In the Republic of San Marino, the ceremony with which the new Heads of State begin their six-month mandate was celebrated.

Il 01 aprile 2022, nella Serenissima Repubblica di San Marino, si sono insediati i nuovi capitani reggenti. Si tratta di Oscar Mina e Paolo Rondelli. Hanno ricevuto l’omaggio del Corpo Diplomatico accreditato e l’indirizzo di saluto del Nunzio Apostolico, Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Emil Paul Tscherrig. Successivamente, a Palazzo Valloni, hanno pronunciato il loro primo discorso d’ingresso i Capitani Reggenti eletti. Discorso che si è concentrato sulla cultura del dialogo, specialmente in riferimento alla guerra in corso in Ucraina, “San Marino, hanno detto, non può e non vuole girare le spalle a questa tragedia”. I Capi di Stato si sono uniti all’appello del Santo Padre Francesco che ha chiesto il cessate il fuoco.

Successivamente i Capi di Stato hanno partecipato alla Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E.R. Mons. Andrea Turazzi, vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro. Successivamente, a Palazzo Pubblico, la Ministra della Giustizia della Repubblica Italiana, Marta Cartabia ha pronunciato l’orazione ufficiale, la quale, partendo dalle radici dell’indipendenza sammarinese, ha rimarcato la stretta collaborazione, anche in ambito giudiziario, con la Repubblica Italiana. Un importante richiamo poi a un tema molto caro a Cartabia, ovvero l’ultimo l’accordo “in materia di misure alternative alla detenzione, sanzioni sostitutive di pene detentive, liberazione condizionale e sospensione condizionale della pena”, che è stato firmato proprio il 31 marzo 2022.

Di seguito i testi integrali dei discorsi pronunciati.

Il primo discorso degli Ecc.mi Capitani Reggenti

La Reggenza accoglie con sentimenti di alta deferenza e profonda stima il messaggio che apre la solenne Cerimonia di Insediamento dei nuovi Capitani Reggenti, pronunciato da Sua Eccellenza Monsignor Emil Paul Tscherrig, Nunzio Apostolico e Decano del Corpo Diplomatico e Consolare accreditato in Repubblica.

Un messaggio profondo, che racchiude i moniti e gli auspici per fronteggiare, insieme, la ripartenza e il rilancio, in seguito ad un’emergenza sanitaria che si è prepotentemente abbattuta sui nostri Stati e, insieme, la sciagura bellica, che oggi sta devastando l’Ucraina, mettendo in ginocchio il suo Popolo.

Siamo solidali e vicini al Suo pensiero, Gentile Eccellenza, nella ferma condanna all’aggressione militare; ci associamo convintamente alle suppliche del Santo Padre che invoca la cessazione delle ostilità e non lesineremo sforzi, nel corso del semestre, per sostenere, sempre e comunque, la cultura del dialogo che promuove la via della riconciliazione non violenta e del negoziato politico tra Nazioni e Istituzioni multilaterali.

L’incontro con i Rappresentanti diplomatici e consolari accreditati a San Marino – ai quali la Reggenza rinnova la più viva gratitudine per il tributo di amicizia offerto attraverso questa apprezzata partecipazione – è, allo stesso modo, un’occasione fervida per rimarcare il significato della cooperazione tra Stati e con organismi sovranazionali, soprattutto nella temperie, quale l’attuale, che richiama i valori della concertazione e della unità di intenti, per l’adozione di strategie e di misure congrue ad affrontare le sfide più minacciose.

Con sentimenti di alto onore, deferenza e stima profondi, porgiamo in questa Sala il più vivo benvenuto in Repubblica alla Ministra della Giustizia del Governo Italiano, Marta Cartabia, da ieri in visita sul Titano, per partecipare a questa solenne Cerimonia nell’alto ruolo di Oratore Ufficiale.

Grazie, Gentile Ministra, per questo gradito omaggio che ha inteso rendere alle Istituzioni e al Popolo sammarinese; l’autorevolezza e il prestigio che La precedono ci colmano di orgoglio, così come la Sua dichiarata propensione a conoscere e comprendere più da vicino una peculiare realtà statuale, quella sammarinese, rapportata tuttora al modello della polis vivente; una realtà in cui storia, tradizione e un ordinamento che tramanda fonti statutarie di stampo medievale, convivono in un felice connubio tra presente e passato e nel costante ammodernamento delle fonti, dei principi e dei diritti.

La Sua visita sul Titano si pone in continuità con le Sue più recenti interlocuzioni avvenute con i membri dell’Esecutivo sammarinese, che hanno promosso la sensibile accelerazione impressa alla collaborazione in ambito giudiziario, consentendo la costruzione di una rete di mutue garanzie e un’azione congiunta, ispirata ai principi di modernizzazione e di maggiore efficienza dei rispettivi sistemi giudiziari.

Ne sono concreta conferma le due importanti intese bilaterali che Ella, Gentile Ministra, ha personalmente siglato con la Repubblica, a testimoniare l’utilità di mantenere uno stretto raccordo a livello ministeriale e tra i presidi giuridici, per un’amministrazione che sappia sostenere, come Ella ben definisce ‘il bruciante bisogno di Giustizia, guardiana di ogni libertà’.

È nello stesso spirito che ci preme altresì rivolgere sentimenti di gratitudine e amicizia all’Ambasciatore d’Italia, cui va riconosciuta l’abile azione di tessitura diplomatica, che sta accompagnando l’attuale corso delle relazioni bilaterali.

Un’azione che si inscrive nell’alveo del sensibile rilancio del nostro eccellente rapporto, grazie ai frequenti confronti e ai tavoli aperti in ambito economico, sociale e culturale, che hanno già prodotto risultati significativi in capo alle nostre Istituzioni e ai nostri cittadini.

‘Per ogni problema è possibile trovare una soluzione di reciproca soddisfazione’: con queste parole, lo scorso anno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha accolto i Capitani Reggenti in visita di Stato al Quirinale; è con lo stesso spirito, che San Marino confida oggi nella costante vicinanza e nel sostegno dell’amica Repubblica Italiana, dinnanzi al percorso di effettivo rilancio economico e sociale e, di pari passo, al processo negoziale in corso per una maggiore integrazione europea.

