Bologna - Negli ultimi giorni in Italia si è discusso a lungo della vicenda che ha coinvolto Università di Bologna e l’Accademia Militare di Modena. Eppure, come accade spesso, quando il caso esplode diventa arduo ricostruire la sequenza dei fatti: si perde la traccia del punto di partenza, si confonde ciò che è accertato con ciò che è deformato, e si fa fatica a capire perché si sia arrivati proprio lì. Oggi l’informazione scorre senza gerarchia, abbonda nei flussi ma difetta nell’ordine: molti cronisti raccontano per frammenti, sospinti più dall’impulso di twittare all’istante che dalla cura di restituire un quadro integro e verificato. La copertura risulta talvolta incompleta, inclinata verso il presente immediato dei social, dove la fretta prevale sulla prospettiva e l’impazienza sul criterio. Per orientarsi, occorre allora un gesto semplice e radicale: tornare all’origine.

La vicenda

Il caso è nato prima dell’estate, quando Carmine Masiello, in qualità di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, ha chiesto all’Università di Bologna la progettazione di un percorso accademico in Filosofia destinato a circa 15 cadetti dell’Accademia Militare di Modena. Gli accordi formativi tra Università di Bologna e Accademia Militare di Modena sono consolidati da decenni e prevedono quote riservate per gli allievi nelle offerte didattiche dell’ateneo. Tuttavia, l’istanza avanzata da Masiello segnava una discontinuità sostanziale: non più posti dedicati in corsi esistenti, ma l’allestimento integrale di un corso di laurea completo.

Secondo quanto riportato da un docente del Dipartimento di Filosofia, l’iniziativa avrebbe rappresentato una formula inedita: le lezioni non si sarebbero svolte nelle aule universitarie di Bologna, bensì a Modena, negli spazi interni dell’Accademia Militare di Modena, con didattica erogata in loco dai professori del Dipartimento di Filosofia. A titolo di contropartita economica, Accademia Militare di Modena avrebbe assicurato un sostegno finanziario di 8.000 euro per la stipula dei contratti dei docenti.

La valutazione preliminare del progetto competeva al Consiglio del Dipartimento di Filosofia, l’organo collegiale incaricato del coordinamento didattico, che avrebbe dovuto verificare la realizzabilità del percorso, incrociando oneri, sostenibilità economica e disponibilità del corpo docente. La temperatura politica, però, era già elevata prima del Consiglio: pochi giorni prima, durante le mobilitazioni legate alla Global Sumud Flotilla, gruppi studenteschi avevano occupato il Dipartimento di Scienze Politiche e sollecitato l’ateneo a recedere da qualunque rapporto accademico con Israele. In parallelo, i collettivi universitari avevano rigettato l’ipotesi del nuovo corso a Modena, leggendo l’iniziativa come un appoggio culturale al riarmo e ai conflitti attivi in Guerra russo-ucraina e nella Striscia di Gaza.

Il 23 ottobre 2025 il Consiglio del Dipartimento di Filosofia si è svolto sotto presidio degli studenti, che hanno bloccato e sospeso la riunione. Dopo l’interruzione, il Direttore del Dipartimento di Filosofia, Luca Guidetti, ha deciso di non proseguire il confronto e ha trasmesso una e-mail ufficiale nella quale comunicava l’assenza delle condizioni materiali e formali per dare corso alla progettazione. La contestazione mediatica contro l’Università di Bologna si è accesa solo sabato scorso, quando Carmine Masiello, nel corso di un evento pubblico a Bologna, ha dichiarato che l’ateneo avrebbe respinto il corso esclusivamente per timore di “militarizzare l’università”, riassorbendo l’intera decisione nella sola opposizione dei collettivi studenteschi, neutralizzando il quadro oggettivo delle valutazioni accademico-amministrative. Senza questo contesto integrale, esponenti del Governo - tra cui la Ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi - hanno espresso valutazioni critiche, insinuando un’opposizione ideologica dell’ateneo all’Esercito. In particolare, Giorgia Meloni ha parlato di un’iniziativa censurabile e di un atto pregiudizievole dei doveri costituzionali a presidio dell’autonomia universitaria, attribuendo all’Università una posizione mai formalmente assunta dall’Università di Bologna.

