti che sono irragionevoli. Nel momento in cui si sceglie il rettore del seminario, il superiore di una casa religiosa o di un monastero, nel momento in cui si sceglie il vescovo di una diocesi, è necessario vagliare le capacità di queste persone. Non si tratta della sola preparazione culturale, la quale già oggi è praticamente assente nella maggior parte dei nuovi vescovi, ma si tratta di una competenza umana e psicologica che deve essere vagliata con attenzione. Non si può pensare di ordinare vescovo un frate, un prete, solo perchè ci siamo recati in visita pastorale ad Assisi e ci ha colpito. Non può essere questa la "ponderata scelta" di un futuro successore degli apostoli. Oggi i vescovi hanno responsabilità enormi, devono formare seminaristi, fare da collante per il presbiterio e rapportarsi con la società civile. Non è semplice! Noi conosciamo diversi sacerdoti che sono stati chiamati dal Nunzio apostolico, il quale gli proponeva una diocesi ed hanno detto: "Anche no!". Questo significa che la "corsa alla beretta" sta iniziando a non essere più così allettante. Certo, ci sono ancora quei pretuncoli che sono abbagliati dalla talare paonazza e dai merletti e la mitria, ma sono solo ingenui ricercatori di gloria. La maggior parte dei presbiteri è ben consapevole che, essere vescovo oggi è una bella grana. Se questa è la consapevolezza dei possibili candidati, non ci può essere superficialità da parte di chi chiama. Il vescovo deve essere umanamente e spiritualmente pronto ad affrontare il governo della diocesi. Governare significa affrontare anche tutte le necessità. Se un giovane seminarista riferisce un episodio di abuso da parte del proprio superiore, è obbligo del vescovo indagare. Non si tratta qui solo di diritto, il quale già obbliga l'ordinario ad avviare l'indagine, ma di preoccupazione pastorale. Nel racconto di M.C. emergono quelli che sono i problemi anche riscontrabili nelle denunce per abuso sui minori. Superficialità e volontà di mettere tutto a tacere. Come se non parlandone il problema non esistesse. Non si può più continuare così. Qualche giorno fa abbiamo parlato ad alcuni giovani giuristi su come la Chiesa ha modificato le proprie norme contro gli abusi ed alcuni dicevano: "Purtroppo la Chiesa ancora non ha fatto molto". Abbiamo dovuto spiegare per filo e per segno tutti gli atti normativi introdotti e far vedere loro che le norme oggi ci sono e sono molto severe e dettagliate. Il problema quindi non è la legge ma chi la deve applicare. Ci sono diverse questioni aperte: è giusto che ad indagare il presbitero sia il suo vescovo diocesano? Non c'è un conflitto? La prassi ci insegna che troppo spesso c'è un atteggiamento di "spiccata finta misericordia" che non è ammissibile. È giusto che l'indagine sia compiuta magari da soggetti che non hanno chiaro cosa sia il diritto? Oggi la maggior parte dei vescovi non ha competenze in diritto canonico. Non è forse il caso di impiegare anche laici, vista la scarsita di presbiteri, che possano avviare indagini serie e disinteressate? Ecco, diversi sono i punti che andrebbero affrontati ma il problema non è l'assetto normativo, piuttosto l'applicazione di queste norme che troppo spesso scarseggia.
È necessario tornare a formare presbiteri che siano umanamente pronti. Non è possibile favorire l'ordinanzione presbiterale o episcopale di persone che non hanno la capacità umana e spirituale di affrontare il ministero ma giungono alla conclusione del percorso perchè erano "dalla parte giusta" durante il cammino seminariale. Nel racconto degli abusi spirituali e psicologici questa dinamica emerge spesso, ci sono persone che "sono care ai formatori" e che quindi rientrano nelle sue grazie perchè coltivano il suo narcisismo e il suo ego. Padre Dysmas de Lassus ne parla magistralmente in riferimento a quelle realtà ecclesiastiche che assumono atteggiamenti settari. Ritorneremo presto su questi argomenti per individuarli più chiaramente e comprenderne le dinamiche.