La Reggenza si affaccia al nuovo semestre interpretando il sentimento di sincera trepidazione dei suoi cittadini e d’allarme della comunità internazionale, per l’inqualificabile aggressione ai baluardi della democrazia, della coesistenza e della pace e per la sistematica violazione di diritti fondamentali, in corso da più di un mese nella martoriata Ucraina.

Ricoprire incarichi istituzionali al più alto livello significa riflettere con realismo e lucidità sulle dinamiche politiche, anche internazionali e adottare posizioni coerenti con l’impianto istituzionale e regolamentare di riferimento; non può comunque esimere – e la Reggenza ne rimarca convintamente il significato – dalla denuncia dello sdegno per l’intollerante violazione dei capisaldi della civile convivenza, quando ad essere colpiti sono vite umane e civili innocenti e indifesi.

La Repubblica di San Marino non può e non vuole girare le spalle a questa tragedia che, scuotendo in profondità le coscienze e richiamando ad una mobilitazione politica e civile di dimensione globale, sta causando una perdurante violazione di diritti umani fondamentali, una massiccia crisi umanitaria, e determinando la peggiore catastrofe della recente storia europea.

Al di là del ragionamento basato sullo schema manicheo, la Repubblica ha dichiarato con forza la propria contrarietà all’uso della forza, che va contro i suoi principi cardine, rappresentati dal riconoscimento dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale, dal ripudio della violenza e della guerra, dalla difesa dei diritti umani, della democrazia e della libertà.

Nel richiamarsi alla sua prerogativa identitaria, esercitata attraverso la sua storica neutralità attiva, San Marino ha inviato e continua ad inviare un segnale forte di difesa di questi principi, formulando in ogni sede l’accorato appello affinché si depongano le armi, si faccia ricorso agli strumenti di risoluzione pacifica e di mediazione politica e si sfoci rapidamente in un processo di pace.

Al fianco di questa naturale propensione alla diplomazia e al negoziato e nello spirito che ha caratterizzato le determinazioni assunte in seno al Parlamento, la Repubblica si è espressa in maniera più incisiva rispetto al passato, sostenendo all’unanimità la politica sanzionatoria e allineandosi alle posizioni dell’Unione europea, al pari di altri Stati non membri.

Una decisione reputata necessaria e coerente con l’Europa, con i suoi Stati membri e con gli Stati terzi, ai quali tutti, ci avvicina il comune percorso verso una sempre maggiore integrazione europea e una maggiore interazione dei sistemi economici.

Al pari delle determinazioni assunte a livello governativo e parlamentare, San Marino ha approntato un lodevole progetto di accoglienza in territorio, di cittadini ucraini in fuga dalla guerra, da ascriversi alla sua virtuosa tradizione di sostegno umanitario che da sempre la caratterizza e che l’ha resa gloriosa nei secoli.

Siamo particolarmente fieri del percorso tempestivamente attivato dalla Repubblica, per accorrere in soccorso a un numero crescente di ucraini disorientati e privati dei propri cari, dei propri beni e, al momento, del proprio legittimo diritto a vivere nella pace.

Abbiamo aperto strutture di accoglienza, pubbliche e private, offrendo a centinaia di profughi, in via prioritaria donne e bambini, la fruizione gratuita di beni e servizi essenziali; per questa rinnovata dimostrazione, di ampio valore etico e civile, siamo nuovamente grati alle nostre Istituzioni e ai nostri cittadini e sinceramente commossi per questa straordinaria e spontanea gara di solidarietà, che sta offrendo un’altra bella pagina di umanità solidale.

Il comune impegno personale che questa Reggenza ha svolto in attività interparlamentari, e in via prioritaria in ambito OSCE, ci conduce ad affermare che il cammino verso una soluzione al conflitto che ha colpito l’Ucraina, coinvolgendo il nostro Continente e gli assetti geopolitici mondiali, non possa prescindere da una forte mobilitazione corale, che metta al centro il sistema multilaterale.

Ci preme, al riguardo, rimarcare il ruolo dirimente che tale Organizzazione esprime sul tema cruciale della corretta informazione che, proprio in rapporto al conflitto in corso, assume valore pregnante.

Nell’assunto che le notizie diramate, vere o false che siano, siano parte integrante delle strategie, nonché veicolo politico adottato dalle parti in conflitto, ribadiamo convintamente il sostegno agli Organismi multilaterali, affinché esercitino il proprio dovere, giuridico e morale, di garantire la libertà di espressione e la piena libertà dei mezzi di comunicazione, baluardi di democrazia e di percorsi a sostegno della divulgazione della verità.

La Reggenza intende rimarcarne il principio facendosi garante, anche al proprio interno, per una informazione libera, rispettosa delle diverse sensibilità, secondo i principi della libertà di opinione e di manifestazione del pensiero.

Al contempo, ritiene opportuno richiamare come la deontologia professionale imponga sempre che la diffusione di ogni notizia e informazione ritenuta di pubblico interesse, avvenga con la maggiore accuratezza possibile, previa adeguata verifica delle fonti.

Siamo certamente consapevoli che gli operatori dell’informazione non effettuino mai discriminazioni in ragione della razza, etnia, nazionalità, provenienza geografica e sociale, religione, sesso, orientamento sessuale, condizioni fisiche o mentali opinioni politiche; è pleonastico pertanto affermare quanto la persona, la sua dignità e il suo diritto alla riservatezza debbano sempre prevalere e orientare l’esercizio comunicativo.

L’importanza cruciale che il ruolo di una informazione libera e corretta, scevra da interessi e consorterie di sorta, può e deve svolgere in situazioni di emergenza, è stata ulteriormente constatata nel corso della più recente emergenza pandemica.