In un primo passaggio pubblico, il Rettore, Giovanni Molari, aveva ricordato che la scelta era stata un atto interno del Dipartimento di Filosofia (senza dichiarazioni ulteriori). In seguito, Università di Bologna ha diffuso un comunicato formale: «A ulteriore chiarimento del dibattito sollevato in questi giorni in merito alle dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore, Gen. Carmine Masiello, riteniamo opportuno precisare che il nostro Ateneo non ha mai “negato” né “rifiutato” l’iscrizione a nessuna persona. Come per tutti gli Atenei italiani, chiunque sia in possesso dei necessari requisiti può iscriversi liberamente ai corsi di studio dell’Ateneo, comprese le donne e gli uomini delle Forze Armate. Collaboriamo stabilmente con l’Accademia Militare di Modena, ai cui allievi, in virtù di specifici accordi ormai ventennali, sono riservati posti presso il Corso di Laurea in Medicina Veterinaria. Il tema oggetto di discussione riguarda non l’accesso ai corsi, bensì una richiesta di attivazione proveniente dall’Accademia per un percorso triennale di studi in Filosofia strutturato in via esclusiva per i soli allievi ufficiali, di cui si rendeva disponibile a sostenere i costi dei contratti di docenza.

La proposta è pervenuta al Dipartimento di Filosofia che, dopo un’accurata valutazione di sostenibilità didattica, disponibilità di docenti, coerenza con l’offerta formativa ed insieme di risorse necessarie, che vanno ben oltre il costo di eventuali contratti di docenza, ha ritenuto di non procedere. L’Ateneo, nel pieno rispetto dell’autonomia dei Dipartimenti, ha comunicato tale decisione ai vertici dell’Accademia Militare già lo scorso ottobre, manifestando piena disponibilità a ogni futura interlocuzione. A ulteriore chiarimento del dibattito sollevato in questi giorni in merito alle dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore, Gen. Carmine Masiello, l’Università di Bologna ritiene opportuno precisare quanto segue. L’Università di Bologna non ha mai “negato” né “rifiutato” l’iscrizione a nessuna persona. Come per tutti gli Atenei italiani, chiunque sia in possesso dei necessari requisiti può iscriversi liberamente ai corsi di studio dell’Ateneo, comprese le donne e gli uomini delle Forze Armate. Si ricorda, inoltre, che l’Università di Bologna collabora stabilmente con l’Accademia Militare di Modena, ai cui allievi, in virtù di specifici accordi ormai ventennali, sono riservati posti presso il Corso di Laurea in Medicina Veterinaria. Il tema oggetto di discussione riguarda non l’accesso ai corsi, bensì una richiesta di attivazione proveniente dall’Accademia, anche in virtù delle collaborazioni pregresse, per un percorso triennale di studi in Filosofia strutturato in via esclusiva per i soli allievi ufficiali. Il percorso prevedeva 180 CFU complessivi, lo svolgimento delle attività interamente presso la sede dell’Accademia, secondo il relativo regolamento interno, e un significativo fabbisogno didattico. L’Accademia si rendeva disponibile a sostenere i costi dei contratti di docenza. La proposta è pervenuta al Dipartimento di Filosofia, competente a valutare preliminarmente la sostenibilità didattica, la disponibilità di docenti, la coerenza con l’offerta formativa e l’insieme delle risorse necessarie, che vanno ben oltre il costo di eventuali contratti di docenza. Dopo un articolato confronto interno, il Dipartimento ha ritenuto di non procedere, allo stato dei fatti, alla deliberazione sull’attivazione del nuovo percorso. L’Università di Bologna, nel pieno rispetto dell’autonomia dei Dipartimenti, ha comunicato tale decisione ai vertici dell’Accademia Militare già lo scorso ottobre, manifestando al tempo stesso la piena disponibilità a ogni futura interlocuzione»

La strumentalizzazione politica

La polemica, intanto, ha avuto un rilancio politico lunedì: Anna Maria Bernini ha addirittura visitato l’Accademia Militare di Modena e ha assicurato che il corso di filosofia nascerà comunque, con l’affiancamento di altre università emiliano-romagnole. Nella decostruzione politica del confronto, l’Università di Bologna non ha mai contestato il ruolo dell’Esercito, non ha mai messo in discussione l’autonomia costituzionale della Difesa, né ha assunto posizioni ideologiche ufficiali contro il riarmo. La destra italiana ha però sfruttato la versione sintetica e decontestualizzata di Carmine Masiello per alimentare la narrazione di un ateneo schierato trasformando una negoziazione didattico-amministrativa in un affare politico ad alta tensione. La vicenda, tuttavia, apre lo spazio per soffermarsi su due nodi centrali: l’inclinazione di questo governo nel divulgare pubblicamente affermazioni non veritiere con sorprendente disinvoltura, e l’urgenza di una formazione strutturata per gli appartenenti alle Forze armate e alle Forze dell’Ordine.