A cura di P.L. e F.P.
Silere non possum
In che periodo hai frequentato il seminario?
Sono entrato quando avevo 19 anni, ora ne ho 28. Sono entrato quando era vescovo Mons. Colombo (attuale vice presidente della Conferenza Episcopale Argentina ndr) è stato nominato vescovo di La Rioja e poi è arrivato Zanchetta. In pratica, ho frequentato il seminario completamente con Zanchetta, sette anni. Tutto quello che ho passato e vissuto è stato un processo più lungo, a differenza degli altri ragazzi.
Come vivevi in seminario?
La verità è che abbiamo avuto un periodo difficile. Anche se siamo entrati tutti con l’illusione di diventare sacerdoti, di servire la gente in nome di Dio, abbiamo vissuto tempi molto duri, con molta discriminazione, molti maltrattamenti e dolore perché la Chiesa ha cercato di nascondere tutto quello che abbiamo vissuto. Discriminazione perché eravamo neri e lui (Mons. Zanchetta) veniva da Buenos Aires, era un bianco e noi eravamo piccoli neri del nord. Non eravamo praticamente niente per lui. Discriminava anche noi compagni perché eravamo grassi, per il nostro stile di vita, c’era gente che aveva 30 anni e lui la trattava come dei vecchi buoni a nulla. Nella denuncia abbiamo detto ciò che abbiamo sperimentato.
C’era un gruppo selezionato, per cui aveva preferenze, a cui faceva regali e dava permessi?
C’era un gruppo selezionato, permessi, regali e viaggi che ti obbligava a fare. Appartenevo a quel gruppo, ma non volevo farmi trasportare da tutto quello che faceva. Ci ha offerto giacche, tute, computer, soldi.
Su quali basi ha offerto del denaro?
Abbiamo subito molte manipolazioni, molti di noi venivano da famiglie povere. Vengo anch’io da una famiglia che a volte non aveva abbastanza da mangiare e, con questa scusa, ci ha manipolato molto. Ci ha toccato dove eravamo più fragili.
E nel tuo caso, qual era questa fragilità?
Mia madre ha avuto un ictus, non gode di buona salute, e lui marciava su questo. Sono cresciuto senza mio padre, non ho mai saputo chi fosse e si lui giovava sulla mia mancanza di una figura paterna. Mi diceva: “Sono il tuo nuovo papà, Dio mi ha messo qui”. A volte sembrava freddo, come se volesse aiutare, ma era tutta una manipolazione.
Si è vantato della sua amicizia con il Papa?
Sì, si vantava sempre di essere amico del Papa, che il Papa lo chiamava o che lui lo chiamava e gli parlava di noi. Quando ero in quel luogo, il Papa era la massima autorità. Era come dire “wow, sta davvero arrivando a rapportarsi con la grande società”. Quando tornava da Roma, diceva: “Sono stato con il Papa, sono stato nella camera del Papa”.
In che senso, come segno dell’intimità che aveva con il Papa?
Sì, come per dire “è un mio amico molto intimo, molto vicino a me”. Questo ci ha messo sotto pressione, ha mostrato il suo autoritarismo e il suo potere. Diceva “posso chiudere il seminario”, “non contraddirmi perché sono il vescovo”.
Questo vi ha impedito di mettergli dei limiti?
Ci ha limitato in questo doppio senso, perché ha detto di essere amico del Papa e ci maltrattava perchè non avevamo pane. A volte veniva a pranzo con noi e noi non sapevamo che sarebbe venuto, non sarebbe dovuto venire perché era un luogo diverso da quello del vescovo. Ci sentivamo sotto pressione per il fatto che veniva a pranzo con noi e non sapevamo che veniva. Ci siamo sentiti pressati dal fatto che ci stava dicendo che era un amico del Papa, che il Papa lo stava proteggendo.