La pandemia ci ha mostrato il volto della vulnerabilità di un Paese e di come lo stesso deve prepararsi ad affrontare sfide nuove e sconosciute; ci ha fatto riflettere sulla capacità e, talvolta, la necessità, di dover confidare unicamente sulle proprie forze ed anche sul valore della rete di relazioni bilaterali e multilaterali, che oggi sono parte integrante della vita di uno Stato.

San Marino ha dimostrato in maniera encomiabile di essere all’altezza di una sfida apparentemente sproporzionata, mostrando alla comunità internazionale un esempio virtuoso di capacità di risposta all’emergenza; ha ridisegnato i parametri di una convivenza non più scontata, bensì mutualmente solidale a tutti i livelli.

Nella fase attuale, che vogliamo definire ‘post-pandemica’, ma che ancora ci trattiene dal definitivo allentamento delle misure restrittive e di contenimento del virus, è doveroso non dimenticare, bensì valorizzare una fase decisamente storica per il nostro piccolo Stato, che ha mostrato un grande volto: il volto dell’assistenza – e qui il pensiero va in primis al servizio medico, infermieristico e ospedaliero -, che passa attraverso l’anima del mondo sanitario e l’innata generosità al soccorso riconducibili, come ben sottolineato, ad un concetto etico prima che medico.

Naturalmente, al fianco dei servizi in prima linea a tutela della salute, non dimentichiamo e non dimenticheremo, lo sforzo corale di tutti coloro che, Istituzioni, Protezione Civile, Corpi Militari e di Polizia e tantissimi, tantissimi volontari, si sono prodigati oltre misura nell’esclusivo interesse della nostra cittadinanza, favorendo quel collante di fraterna protezione, di cui il nostro Stato è stato ed è paladino in ogni fase di necessità.

Nell’esercizio del nostro alto ruolo super partes, opereremo coscienti di fungere da guida etica e morale della Repubblica, dei suoi concittadini e di coloro che risiedono sul suo territorio, rigettando ogni forma di discriminazione e improntando l’azione su rigorosi criteri di equità e rispetto.

In tal senso, invitiamo ogni rappresentante delle Istituzioni a farsi promotore di linguaggi e di azioni che rinneghino ogni messaggio d’odio e di prevaricazione, ribadendo come proprio dalle Istituzioni debbano giungere gli esempi e le buone pratiche per formare una società aperta al dialogo, al cambiamento, alla equità e alla libera espressione del sé.

Plaudiamo, al riguardo, alla più recente adozione parlamentare del Codice di Condotta per i rappresentanti consigliari, che denota una sensibilità molto moderna da parte delle nostre Istituzioni; lo reputiamo uno strumento che, pur non avendo valore cogente, corrobora la cultura democratica, sancendo una serie di principi morali di riferimento, e preservando il decoro e l’alta considerazione che la comunità deve continuare a nutrire nei confronti dei simboli dello Stato e nell’esercizio delle più alte funzioni parlamentari.

Allo stesso tempo – anche in conformità ai parametri internazionali dettati dagli organismi multilaterali -, il nuovo Codice si pone a presidio e tutela dei fenomeni della corruzione e delle forme di discredito verso le Istituzioni.

Ai nostri cittadini vogliamo infondere un messaggio di fiducioso ottimismo, indirizzato al conseguimento di maggiori garanzie di benessere, ancor più oggi, nelle attuali congiunture che ne hanno rallentato il pieno raggiungimento; accompagneremo il percorso avviato dalle Istituzioni, verso riforme istituzionali necessarie e non procrastinabili, per l’adozione di nuovi e maggiori standard competitivi per il sistema economico e per un rinnovamento dell’attuale assetto amministrativo.

Un percorso che possa assicurare progressivi avanzamenti anche nel conseguimento effettivo della parità di genere, dei principi di uguaglianza, di giustizia sociale e di pari opportunità, consci che la nostra Repubblica possa pervenire appieno all’affermazione di una cultura degna delle più avanzate democrazie.

A tal riguardo, auspichiamo che la più recente adozione di importanti interventi di riforma in materia di Giustizia, sia propedeutica all’accelerazione doverosa sui temi in agenda rimarcando l’opportunità che, sempre e comunque, prevalga la concertazione e la condivisione con tutte le forze politiche, sociali ed economiche, in uno spirito costruttivo e non pregiudiziale, che sia ispirato ai principi della legalità, dell’onestà e della fiducia tra le Parti.

Sono, questi, capisaldi irrinunciabili, ancor più nel cammino che oggi si è deciso di intraprendere e che andrà ad assicurare il futuro delle nostre nuove generazioni, tracciando le nuove coordinate per i nostri giovani.

Con affetto, oggi più che mai, siamo al loro fianco, ne percepiamo le preoccupazioni e, al contempo, l’ardore di veder assicurate loro le migliori chances per un contributo alla crescita del loro e del nostro Paese.

Abbiamo il dovere di garantire ai nostri giovani, l’adozione di politiche incentivanti che valorizzino i talenti, le creatività, le nuove conoscenze, tecnologiche e digitali, la visione e la formazione maturata in contesti allargati; ce lo raccomanda il diritto internazionale, ce lo impone la legislazione interna, ce lo suggerisce la nostra coscienza di cittadini responsabili e ce lo richiama un imperativo etico a cui non ci si può sottrarre.

Siamo consapevoli che ai giovani trasmettiamo un testimone denso di aspettative, proprie delle fasi straordinarie che stiamo vivendo nel nostro continente e al nostro interno; è a maggior ragione nostro dovere, far sì che possano beneficiare di tutti gli strumenti necessari a promuovere la società del futuro e ad essere i nostri migliori Ambasciatori.

Siamo altresì al fianco di tutte le fasce più vulnerabili della nostra comunità che, a vario titolo, rivendicano oggi una maggior attenzione; un’attenzione e un impegno che intendiamo vivamente garantire e implementare, ponendole al centro della vita istituzionale.

In questo semestre vogliamo conquistare il sorriso dei nostri anziani, a cui dobbiamo tanto; un sorriso che contribuisca ad offrire ulteriore slancio all’azione delle Istituzioni e nostra personale, che da questa preziosa fascia della società ha tratto saggezza, conoscenza, esperienza, storia e stimoli determinanti alla valorizzazione delle nostre radici e al cammino verso una società sempre migliore.

