Cardinal Angelo De Donatis presided over a celebration in which solemn vows were taken by a diocesan hermit.

“Tra tutte le regole di vita cristiana non vi è un genere di vita che possa più facilmente e in modo migliore offrire ai propri seguaci la soavissima tranquillità della presente vita e la desideratissima felicità di quella futura come l’istituzione della vera vita eremitica e solitaria”, scriveva il beato Paolo Giustiniani.

“Nei secoli scorsi – continua l’eremita – questo singolare genere di vita ebbe grandi organizzazioni, elogiatori meravigliosi e famosi seguaci. I loro insegnamenti e la loro esemplare vita irradiarono sul mondo una luce quasi divina, che in buona parte risplende ancora in questo nostro misero tempo. Ma, mentre una volta questa pratica di vita cristiana e di professione religiosa era tenuta in grandissima considerazione, ora è venuta meno rispetto alle altre vocazioni cristiane; anzi, sembra addirittura che la vita eremitica, così bella e così nobile un tempo, sia quasi scomparsa”. Le parole del solitario di Dio, però, oggi trovano, per fortuna, una crescente smentita. Sono numerosi, infatti, i sacerdoti che, in questi anni, stanno riscoprendo questo stile di vita. Le vocazioni eremitiche, quindi, stanno fiorendo in un mondo che, sempre più, è assordato dal mondo e non riesce a sentire la voce, leggerissima, di Dio.

Anche nella diocesi di Roma, il Signore ha suscitato questa particolare vocazione e sabato 25 marzo 2023 il Cardinale Vicario ha presieduto la celebrazione in cui è stata emessa una professione perpetua. De Donatis ha tenuto un’omelia molto bella che riproponiamo.

Omelia di S.E.R. il Sig. Cardinale Angelo De Donatis

Oggi, nella solennità dell’Annunciazione, siamo qui, con profonda gratitudine al Signore, che sempre suscita doni e carismi nella Sua Sposa, la Chiesa, per renderla viva e feconda con il Suo Spirito. Nella professione eremitica di questo nostro fratello vogliamo infatti anzitutto riconoscere un dono prezioso che il Signore fa a tutta la Chiesa, e in particolare alla nostra Diocesi di Roma. Un dono eminentemente mariano: un eremita infatti è il “giardino chiuso”, la “fontana sigillata” (cfr. Ct 4,12) in cui si compie il Mistero della presenza nascosta di Dio in mezzo al suo popolo.

Come Chiesa desideriamo “rendere grazie per questa «perla preziosa» (Mt 13,44), posta allo stesso tempo al centro e ai margini della vita della comunità cristiana” (Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, La forma di vita eremitica nella chiesa particolare).

Il Signore, nel Suo infinito Amore per tutti, si sceglie qualcuno, lo mette da parte “per Sé” e gli affida il compito di “stare davanti a Lui per tutto il popolo” (cfr. Es 18,19), gli dà l’incarico di essere “sentinella vigilante” che sta ferma, anche nella notte, con l’animo tutto proteso verso l’aurora. L’eremita è uno che “abbraccia il mondo intero con le armi dell’amore” (Aelredo di Rielvaux), le armi deboli di un amore nascosto, le armi onnipotentidell’impotenza della croce. L’eremita, lo sappiamo, è uno che è separato dalla gelosia di Dio, separato da tutti per essere più intimamente legato a ciascuno; nascosto in Dio per essere, in Lui, prossimo a tutti; apparentemente inoperoso per lasciar operare lo Spirito in lui; intento all’unica grande Opera: capere Deum, diventare capace di Dio, accoglierlo fino ad essergli conforme, non vivere più lui, ma Cristo in lui. E se lasciamo vivere Cristo in noi, in noi vive la Chiesa.

La missione affidata in modo particolare a [questo nostro fratello] è dunque a nostro favore: in lui vivono le nostre notti, le nostre contraddizioni, i nostri peccati, le nostre lotte. Come facevano gli antichi monaci, lotta per noi alle porte della nostra città, perché i demoni non la infestino; come Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato e vincere per tutti. A nostro favore loda, invoca, adora, si offre, desidera.

Molti si sono chiesti e forse ancora si chiedono se questo modo di vivere non sia uno spreco inutile, soprattutto in un momento in cui sembra che ci sia sempre maggiore carenza di sacerdoti e paiono mancare dei veri apostoli, degli annunciatori autentici di Cristo. Ci viene incontro un Detto dei Padri, che recita così:

“Accadde un giorno che gli anziani si recassero dall’abate Abraham, il profeta della regione. Lo interrogarono sull’abate Banè, dicendo: «Ci siamo intrattenuti con abba Banè sulla clausura nella quale egli si trova adesso; ci ha detto queste gravi parole: Egli stima tutta l’ascesi e tutte le elemosine che ha fatto nel suo passato come una profanazione». E il santo vegliardo Abraham rispose loro e disse: «Ha parlato rettamente». Gli anziani si rattristarono per via della loro vita che era anch’essa a quel modo. Ma l’abate Abraham disse loro: «Perché affliggervi? Durante il tempo, in effetti, nel quale abba Banè distribuiva le elemosine, sarà arrivato a nutrire forse un villaggio, una città, una contrada. Ma ora è possibile a Banè levare le sue due mani affinché l’orzo cresca in abbondanza nel mondo intero. Gli è anche possibile, ora, chiedere a Dio di rimettere i peccati di tutta questa generazione». E gli anziani, dopo averlo udito, si rallegrarono che vi fosse un supplice che intercedeva per loro”.