E pensa che sia vero che il Papa lo protegge?
Non solo lo protegge, ma in questo processo che ho visto, ha voluto mostrare il suo potere. Non solo esiliandolo da Orano e dandogli un lavoro (in Vaticano). Quando si conoscevano tutti i problemi amministrativi della diocesi e quelli che portava da Quilmes, per dargli un posto economico lì e ora per mandarlo scortato da due avvocati canonici. A volte ti sorprende, perché cosa succede alle vittime?
Molti si chiedono perché, se non eravate minorenni, perchè non avete posto fine all’abuso.
Sì, la verità è sì. Ma a quel tempo non era così facile, perché non era solo un evento una tantum, di dire “vengo e ti infilo un dito in bocca e te lo appoggio”. C’era tutto un processo di manipolazione. All’epoca non mi rendevo conto di quello che stava succedendo. Quando stavo per lasciare il seminario, ho iniziato a parlare con un prete ed è stato allora che ho aperto gli occhi e mi sono reso conto di quello che avevamo passato. Eravamo molto manipolati, non capivamo la dimensione di tutto quello che aveva fatto e come aveva iniziato il suo processo, dalla cosa più insignificante a quella. Non è stato facile parlarne e fare uscire queste cose.
Alla fine, quando stava per andarsene, il nostro rapporto (con Zanchetta) era più aggressivo. Quando se n’è andato, non mi è andata bene ed è stato allora che ho cominciato ad aprire gli occhi. Anche se i seminaristi di allora, che ora sono sacerdoti, dicevano “il vescovo se ne va” ed erano tristi, io non sentivo nulla. Mi ha anche chiesto come mi sentivo. Ero in seminario qui a Salta e lui mi chiamò per dirmi che, per motivi di salute, sarebbe andato a Roma. Gli ho detto che ero tranquillo e lui si è arrabbiato perché voleva che io piangessi, non mi sembrava un distacco affettivo. Sapevamo e sperimentavamo già quello che era stato fatto con i sacerdoti, che aveno denunciato alla Nunziatura.
Queste denunce alla Nunziatura includevano le tue storie?
Sì, quando padre Martin e altri sacerdoti hanno denunciato, non ci sono state segnalazioni da parte nostra ma da altri ragazzi del seminario, più grandi di noi. Più tardi, quando il vescovo (Scozzina) ce l’ha chiesto, abbiamo scritto una lettera che ho allegato alla denuncia. Quindi sapevo quando se ne andava e perché se ne andava.
Perché se n’è andato?
Perché c’erano accuse da parte dei preti di appropriazione indebita di fondi, abuso di potere e abusi sessuali, tutto quello che stava succedendo qui.
Sapendo il motivo della sua partenza, qual è stata la tua sensazione quando l’hai visto più tardi in Vaticano?
Un sacerdote è venuto a dire che non c’era appropriazione indebita di fondi e c’era, perché lui stesso aveva persino fatto perdere quei quaderni mancanti dell’Istituto Muguerza. Nella denuncia, c’è scritto che c’è stata una perdita di circa 500.000 dollari. La gente veniva addirittura derubata, perché la Muguerza non aveva un titolo avallato dal Ministero e molti andavano perché Zanchetta diceva che era riconosciuto. È difficile credere che la Chiesa si approfitti del bisogno e del desiderio delle persone di migliorarsi e di avere una laurea.
Il posto che gli fu dato in Vaticano era nell’APSA, che è legato all’economia.
Sì, lo hanno destinato a un incarico che ha a che fare con l’economia, anche se sapevano che aveva problemi finanziari a Quilmes e anche a Orano. E il Papa gli ha detto: “Ti sei comportato male, ti ricompenso con un posto economico”. Lì aveva vitto e alloggio. Quando si lascia il seminario, è “arrangiati come meglio puoi, non hai abbastanza da mangiare? Non mi interessa se hai abbastanza per vivere”.