Una società inclusiva, che non lasci indietro nessuno e che promuova un vero e proprio dialogo intergenerazionale, quale vera e propria sfida per la nostra cultura.

Siamo particolarmente convinti che la cultura sia e debba essere unanimemente riconosciuta quale valore fondativo di una società aperta, plurale e conscia che la ricchezza e la prosperità di un Paese, ancor prima del peso economico, industriale e materiale, sono riconducibili all’inestimabile patrimonio immateriale di cui dispone.

In maniera determinante in questo momento storico, nel quale è articolato il confronto sulle modalità di recupero e di rinascita anche del nostro sistema, reputiamo necessario l’investimento in cultura, che si pone quale collante indispensabile per promuovere l’unità e rafforzare il nostro patrimonio identitario, ottimo indicatore del livello di civiltà e di vita dei nostri cittadini.

È un tema cui rivolgiamo e rivolgeremo prioritario impegno, non lesinando proposte e sollecitazioni, perché siamo certi che investire in cultura significhi investire nel futuro e sviluppare un valore che appartiene alla nostra storia; perché la cultura è patrimonio storico e artistico, è territorio, è spettacolo ed è anche scienza, filosofia, creatività e competenza.

Accendere i riflettori e investire nel recupero e nella valorizzazione di questi asset, significa promuovere una traiettoria privilegiata per un pieno sviluppo sociale e civile della nostra Repubblica, offrendo al contempo un volano strategico di crescita economica, su cui possono incardinarsi realistiche prospettive di ulteriori ed ambiziose affermazioni internazionali.

Non da ultimo, considerata la triste contingenza che la porrebbe ai vertici dell’azione istituzionale, ci preme rimarcare il valore di una cultura al servizio della pace, che per la nostra antica Terra rappresenta un elemento distintivo della sua vocazione millenaria a comporre diatribe e a difenderne il suo sacrosanto diritto.

È in questo spirito che ci apprestiamo oggi a formulare l’imminente e solenne Giuramento al servizio esclusivo dei nostri cittadini, nell’auspicio di non precludere alcuna opportunità di mediazione, di confronto e di attiva sollecitazione verso i percorsi di pace; percorsi, questi, ineludibili per ricondurre la nostra civiltà a quei sentimenti, pensieri e aspirazioni di umanità e progresso che la Storia – magistra vitae – da sempre le ha riservato”.

L'orazione ufficiale della Ministra della Giustizia della Repubblica Italiana, Marta Cartabia

Serenissimi Capitani Reggenti,

Illustri Signore e Signori,

Vi ringrazio sentitamente per la Vostra accoglienza. In particolare, esprimo la mia riconoscenza ai Capitani Reggenti eletti per le cortesi parole che mi hanno rivolto nel loro discorso di ingresso, nel corso della cerimonia a Palazzo Valloni. Saluto i membri del Consiglio Grande e Generale e del Congresso di Stato, come pure il Corpo diplomatico e tutte le altre autorità convenute, religiose, politiche, militari e giudiziarie. Nel rivolgermi a voi, saluto idealmente l’intero popolo di San Marino.

Il 7 maggio del 1861, il Presidente degli Stati Uniti d’America, Abramo Lincoln, che, come è noto, era un vostro cittadino onorario, in una lettera indirizzata ai Capitani Reggenti di San Marino, così scriveva, in risposta a una missiva ricevuta nel marzo precedente dai Capi di Stato della Repubblica sammarinese: «[…] Benché il vostro dominio sia piccolo, nondimeno il vostro Stato è uno dei più onorati in tutta la storia. Esso ha con la sua esperienza dimostrata la verità, così piena d’incoraggiamento per gli amici della Umanità: che un Governo fondato su principi Repubblicani è capace di essere sicuro e durevole».

Desidero riprendere un paio di passaggi della vostra storia, perché sebbene non si ripeta mai uguale a sé stessa, riflettere su ciò che è stato arricchisce la nostra memoria e, dunque, la nostra consapevolezza e può aiutarci a capire di più chi siamo oggi. Quella di San Marino, invero, è la repubblica più durevole e longeva della storia. La tradizione, infatti, vuole che essa affondi le sue radici nel IV secolo d.C., nelle vicende del Santo Marino, uno scalpellino di origini dalmate il quale, per amore della libertà, si rifugiò sul Monte Titano e costituì una nuova comunità. Marino amava a tal punto la libertà che, sempre secondo la tradizione, sul letto di morte ebbe a raccomandare una cosa sola agli uomini che insieme a lui avevano costituito la nuova comunità: «Relinquo vos liberos ab utroque homine». In epoca postuma, si volle interpretare il lascito di Marino ai membri della sua comunità come un invito a essere liberi dall’autorità temporale e da quella religiosa, offrendo così la prima legittimazione alla “indipendenza” di San Marino. Questa interpretazione, nata sulle basi di una tradizione quasi leggendaria, è evidentemente postuma: è infatti irrealistico pensare che Marino potesse porre sullo stesso livello il papa e l’imperatore già nella metà del IV secolo, pochi decenni dopo l’editto di Milano.

Eppure, dalla iniziativa di Marino, i vostri padri hanno raccolto la preziosa eredità della libertà e dell’indipendenza. Rivolgendomi oggi a voi, non posso che dichiararmi in totale sintonia con questo patrimonio di valori che è alla base della vostra identità più profonda. Partendo da questi valori, la Repubblica di San Marino è rimasta sempre ben saldamente ancorata alla migliore tradizione democratica del continente europeo continuando tuttavia a rinnovarsi, come documentano anche le recenti riforme.

