L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357
È questo l’insegnamento della Chiesa Cattolica, impresso nel Catechismo, in merito alle relazioni omosessuali. Nonostante la stampa italiana ed estera continui a propinare un messaggio che non corrisponde a realtà sull’attuale pontefice regnante, la Chiesa non ha mai cambiato la sua posizione ufficiale in merito agli omosessuali. Addirittura questa mattina il Pontefice ha parlato dei problemi genitoriali, di quei problemi che non permettono alle persone di sperare o pregare e, dopo aver parlato di "malattie permanenti" ha parlato dell'orientamento sessuale dei figli. La formazione gesuitica di Francesco emerge in queste affermazioni che sono macigni.
Per fortuna, in questo caso, non sempre la teoria corrisponde alla pratica. Nelle storie che emergono dalle testimonianze di alcuni sacerdoti tedeschi che in questi giorni hanno scelto di fare coming out, scopriamo una chiesa che è consapevole del fatto che l’eterosessualità è ormai un concetto desueto, riduttivo e vi sono diverse espressioni della sessualità. Molteplici orientamenti sessuali che sono espressione dell’amore e differenti identità di genere.
Come sempre la Chiesa ha il compito di accompagnare e non quello di giudicare. Le storie di don Frank don Stefan e don Bernd e gli altri ci mostrano una Chiesa che è consapevole e, aldilà delle "prescrizioni" si rivela al passo con i tempi e interessata solo alla salus animarum.
Tale atteggiamento però, purtroppo, si evidenzia in pochi vescovi che non hanno paura di mettersi contro il Pontefice. Difatti, differentemente da quanto si crede, il dictat, sopratutto dal 2013, imposto da Francesco è: "Gli omosessuali fuori dai seminari". Frutto della formazione più problematica dei gesuiti, Francesco, ha la chiara convinzione che la pedofilia derivi dall'omosessualità e lo ha rivelato in più occasioni. In particolare, durante gli incontri con i formatori dei seminari ha ribadito che è necessario mandare a casa i seminaristi con inclinazioni omosessuali.
Peccato che il problema non sia affatto l'omosessualità e le storie di questi presbiteri tedeschi (ma sono moltissimi i sacerdoti omosessuali nella chiesa universale) lo dimostrano chiaramente. Se l'atteggiamento dei vescovi è di paterna accoglienza del presbitero che rivela di essere omosessuale, a patto che non crei scandalo e non ne parli, diverso è il modus agendi con i candidati al presbiterato omosessuali che non hanno ricevuto ancora l'ordinazione. L'ordinazione sacerdotale, per questi candidati, è assolutamente preclusa. Non c'è posto per i gay nel presbiterio.
La differenza di trattamento è tutta esplicata nel "sacramento". Essendo il presbiterato un sacramento non è possibile "ridurre allo stato laicale" il sacerdote per il semplice fatto che è omosessuale, pertanto lo si invita "paternamente" a non esercitare. Nel caso del seminarista, dei religiosi o delle religiose la questione diviene più semplice, sopratutto se i religiosi non hanno ancora preso i voti.
Questo porta ovviamente la maggior parte dei chierici a mentire, a tenere nascosta la propria sessualità e a reprimere ogni sentimento. Non avete idea di quanto questo comporti problemi nella vita quotidiana. L'omosessualità del sacerdote o del seminarista, del religioso o della religiosa, diviene così motivo di "chiacchiericcio", di ricatto e di minaccia. Sono diversi i contesti, non escluso lo Stato della Città del Vaticano ove tutto questo è esasperato all'ennesima potenza, ove chi sa dell'altro/a lo/a tiene in pugno senza pietà. Per non parlare di quei casi in cui si fanno illazioni al solo fine di "far saltare" il confratello o il collega. Per poi arrivare ad atteggiamenti meschini di chi, rifiutata/o, si inventa anche le storielle da raccontare al/la superiora/e.