Ti sei sentito sostenuto nel denunciare?
Mi sono aggrappato ad un prete e gli ho raccontato quello che stava succedendo, quello che stavo passando, tutti i traumi e tutto quello che sentivo. Mi sentivo rotto dentro di me, perché ero entrato con un’illusione, senza niente e dubitando di tutto.
Cosa si è rotto?
Volevo essere un prete, vivere una vita celibe e darmi a Dio. E il mio sogno si è infranto, il desiderio di prostrarmi e dire “eccomi, Signore”. Oggi dubito della Chiesa e dell’esistenza di Dio. Ho raggiunto un punto in cui non so se esiste, per non generare rabbia nei suoi confronti, dico “non esiste”. Preferisco credere che non esista piuttosto che pensare che abbia permesso tutto questo. Oggi c’è ancora questa ossessione di proteggerlo, di fargli fare bella figura.
Non mi interessa sapere della Chiesa, non voglio avere niente a che fare con quell’ambiente. Anche perché mi sono sentito abbandonato dalla Chiesa, e lo dico soprattutto per (l’attuale vescovo di Orano) Luis Scozzina. Anche dai sacerdoti della diocesi. Ero agli ultimi anni di teologia e condividevamo ritiri, molte cose, e nessuno veniva a chiedermi come stavo. Qui a Salta, nemmeno.
Perché non vivi più a Orano?
Quando ho lasciato il seminario, sono andato via a mani vuote dopo sette anni. Hanno cercato di compensarmi con una laurea di Muguerza. Più tardi ho scoperto che questa laurea non era approvata dal Ministero dell’Educazione. Non solo mi hanno mentito, ma anche a tutte le persone che hanno pagato per anni per andarci. Penso che ora sia approvato, ma per le persone che hanno studiato prima, non lo è.
Quale titolo hai conseguito?
Professore di studi religiosi e filosofia. Quando ho finito, mi sono reso conto che non avevo l’abilitazione, ho colto l’occasione e sono andato in una scuola pubblica, ho pensato che nel nostro ambiente forse ci avrebbero dato un lavoro in qualcosa. Ricordo chiaramente che andai e la direttrice mi disse: “Sei tu che hai denunciato Zanchetta, vero? È stato allora che ho sentito che la società mi aveva marchiato e che ero limitato. In una scuola pubblica che appartiene al vescovado, mi hanno detto di portare il mio curriculum, che avevano posto e me lo avrebbero dato. Non mi hanno mai chiamato. Dopo che ho fatto la denuncia, molte porte sono state chiuse.
Come sei sopravvissuto dopo aver lasciato il seminario?
Con l’aiuto della mia famiglia. Ho deciso di lasciare Orano e cercare altre strade. Ho deciso di iniziare da zero qui a Salta. Lì, né il vescovo né alcun prete si sono offerti di dire almeno “ehi, vieni a pulire la chiesa e ti paghiamo qualcosa”. Inoltre, l’intero processo era difficile, faticoso, tedioso. Dovevamo andare in tale e tal’altra chiesa per ricostruire i fatti e ho visto come la gente della chiesa non ti trattava allo stesso modo, come i preti ti guardavano male.
C’era rabbia nei tuoi confronti?
C’era rabbia nei miei confronti, da parte del vescovo (Scozzina). Dopo la denuncia ho avuto un incontro con lui ed è stata una rottura totale, non mi ha più mandato un messaggio. Sono andata e abbiamo parlato di quello che è successo, dell’accusa e lui se n’è uscito dicendo che non era così, minimizzando, come fa ancora oggi, cercando di calmare tutto e di non continuare con questo.
Pensavi di ottenere una sentenza favorevole?