In queste ultime settimane, stiamo vivendo un momento particolare della storia del nostro continente: proviamo allo stesso tempo sentimenti di orgoglio e di orrore. Orgoglio per lo sforzo che stiamo compiendo insieme per fare fronte ad alcune derive illiberali che stanno minacciando l’Europa. Vorrei ricordare tra queste iniziative anche l’accoglienza ai rifugiati ucraini, cui San Marino, mantenendo fede alla sua tradizione, non si è sottratta, aprendo le sue porte a circa 300 profughi. Orrore per la distruzione e la devastazione che vediamo come conseguenza dei bombardamenti indiscriminati delle città ucraine da parte delle forze militari russe. Di fronte a questi fatti, dobbiamo continuare a coltivare una speranza incrollabile nella capacità di resistenza della democrazia liberale su cui il mondo autoritario non potrà imporsi. Non possiamo nutrire dubbi sul fatto che la forza militare non può vincere, perché la democrazia è più forte della oppressione; che la società aperta, unita e compatta, può vincere sulla brutalità della guerra, anche quando non imbraccia le armi, come l’Europa ha saputo dimostrare all’indomani della Seconda guerra mondiale, grazie agli strumenti di prevenzione e risoluzione dei conflitti che la Comunità, prima, e l’Unione europea, in seguito, hanno creato e continuamente innovato nel corso del tempo.

Lasciatemi dire con enfasi: se non si afferma la forza della legge, prevale la legge della forza. Quello che è vero per le persone vale anche per le nazioni. Le relazioni inter-nazionali (fra le nazioni), infatti, sono come le relazioni inter-personali (fra le persone): si deve partire dal dialogo, che presuppone l’ascolto attento delle ragioni dell’altro, per abbandonare la violenza della prevaricazione e – in particolare, nei rapporti tra Stati – ricomporre le controversie affidandosi al rispetto del diritto. È su questi parametri che dobbiamo misurarci, per inaugurare un terzo inizio dell’Europa nella nostra epoca, dopo i nuovi inizi seguiti alla Seconda guerra mondiale e alla caduta del muro di Berlino.

In questi terribili giorni di guerra nel cuore dell’Europa, mi preme rimarcare come gli accordi di cooperazione tra Stati ugualmente liberi e sovrani, saldamente inseriti nei consessi internazionali volti a favorire la pace e la giustizia tra le Nazioni, costituiscano un prezioso strumento di reciproco aiuto indispensabile per costituire una comune base di conoscenze ed esperienze, nonché per creare una convinta e diffusa condivisione di valori e principi.

È per questa ragione che, il 26 maggio 2021 a Roma, abbiamo sottoscritto l’accordo di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie in materia di sequestro e confisca dei beni d’illecita provenienza; è per la stessa ragione che abbiamo firmato, proprio in occasione di questo importante incontro istituzionale, l’analogo accordo in materia di misure alternative alla detenzione, sanzioni sostitutive di pene detentive, liberazione condizionale e sospensione condizionale della pena.

Si tratta di accordi di grande rilievo, che segnano un marcato passo in avanti nella già ottima cooperazione giudiziaria tra i nostri Paesi, avvicinandola ai modelli già in uso per l’Italia nell’ambito dei suoi rapporti con gli Stati Membri dell’Unione europea, fondati – com’è noto – sui principi del mutual trust e del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie.

Il mio personale auspicio, pertanto, è che questi accordi possano essere rapidamente ratificati ed entrare in vigore, in modo da dispiegare al più presto i loro benefici effetti.

L’eterogeneità dell’oggetto degli accordi dimostra quanto ampio sia lo spettro della collaborazione tra i nostri due Paesi che, infatti, va dal campo del congiunto contrasto alle più gravi forme di criminalità economica al campo dell’esecuzione penale intesa lato sensu, ossia comprensiva di pene e misure non detentive, che vanno a rafforzare le possibilità di reinserimento sociale della persona condannata. L’accordo firmato ieri qui a San Marino riguarda infatti il riconoscimento e l’esecuzione, nei rispettivi ordinamenti, di decisioni giudiziarie relative a misure alternative alla detenzione, a sanzioni sostitutive delle pene detentive di breve durata, a misure sospensive dell’esecuzione della pena o del processo, corredate da obblighi e prescrizioni tendenti al reinserimento o mantenimento del reo nel tessuto sociale, lavorativo e familiare di appartenenza. Studi empirici da tempo condotti in Italia e all’estero mostrano come simili alternative al carcere, applicate in luogo della pena detentiva o nella fase terminale della sua esecuzione, secondo una logica di progressione del trattamento rieducativo, si rivelano particolarmente efficaci nel contrasto della recidiva: sono pertanto utili non solo per il condannato, ma per la società intera, anche in termini di maggiore sicurezza. È d’altra parte evidente che le possibilità di un effettivo reinserimento sociale sono ancora maggiori quando le pene, anche quelle alternative e sostitutive, vengono eseguite nel Paese in cui l’autore del reato ha i propri legami familiari, affettivi, lavorativi e socio-culturali.

Mi piace in questo contesto anche ricordare il parallelismo, almeno cronologico, fra il processo di riforma della giustizia in Italia e quello portato avanti a San Marino. Gli ultimi due anni, infatti, sono stati caratterizzati dall’approvazione di una serie di leggi di riforma del sistema di giustizia sammarinese di rilevanza storica per le istituzioni di questa Repubblica che vede il suo caposaldo nella legge costituzionale del dicembre 2021, che riforma la magistratura, l’ordinamento giudiziario e il Consiglio giudiziario. Essa è accompagnata da una serie di leggi ordinarie e da un nuovo Codice etico dei magistrati. Con il nuovo disegno legislativo si rinnovano profondamente anche le composizioni e le funzioni dell’organo garante dell’autonomia e della indipendenza di tutta la magistratura, il Consiglio Giudiziario, garantendo equilibrio tra la componente laica e quella togata. Con questo processo riformatore, la giustizia sammarinese diviene più compatibile con gli altri sistemi europei, uniformandosi ai parametri suggeriti dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) del Consiglio d’Europa.

Vorrei salutare il grande lavoro svolto dal primo magistrato di San Marino, il Dirigente del Tribunale, Giovanni Canzio. La presenza di un magistrato italiano a ricoprire la più alta carica giudiziaria di San Marino rende ancora più evidente l’osmosi esistente fra i nostri due Paesi, che abbraccia anche tanti altri ambiti.