Questo comporta divisione nella comunità religiosa che vive già le difficoltà delle vita in comune, diatribe nei presbiteri e vere e proprie fazioni. La Chiesa dovrebbe riflettere su queste testimonianze e anche i lettori. Bisogna prendere atto innanzitutto della presenza dell'omosessualità fra le religiose e nel clero, di conseguenza apprezzare il comportamento di vescovi che accettano questa condizione nella quale si trovano alcuni suoi collaboratori e così evitare che tale orientamento sessuale divenga il motivo di ricatti e lotte di potere, molto spesso veri e propri abusi psicologici anche da parte di chi riveste posizioni di potere.
Allo stesso tempo bisogna prendere atto che la Chiesa tedesca le sta tentando tutte pur di tirare Roma
per la giacchetta. Qualche giorno fa ha tentato di sferrare un duro colpo al Pontefice emerito, grande nemico della Chiesa di cui è figlio; oggi porta alla luce il coming out di alcuni cattolici tedeschi che rivestono posizioni particolari in Germania. Un chiaro tentativo di obbligare la sede petrina a confrontarsi e prendere posizione su temi delicati che difficilmente si riesce a trattare con serenità. L'ultimo tentativo però, fatto dai vescovi tedeschi, non è andato a buon fine, difatti la Congregazione per la dottrina della Fede aveva risposto a dei dubia in modo netto: le coppie omosessuali non si benedicono. Forse qualcuno in Germania non ha capito che "le frecciatine" in Vaticano non sono mai piaciute.
Vi lasciamo alle storie di alcuni sacerdoti che qualche giorno fa hanno fatto il loro coming out raccontando anche come i loro vescovi siano stati ben disposti verso di loro e non li abbiano trattati come si aspettavano.
Frank Kribber, 45 anni
Sacerdote e cappellano di prigione di Haselünne, diocesi di Osnabrück.
"Sono gay. Non l'ho mai detto ad alta voce in pubblico prima d'ora. Sono gay e sono un prete cattolico. Lo dico solo perché non ho più paura. Ma ora le cose potrebbero diventare davvero eccitanti per me. Lavoro come cappellano di una prigione, e l'omosessualità non ha necessariamente una connotazione positiva tra i detenuti. Ho già parlato al mio vescovo Franz-Josef Bode della mia sessualità in una lettera, e lui mi ha invitato a visitarlo. È stata una buona conversazione, voleva sapere come stavo. E ha detto: non importa se omo o etero, il celibato vale per me come sacerdote. Le stesse regole per tutti. Solo questo mi ha liberato molto dentro: essere trattato come qualsiasi altro prete. Il vescovo Bode ha detto che dipendeva dal mio lavoro e che era buono. Questa fu la fine della conversazione. La mia paura era infondata. Improvvisamente c'era qualcosa come la pace in me. Con me, con la mia chiesa. Voglio condividere questa pace, raccontarla alla gente, incoraggiarla.
Non poter essere me stesso mi è costato molta forza e tempo. Per molto tempo non ho potuto parlare della mia sessualità. E ho pensato: ciò che non deve esistere, non esiste. Ho fatto sport, molto sport. Sette giorni su sette. Finché un amico mi prese da parte e mi disse: stai scappando da qualcosa. È stato allora che è emerso tutto. Un amore represso che mi occupava inconsciamente. L'amore per un uomo che purtroppo è dovuto morire presto. Penso spesso a lui. Mi addoloro per lui. Ma sono contento di poterne parlare oggi, di poter essere onesto. La mia chiesa dovrebbe apprezzare le persone per la loro onestà, non condannarle."
Stefan Spitznagel, 63 anni
Sacerdote di Marbach vicino a Ludwigsburg, diocesi di Rottenburg-Stuttgart
"Per me, espormi oggi in pubblico e dire apertamente e ad alta voce che sono un prete omosessuale èsoprattutto un segno di solidarietà. Voglio essere solidale con le persone che soffrono la discriminazione nella nostra Chiesa. Voglio che diveniamo consapevoli, gli uni degli altri e che capiamo che siamo molti. Non possiamo più essere dimenticati. Siamo tra i giusti perché siamo onesti.
Quelli intorno a me lo sanno già, e lo sanno anche i superiori della mia diocesi. Mi è stato detto di non farne un dramma. Il vescovo non vuole che io parli pubblicamente come sacerdote davanti alla parrocchia. Questa richiesta è irrilevante per me: la mia parrocchia non è stupida, la gente mi conosce, mi osserva, fa esperienza di me. Avranno già capito da tempo. E non hanno cambiato la loro opinione sul mio lavoro. Crediamo che un prete gay è un prete peggiore?