Vittimismo e bugie

Sul primo punto, emerge con nettezza quanto la politica nel suo complesso - e questo esecutivo in particolare - mostri un evidente deficit di consapevolezza istituzionale, frutto di una preoccupante assenza del senso dell’istituzione. Un paradigma già visto: quando Matteo Salvini si presentò sotto le abitazioni di cittadini a suonare i citofoni, trascinando con sé un seguito di centinaia di persone, e scaraventando accuse diffamatorie in diretta social, senza contraddittorio e senza prudenza. Uno schema replicato anche nel video in cui Giorgia Meloni dichiarò di aver ricevuto un avviso di garanzia - quando quello, nei fatti, non era un avviso di garanzia. La facilità con cui questo governo scivola nel vittimismo mediatico e nella narrazione alterata trova un ulteriore emblema nel comportamento del Ministro Piantedosi: anziché affidare tempo e risorse a post su Facebook, potrebbe - o forse dovrebbe - farsi carico del proprio mandato istituzionale e assicurare un funzionamento efficiente dei suoi uffici, che da mesi appaiono disattesi e in affanno. Ma no: preferiscono consumare giornate nel palcoscenico dei social, con la stessa dedizione che si mette nei giochi di consenso digitale, e non negli ingranaggi della macchina pubblica.

Il tarlo del potere e l’assenza di formazione

In Italia, purtroppo, un’ampia fascia di appartenenti alle Forze dell’ordine e alle Forze armate arriva al servizio con un bagaglio di studi spesso insufficiente, talvolta del tutto assente. Questa lacuna formativa ha alimentato, negli anni, intere generazioni - ormai datate, e per fortuna in via di naturale estinzione - di operatori che hanno introiettato un modello operativo mutuato più dai film polizieschi che dallo Stato di diritto: uso della forza come linguaggio primario, atteggiamenti da sbruffoni, posture razziste, muscolarità di azione trasformata in esibizione di predominio. Lo scenario non è episodico, ma documentato da molteplici casi in cui reparti di polizia hanno esercitato abusi di potere in aperto contrasto con la legge, arrivando persino a minacciare i cronisti, i cittadini indifesi e perfino chi cerca di testimoniare ciò che accade con strumenti di documentazione pubblica. Interventi richiesti per compiti sensibili e situazioni ad alta delicatezza si sono spesso tramutati in irruzioni brutali, condotte con arroganza e violenza gratuita, con agenti che si comportano non come arbitri imparziali, ma come parti in causa, scivolando in un’idea di impunità corporativa: sentirsi al di sopra della legge, protetti da un presunto spirito di corpo che diventa scudo di autoreferenzialità, fino all’applicazione sproporzionata della forza senza remore e senza controllo. È un riflesso condizionato che nasce da un terreno preciso: una ignoranza diffusa e un livello di cultura talvolta drammaticamente basso, dovuto anche al fatto che in molti corpi di polizia finiscono soggetti con un’istruzione carente, quando non inesistente. La risposta non può essere narrativa, ma strutturale: favorire con determinazione la scolarizzazione, l’accesso ai luoghi della cultura, la formazione critica e istituzionale. In questa prospettiva, le proteste dei collettivi “pseudo comunisti - autoreferenziati, ideologici, spesso altrettanto violenti - non producono un avanzamento logico: risultano inutili e incoerenti, oltre che profondamente illogiche, perché rifiutano proprio ciò che servirebbe al Paese e alle stesse istituzioni che dicono di voler contestare: più studio, più formazione, più pensiero, e meno mimica da corte ideologica. È la scuola, non la scenografia di strada, a restituire allo Stato anticorpi democratici; il resto è soltanto rumore di consenso tribale.

d.E.M.
Silere non possum