Ovviamente non è questa la sede per compiere un’approfondita disamina dei due accordi firmati fra i nostri Paesi in materia di cooperazione giudiziaria, ma in relazione a quello in materia di sequestri e confische mi preme comunque rimarcare che si tratta di uno strumento assai più moderno e avanzato delle Convenzioni del Consiglio d’Europa attualmente applicabili – la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca e la confisca dei proventi di reato firmata a Strasburgo nel 1990 e la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo firmata a Varsavia nel 2005.

Allo stesso modo – in relazione all’accordo in materia di misure alternative, che abbiamo sottoscritto ieri – vorrei sottolineare che si tratta di uno strumento che arricchisce ulteriormente i rapporti tra Italia e San Marino e che va oltre la Convenzione europea sulla sorveglianza delle persone condannate o liberate sotto condizione firmata a Strasburgo nel 1964. Rispetto a tale Convenzione, l’ambito di applicazione dell’accordo è ampliato a tutte le misure, lato sensu intese, ricadenti sotto la decisione quadro dell’Unione europea del 2008.

Con questo accordo vengono dunque introdotte disposizioni che regolano il reciproco riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie, con la finalità da un lato di aumentare le possibilità di reinserimento sociale della persona condannata, consentendole tra l’altro di mantenere o recuperare i propri legami affettivi, familiari, lavorativi e culturali; dall’altro di migliorare il controllo dei corrispondenti obblighi allo scopo di ridurre il rischio di recidiva, proteggendo così le vittime dei reati e, più in generale, la collettività.

Ritengo essenziale evidenziare che l’entrata in vigore dell’accordo farà sorgere l’esigenza di un continuo raffronto collaborativo tra i servizi sociali dei nostri Paesi, che, auspicabilmente, renderà necessarie ampie e articolate iniziative di prevenzione di carattere socio-culturale che coinvolgano e promuovano l’azione di tutte le migliori forze della società civile, in una prospettiva di contrasto al crimine che non si esaurisca in una risposta d’impronta meramente securitaria.

Prima di concludere, permettetemi di sottolineare come l’accordo firmato ieri rappresenti per i nostri Paesi, sul piano internazionale, un momento di valorizzazione delle risposte al reato diverse e ulteriori rispetto al carcere. La Costituzione italiana parla, al plurale, di “pene” che non devono essere contrarie al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato. Non vi è quindi un riferimento espresso al carcere che, spezzando legami familiari, affettivi e lavorativi, separa inevitabilmente l’individuo dalla società. Esso deve, dunque, essere una extrema ratio, non certo l’unica risposta al reato. La firma di accordi in materia di esecuzione penale, relativi a misure alternative al carcere, significa per i nostri Paesi un passo avanti nel percorso di modernizzazione della pena, che la differenzia sempre più dall’atavica idea della sola retribuzione del male con il male.

L’esecuzione penale all’esterno – nella comunità – si fa sempre più strada in Italia. Il numero degli adulti che scontano la pena fuori dal carcere (70.468) è oggi di molto superiore a quello dei detenuti (54.645). Presso il Ministero della giustizia è da anni costituito un Dipartimento per la giustizia “di comunità” e l’impegno mio personale e del Governo, anche in vista dell’attuazione di accordi internazionali come quello da noi firmato, è di investire il più possibile sugli uffici locali deputati all’esecuzione penale esterna.

Abbiamo prima menzionato il processo riformatore nel campo della giustizia a San Marino. Lasciatemi spendere qualche parola sul percorso avviato in Italia. La sottoscrizione dell’accordo con San Marino sulle misure alternative alla detenzione interviene mentre il Governo italiano è impegnato a dare attuazione alla legge delega di riforma della giustizia penale, approvata l’estate scorsa dal Parlamento, nel quadro degli interventi previsti dal P.N.R.R. Secondo lo spirito di cui ho detto, la riforma – mi riferisco alla legge n. 134 del 2021, che sarà attuata entro il prossimo autunno – valorizza le pene sostitutive alla detenzione, compreso il lavoro di pubblica utilità, che sarà applicabile in caso di condanna a pena detentiva non superiore a tre anni. È una rilevante novità perché oggi il lavoro di pubblica utilità è previsto come pena sostitutiva della pena detentiva non per la generalità dei reati, ma solo per alcuni, in particolare in materia di circolazione stradale.

Infine, la riforma in corso di attuazione in Italia introdurrà per la prima volta una disciplina organica della giustizia riparativa, a ulteriore riprova dell’impegno culturale del nostro Paese alla progressiva edificazione di un sistema penale sempre più ispirato ai suoi valori costituzionali, tra cui la tensione alla rieducazione del condannato e, quindi, al suo pieno reinserimento nella società. Innestare nel sistema penale strumenti e percorsi di giustizia riparativa permette di ricucire le lacerazioni e i conflitti che i reati producono nel tessuto sociale; contribuisce quindi alla pacificazione e alla coesione sociale, che sono valori di inestimabile importanza, come mostrano i drammatici eventi di queste settimane. La giustizia riparativa rappresenta un importante capitolo della riforma della giustizia italiana e ad essa ho voluto dedicare la Conferenza dei ministri della giustizia del Consiglio d’Europa, che ho presieduto lo scorso dicembre a Venezia. La Dichiarazione Ministeriale di Venezia sul ruolo della giustizia riparativa in Europa costituisce un punto sorgivo per guardare alle fratture della nostra società in modo nuovo, non solo tramite la lente della punizione, ma anche attraverso quella della riparazione, una prospettiva che getta una luce nuova sulla possibilità di risolvere i conflitti con un atteggiamento che impedisca di esplodere al corto circuito della violenza.

L’idea del carcere e della pena-sofferenza come unica risposta al reato ha radici antiche. Sono convinta che al superamento di tale idea – come una goccia che scava la roccia (gutta cavat lapidem, dicevano gli antichi romani) – possa contribuire anche l’odierno accordo, illuminato come da un faro dal principio del reinserimento sociale dell’autore del reato. È al raggiungimento di tale obiettivo che Italia e San Marino sono lieti di impegnarsi, ancora una volta insieme.