Avevo più fiducia nella giustizia civile che in quella ecclesiastica. Ho pensato che fosse una tale bugia che ci hanno portato a Tucumán per testimoniare, e tutto è stato archiviato. Non abbiamo mai ricevuto una risposta concreta. La risposta è sempre stata “tutto è sotto il segreto pontificio” e fino ad oggi non c’è una risposta concreta su cosa stia succedendo.
Pensavano che nessuno ti avrebbe creduto?
Quando ho fatto la denuncia non sapevo se stavo facendo la cosa giusta. C’era tanta pressione dall’esterno: “Non farlo, non è successo niente, non è come dici tu”. A volte ti facevano sentire pazzo. A volte i preti, il vescovo, ti dicevano che non era così e oggi mi rendo conto che hanno cercato di coprire e minimizzare la cosa. A un certo punto mi sono sentito pazzo, non sapevo chi fossi, ho perso la strada. C’era così tanta pressione dall’esterno e ti entravano così tanto nella testa…. Il procuratore è stato un sostegno molto forte, perché ci ha ascoltato e ci ha fatto vedere che questa era la verità.
Nelle arringhe si è parlato di ferite che non si possono misurare e che la strada da percorrere sarà lunga. Cosa viene ora, dopo la sentenza?
Arriva la pace, la pace di sapere che ci hanno creduto e non si sono lasciati intimidire, anche se ha portato due avvocati da Roma per consigliarli.
Ti sei mai sentito messo sotto pressione dai canonisti che hanno accompagnato Gustavo Zanchetta nel processo?
Sì, non avevo i soldi per pagare un avvocato e non sapevo quale avvocato avrebbe davvero corso il rischio in questo caso, perché significava mettersi contro un’autorità della Chiesa. Per questo ammiro molto il coraggio del procuratore (Soledad Filtrín Cuezzo) che ha corso il rischio e ci ha difeso fino alla fine. Dopo la sentenza ho detto a tutti i ragazzi: questa è solo una piccola parte di quello che abbiamo passato. Ma ora il nostro lavoro particolare continua, per guarire quelle ferite che rimarranno per tutta la vita e che sono molto difficili da chiudere.
La Chiesa, dal Papa a Scozzina e a molti sacerdoti della diocesi, chiude un occhio sulla situazione. C’è un canonista che sta parlando, (Francisco Javier) Iniesta, che difende Zanchetta a tutti i costi e ti fa arrabbiare che nessuno abbia mandato qualcuno dalla Chiesa, qualcuno che ci dicesse: “ehi, non sappiamo se è vero o no, ma vogliamo accompagnarvi”. Abbiamo dato tutto alla Chiesa e la Chiesa, che dovrebbe essere una madre, ti uccide, ti spara, ti mette sotto pressione. Perché dici: “Non ho un avvocato per difendermi e lui ne ha due”. È sorprendente l’indifferenza di molti sacerdoti, che hanno anche una laurea in morale, che negano e minimizzano tutto e non credono a niente di quello che è successo. Dopo il seminario ho raggiunto un picco di stress a causa di tutto quello che stava succedendo e nessuno era in grado di aiutarmi, quando prima mangiavamo allo stesso tavolo. Fa male. Questo genera più ferite di quelle che ci sono già, perché tu dici, così come la Chiesa ti ha scelto, non ti ha scelto, perché oggi ti abbandona e ti lascia, se non sei dalla sua parte non sei con la Chiesa. La Chiesa cerca di metterti sotto pressione, cerca di farti abbandonare tutto e coprire tutto ciò che è stato realmente vissuto. Il vescovo (Scozzina)ha inviato ora una lettera. È una totale mancanza di rispetto, quando in realtà noi piangevamo nel suo ufficio, chiedendo aiuto. È una lettera di impunità, mi fa arrabbiare. Sono deluso dall’istituzione che parla tanto delle leggi di Cristo, ma quando si tratta dei loro unti, sacerdoti, vescovi, non le rispettano. Tanto diritto canonico, tanta morale, tanti discorsi su ciò che è bene fare e ciò che non lo è, e loro non lo rispettano.