Oggi allora, caro [fratello], vogliamo affidarti un compito, come un triplice incarico che mi piace riassumere in tre semplici parole: sii per noi un parafulmine, un pungolo e un profumo.

Anzitutto un parafulmine. Un parafulmine è un dispositivo che serve ad attrarre le cariche elettriche per poi poterle disperdere. Quante cariche elettriche ci sono da accogliere e disperdere anche nella nostra Diocesi! Tu puoi farlo anzitutto attraverso l’ascolto silenzioso che quieta ogni voce che non sia quella di Dio. Sii per noi uno che sa patire l’amore redentivo, uno che, come ti proponi nella tua Regola, serve la Chiesa di Roma e il suo presbiterioattraverso la riparazione e l’intercessione, la penitenza e la preghiera incessante. Unito al Cristo che ti chiama, rimanendo in Lui, sii per noi “mezzano”. Mettiti in mezzo, quasi, se fosse possibile, a ricordare a Dio la grandezza della Sua Misericordia. Quanto bisogno in questo tempo abbiamo di riparazione, una parola fuori moda, che forse dovremmo riscoprire. Fa’ tua per noi quella profonda e ardita preghiera di Santa Caterina da Siena: “Dio eterno grido dinanzi alla misericordia tua, dammi fuoco e abisso di carità; dà, Padre, agli occhi miei fonte di lacrime, con le quali io inchini la misericordia tua sul mondo e particolarmente sulla sposa tua”.

Sii poi per noi come un pungolo. Ciascuno di noi ha sempre bisogno di essere stimolato, spronato. E, di solito, quando lo è, spesso recalcitra. Grida col tuo silenzio e col tuo nascondimento, perché non ci lasciamo trasportare dalla “logica del mondo”, dalla “mondanità spirituale che è diventata un’ermeneutica di vita, un modo di vivere e spesso un modo di vivere anche il cristianesimo”, direbbe Papa Francesco. La tua chiamata a “stare in disparte” ci solleciti a guardare la realtà con gli occhi di Dio che, come ci ricorda Isaia, “non grida né urla, non fa udire in piazza la sua voce” (Is 42, 2). Barsotti diceva: “l’adesione a Cristo nell’azione apostolica non è così santa né così feconda per l’avvento del Regno come l’adesione a Lui nella passione e nella morte”. Così la tua vita si carica per noi del pungolo della profezia nel ricordarci che Dio ha scelto l’insignificanza, lo spogliamento, la povertà, l’inabissarsi nel vuoto della morte e così, non in un altro modo, ha voluto salvarci.

Sii infine per noi un profumo. Il profumo attira dolcemente, rimanda al fiore da cui promana. Sii “il buon profumo di Cristo”. Dice Sant’Agostino che gli anacoreti sono “eius pulchritudinis contemplatione beatissimi”, vivono “beatissimi”, veramente felici, nella contemplazione continua ed intensa di Cristo. La tua vita sia per tutti un richiamo alla gioia della contemplazione, vissuta nell’esercizio della fede e della speranza. Gioia che non si spegne nell’oscurità, nella certezza che è proprio allora che si aprono «infiniti occhi interiori che godono del sole notturno» (Novalis). Il profumo della contemplazione non potrà nascere che da un’anima “ben pestata” nel crogiolo della Croce su cui oggi, ancora una volta, vuoi tenere fisso lo sguardo.

E mentre ci ricordi chi siamo chiamati ad essere, ricordati che è la Chiesa che “ti custodisce nell’autenticità della tua vocazione e ti accompagna nel suo sviluppo”. La Chiesa per cui ti offri, ti offre, ti sostiene con la sua provvidenza amorevole, si prende cura di te e ti genera nel suo grembo. Amala con trasporto nuziale e fatti portare dalla sua tenerezza materna.

Maria Vergine che, fin dai tempi antichi, ha avuto un ruolo preminente nella vita ascetica e contemplativa degli eremiti ti custodisca sotto la sua protezione. Vera Maestra di contemplazione, di preghiera, di ascolto e di silenzio, sia per te potente Soccorritrice nell’affrontare il combattimento contro le potenze delle tenebre. Per le sue mani si scolpisca in te e in noi l’immagine del Figlio suo. Nel sì di Maria, eco del sì del Figlio al Padre, sia oggi anche il tuo rinnovato sì, l’“eccomi” di tutti noi. Possiamo così, come Lei, divenire la “tenda dell’incontro” tra Dio e il suo popolo, perché il Signore possa continuare a visitare l’umanità con la sua misericordia.