Vorrei terminare con una riflessione che mi riporta all’inizio del mio discorso, quando ho menzionato l’ancoraggio sammarinese alla storia democratica europea. I due accordi in materia di cooperazione giuridica firmati fra Italia e San Marino costituiscono il migliore viatico per una celere e positiva definizione del processo di associazione di San Marino all’Unione Europea. L’Accordo di Associazione all’Unione europea darebbe un’adeguata e moderna cornice giuridica alla piena appartenenza del “Titano” – dal punto di vista del patrimonio storico, geografico e socioculturale – alla comune tradizione europea.

Il recentissimo processo legislativo e regolamentare di adesione della Repubblica di San Marino al regime sanzionatorio dell’Unione europea, nella contingenza della guerra lanciata dalla Russia in Ucraina, ha contribuito ad ampliare l’interazione fra la Repubblica e le istituzioni di Bruxelles. All’adesione sammarinese agli interventi dell’Unione europea si accompagna l’appoggio sammarinese alle risoluzioni delle Nazioni Unite, non ultima la posizione tenuta da San Marino il 22 marzo scorso rispetto alla risoluzione Humanitarian consequences of the aggression against Ukraine. Questi passaggi hanno permesso a San Marino di compiere una scelta alta e netta, operata all’unanimità dal Consiglio Grande e Generale e dal Congresso di Stato, con un’interpretazione aggiornata della storica neutralità di San Marino: una scelta saggia e allineata all’evoluzione dei principi dello stato di diritto sul piano internazionale. È quest’ultimo, come abbiamo affermato in principio, il vero ancoraggio per proteggere l’indipendenza, la libertà e la sovranità della Repubblica di San Marino, così come il suo tessuto politico, economico, giuridico e identitario.

Mi auguro quindi che, accanto agli accordi firmati con l’Italia, anche l’ampliata interazione con le istituzioni di Bruxelles di queste settimane possa essere di auspicio per intensificare le trattative e portare a termine i negoziati per l’Accordo di Associazione fra San Marino e l’Unione europea.

Queste ultime notazioni sugli accordi tra Italia e San Marino, tra San Marino e l’Unione europea, ci riportano all’importanza dell’aspetto relazionale che, come abbiamo detto, vale per i singoli, così come per le comunità, locali o nazionali che siano. Tutti gli sforzi di riforma che l’Italia e San Marino stanno compiendo sono tesi a salvaguardare questo valore che la giustizia, in primo luogo, ha il compito di tutelare. La Costituzione italiana lo rende evidente in maniera esemplare quando, nella Parte prima dedicata ai diritti e ai doveri, li qualifica come rapporti. Sono i rapporti il cuore pulsante delle nostre società, sono i rapporti che la democrazia intende custodire perché si affermino con giustizia, uno dei pilastri fondamentali dell’edificio democratico.

In questa giornata di insediamento dei nuovi Capitani reggenti, l’augurio che rivolgo loro è che questi valori possano illuminare costantemente il compito che li attende in questo semestre di reggenza.

Grazie

Saluto di S.E.R. Mons. Emil Paul Tscherrig, Nunzio Apostolico nella Serenissima Repubblica di San Marino e decano del Corpo Diplomatico e Consolare del Titano

Eccellentissimi Capitani Reggenti, Signori Oscar Mina e Paolo Rondelli, Onorevole Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Signore e Signori Ambasciatori e Membri del Corpo Diplomatico e Consolare, Signore e Signori, Ritrovarsi come Corpo Diplomatico accreditato presso il Governo della Repubblica di San Marino per questa tradizionale e solenne ricorrenza, rappresenta un’occasione per celebrare la storia e la memoria di questo popolo, e per ricordare i principi democratici e spirituali che contraddistinguono le sue Istituzioni. Il ritmo che segna l’insediamento dei nuovi Capitani Reggenti è simbolo di cambiamento ma anche di continuità, perché è espressione di una scelta libera fatta dai Padri e tramandata e custodita con orgoglio fino ad oggi. L’insediamento odierno si colloca in un particolare momento storico che ci permette di riavviare ciò che la lunga crisi pandemica, ancora in corso, ha rallentato o addirittura bloccato, e di rilanciare con coraggio nuove iniziative per i prossimi anni. Fa parte di questo dinamismo il progetto ‘San Marino 2030’ che poggia su cinque pilastri su cui costruire e orientare il futuro di questa Repubblica (Impresa, Sviluppo, Fiscalità, Attrattiva e Reputazione). Esso rappresenta sicuramente un’opportunità per fare della crisi vissuta un punto non solo di ripartenza, ma anche di rimodulazione e di trasformazione delle belle potenzialità di questo territorio, delle sue attività e soprattutto della sua gente. Ripartire, in questo contesto socio-culturale, significa anche saper rileggere ciò che la pandemia ha prodotto e lavorare su programmi di sviluppo inclusivi e sostenibili. Ma non tutti hanno questo privilegio. Conferma di ciò è la nuova guerra in Europa, l’ultima di una serie di conflitti spesso dimenticati, che dimostra l’assurdità dell’impiego delle armi per la soluzione di controversie. Tutte le guerre producono soltanto morte e distruzione, infliggendo in qualsiasi luogo del mondo profonde ferite all’intera umanità, sconfiggendo ciò che abita in noi di più nobile, vero e umano. Tanta inutile violenza umilia ogni uomo e ogni donna nelle sue più intime aspirazioni e ci impegna a costruire quella fratellanza tra i Popoli di cui il mondo ha tanto bisogno. La pace necessita di ‘un’etica globale di solidarietà e cooperazione’ che si mette ‘al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e della corresponsabilità’ (Papa Francesco, ‘Fratelli tutti’, n. 127). Non si tratta soltanto di una precaria pace negoziata, ma deve ispirarsi al comune patrimonio spirituale e culturale dei Popoli. È indispensabile che questo particolare contesto internazionale ci aiuti a riflettere e a lavorare insieme affinché l’inevitabile interdipendenza degli Stati, sul piano umano, sociale ed economico, spinga a ricercare la via del dialogo e della pace come unica condizione per la risoluzione dei conflitti. Perché ciò avvenga, ogni Nazione, indipendentemente dal suo ruolo internazionale, è tenuta a dare il proprio contributo per alleviare le tensioni e soccorrere coloro che hanno bisogno di accoglienza e di solidarietà. Ecc.mi Capitani Reggenti, Signore e Signori, A nome dell’intero Corpo Diplomatico, desidero rivolgere i migliori auguri di ogni bene per l’incarico che Vi attende per i prossimi sei mesi. Che il Vostro impegno istituzionale sia incentrato su quei valori nazionali e internazionali che il Popolo vi affida, per il progresso e la salvaguardia di ogni persona, del vivere comune e della pace, temi sempre cari a questa bella terra sammarinese. Grazie e buon lavoro.

