French press mocks faith and grief of Islamic attack victims. The French have a serious problem with religion.

Nei giorni scorsi ha avuto inizio a Parigi il processo a tre uomini per l’omicidio di padre Jacques Hamel avvenuto il 26 luglio 2016. Il martirio di questo sacerdote ha incredibilmente portato i suoi frutti, nonostante la stampa laicista francese si prenda gioco anche del dolore delle vittime.

L'attentato terroristico

Ci troviamo a Saint-Étienne-du-Rouvray, una cittadina al nord della Francia del dipartimento della Seine-Maritime. È lunedì 25 luglio 2016 e nella chiesa parrocchiale di Saint-Étienne, padre Jacques Hamel sta celebrando la santa messa delle nove. Il sacerdote ha ottantasette anni e alla celebrazione partecipano cinque persone. Alle nove e trenta entrano due ragazzi in chiesa, vestiti con una tenuta da guerra e con addosso delle finte munizioni. I giovani hanno anche dei coltelli. Ordinano al sacerdote di inginocchiarsi e lo sgozzano. Lui urla: «Éloigne-toi, Satan» (Vattene, Satana). Successivamente, grazie all’allarme lanciato da una delle suore la polizia circonderà la chiesa ed annienterà i due giovani che muoiono urlando: الله أَكْبَر (Allāhu akbar ovvero Dio è grande).

Il processo, una testimonianza di fede.

Durante l’udienza, la quarta, celebrata il 18 febbraio 2022, ha testimoniato la sorella del sacerdote, Roseline Hamel. Con grande sofferenza e una voce interrotta dai singhiozzi ha descritto il fratello maggiore, padre Jacques. Un uomo discreto, silenzioso, ma che ascoltava con i suoi occhi e le sue orecchie, ha detto.

Dopo aver sentito la sua testimonianza, Farid Khelil, cugino di uno degli aggressori, si è alzato per chiedere perdono. Roseline ha puntato i suoi occhi blu dentro quelli dei tre imputati seduti dentro la cella di sicurezza e ha urlato: "Non avrete il mio odio. No signori, non avrete il mio odio. Non provare nemmeno un’oncia di odio è la grazia che ho avuto da Dio".

I racconti si sono interecciati e fra la commozione i testimoni hanno parlato di quella mattina terribile. I titoli in televisione, il telefono che improvvisamente non smetteva di suonare. Guy Coponet, 92 anni, uno dei cinque fedeli che erano alla celebrazione quella mattina, è sopravissuto all’attacco. Ha testimoniato quanto avvenuto con grande commozione e fermezza. Ha riferito che quando è stato accoltellato da uno dei due giovani, ha scelto di restare immobile sperando che i due pensassero lui fosse morto. Quando stava terminando la sua testimonianza ha detto che non è riuscito a vedere l’intervento della polizia e si è interrotto in corte d’assise recitando un’ave maria.

La stampa francese non ha perso occasione per deridere la fede e il dolore di quest’uomo riportando sui giornali l’accaduto parlando di una scelta inopportuna, perché, hanno detto, è stata recitata con ostentazione e con intenzioni di proselitismo.

Ci domandiamo...

Possibile la Francia ancora non abbia compreso quali sono le sue radici? Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte condannato quella laicità negativa che regna in Francia ed ha, invece, lodato la laicità positiva che vede lo Stato favorire il fiorire della spiritualità nel rispetto di tutti. La Repubblica Francese ha più volte dimostrato di avere un problema con la religione. Partendo dagli attacchi al cristianesimo fino a giungere ad una derisione, mista a pregiudizio e paura, dell’islam. Se neppure davanti al dolore si riesce a far tacere l’ideologia, forse è il caso di fare un esame di coscienza.

Il processo di canonizzazione

Anche la Santa Sede, dopo il grande clamore mediatico, ha scelto di concedere la dispensa alle norme contenute nella Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister le quali prevedono la possibilità di aprire una causa di canonizzazione solo dopo cinque anni dalla sua morte. Il processo diocesano per l’accertamento della sua morte in odio alla fede si è svolto a Rouen dal 20 maggio 2017 al 9 marzo 2019. In una Messa celebrata a Casa Santa Marta, il Santo Padre  Francesco disse: «È un martire! E i martiri sono beati». 

P.L.

Silere non possum