Omelia di S.E.R. Mons. Andrea Turazzi

«Me infelice: abito straniero in Mosoch, dimoro fra le tende di Cedar!

Troppo io ho dimorato con chi detesta la pace.

Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra» (Sal 120 [119],5-7).

In questi giorni qualcuno sussurra: non ci resta che pregare! Ma c’è preghiera e preghiera…

Abramo davanti alla città di Sodoma, violenta e corrotta, prega così: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere?». La risposta di Dio: «Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città».

Eccellenze, Signore e Signori,

avete inteso come la preghiera di Abramo sia tenace e sommessamente insistente. Persino impertinente. Quasi un braccio di ferro con Dio, un continuo tentativo di innalzare l’asticella della misericordia di Dio. Avrete notato l’avverbio ripetuto sei volte: “forse”. Quel “forse” apre una fessura di speranza sull’enigma del male che insidia la storia umana. La preghiera di Abramo è l’apertura coraggiosa della fede. In quel “forse” c’è tutta la fiducia di Abramo credente e tutta l’audacia di Abramo amico di Dio. In lui la preghiera si è fatta intercessione, un “andare e venire” tra l’umana avventura, caratterizzata dalla libertà, e Dio datore di quella libertà. L’orante è un lottatore: «Spes contra spem» (Ro 4,18).

La preghiera non è evasione dalla realtà, né fuga irresponsabile o ricerca intimistica di un nido rassicurante. La preghiera è saper stare al cuore stesso della disperazione, certi che Dio è presente, coinvolto nel dramma dell’umanità: non salva dal dolore, ma nel dolore!

Papa Francesco ci sta insegnando come la preghiera abbia un posto fondamentale nel cammino verso la fraternità. Con la preghiera si partecipa, ci si immerge fino a sentire proprio il dramma dei fratelli.

In questo passaggio sconvolgente della storia, che fare? Aggiungere odio all’odio? Vendicarsi? Aspettare miracolisticamente che Dio intervenga? C’è un’altra via: la via della responsabilità, altro nome della conversione: ritornare sui propri passi. «Se non vi convertirete – dice Gesù Cristo – perirete tutti allo stesso modo». Traduco con queste parole: «Quando senti una campana suonare a morto non domandarti per chi suona: suona per te!» (H. Hemingway). Quelle di Gesù non sono parole di condanna, ma un accorato appello alla conversione. Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù dice: «Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno, lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). È con Gesù Cristo, il “grande Martire”, che l’umanità è salvata dalle sue ingiustizie. Il “forse” di Abramo, reinterpretato alla luce della vicenda di Gesù, diventa “certezza”: egli «ha fatto di due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2,14). Il perdono annulla il nemico!

La fede cristiana contempla – soprattutto in questi giorni – l’amore del Signore Gesù, spinto sino alla follia che offre la sua vita per la vita del mondo.

È in questo contesto evangelico che dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità nella ricerca attiva della pace.

Abbiamo provato, insieme allo sconcerto per questa guerra vicina e inattesa, un senso di impotenza. Molti di noi, comuni mortali, si sono chiesti che cosa potessero fare. Informazione, confronto, preghiera, solidarietà…

Abbiamo moltiplicato gesti quotidiani di bontà dentro le normali relazioni: fare la pace a partire dal prossimo più prossimo, essere artigiani della pace all’interno dei nostri ambienti con la cura dei rapporti, essere pace come persone accoglienti e positive. Tutto sommato una prospettiva che resta nel privato o nella cerchia delle proprie relazioni, ma col rammarico di non poter incidere sulle decisioni. Tuttavia, se ognuno facesse la propria parte creeremmo un sociale di pace. Agli occhi dei giovani la grande sconfitta sembra essere la politica. Questo genera sfiducia e chiusura.

Un caro amico ha recentemente pubblicato un volumetto dal titolo provocatorio: «In principio erano fratelli» (Luigi Maria Epicoco). Che ci siano state guerre e conflitti dall’inizio dell’umanità e lungo tutta la storia non smentisce la vocazione universale alla pace. Il dialogo, la cultura, la scienza, l’arte sono grandi risorse insieme alla diplomazia, arte del superare il conflitto. È proprio vero: la guerra ti trova dove sei, dove hai costruito o non hai costruito.

Nel brano evangelico appena proclamato si apre con una raccomandazione vibrante e personale: «A voi che ascoltate io dico…». Seguono otto modulazioni del verbo amare, le prime quattro coniugate con il “voi”: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male; altre quattro sono rivolte col  “tu”, come se Gesù guardasse negli occhi ciascuno di noi: «A chi ti percuote sulla guancia offri anche l’altra, a chi ti strappa il mantello non rifiutare la tunica (cioè dai tutto), dà a chiunque ti chiede e a chi prende le cose tue non chiederle indietro».

Pagina da leggere non in prospettiva moralistica (chi potrebbe metterle in pratica?), ma come “pagina di rivelazione”; sono parole che ci collocano nella logica e nella vita stessa di Gesù: Dio è papà, l’altro è mio fratello!

Preghiamo. La preghiera rafforzi la volontà di pace e ci renda perseveranti in questo cammino di pace.