La mia più grande preoccupazione è per i giovani che stanno crescendo oggi nella nostra chiesa: hanno molti anni davanti a loro come impiegati in questa realtà. Presto sarò in pensione, non ho più niente da perdere. Se fossi un giovane oggi, certamente non sceglierei più la professione sacerdotale in queste strutture.
Vivrei la chiesa in una forma diversa, con altre persone. Non in queste condizioni - gli assurdi concetti morali, il comportamento ipocrita e l'assoluto tabù di qualsiasi sessualità tra i preti. Anche negli anni settanta pensavamo che il celibato sarebbe durato solo qualche anno. Oggi è il 2022 - poco è cambiato. Questa chiesa deve svegliarsi ora al più presto: il tempo della sovranità dell'interpretazione sul tema della sessualità è finito. Siamo andati avanti da tempo come società, e se la chiesa vuole farne parte, dovrebbe rapidamente mettersi al passo."
Bernd Mönkebüscher, 55 anni
Sacerdote ad Hamm nell'arcidiocesi di Paderborn
"All'inizio del 2019, il vescovo di Essen, Franz-Josef Overbeck, aveva definito assurdo escludere gli uomini omosessuali dall'ordinazione al sacerdozio. In questo contesto, il vescovo ha scritto di immense sofferenze nel passato e nel presente, fino alla discriminazione vissuta dagli uomini gay e dalle donne lesbiche in generale, anche nella Chiesa. Esigeva che la Chiesa adattasse la sua morale sessuale alle intuizioni - anche teologiche - di oggi e le rifondesse. Le storie delle persone omosessuali devono essere ascoltate, ha detto il vescovo di Essen."
Padre Bernd ha continuato dicendo: "Le parole del vescovo Overbeck sono state come un apripista per me. Ho fatto coming out e ho scritto un testo più lungo sulla mia omosessualità e sul mio percorso nella chiesa. E - che sorpresa: nella mia parrocchia, la gente ha continuato a trattarmi come al solito, e posso ancora esercitare il mio ministero come prete. Ma nelle singole diocesi, figuriamoci nella Chiesa universale, si hanno prospettive e modi diversi di trattare le persone e i sacerdoti omosessuali. Ecco perché anche nel 2022 ci sono preti cattolici gay o persone che lavorano nella chiesa che hanno paura di fare coming out pubblicamente. La mia chiesa li spaventa.
Ci sono molti preti gay che non fanno coming out perché si vergognano della loro sessualità o si sono abituati ad un sistema di segretezza e nascondimento. A volte fingono di essere particolarmente fedeli alla chiesa per non attirare l'attenzione. Vivono una forte discrasia tra vita pubblica e privata.
Chi è profondamente cattolico di solito non ha imparato a parlare liberamente della sessualità, a pensare liberamente. Quando ho iniziato a studiare teologia nel 1985, ci veniva detto sul celibato, per esempio, che dovevamo sempre assicurarci che ci fosse un mobile tra noi e una donna durante le conversazioni. Non c'era molto altro, se non che dovevamo integrare la nostra sessualità. E come? La sessualità, essendo umana, difficilmente può svilupparsi in queste condizioni ed è fondamentalmente scissa e repressa. Si arriva a conoscere se stessi solo in modo molto limitato. Ancora oggi, le conversazioni tra i sacerdoti sulla propria sessualità, sui dubbi e le preoccupazioni sono difficilmente possibili - c'è sempre la paura che si possa essere denunciati.
È stata una lunga strada fino a quando ho osato fare coming out all'età di 52 anni. Mi è costato molta forza, ho lasciato molta energia nella mia chiesa, e non è stato possibile senza un lungo accompagnamento psicoterapeutico. Dietro di me ci sono depressioni e pensieri suicidi. Non potevo nemmeno parlare a mia sorella dei miei sentimenti più intimi, per paura e vergogna. Avrei voluto risparmiarmi questo percorso. Ora sto aiutando il maggior numero possibile di persone queer nella mia chiesa a sentirsi meglio per una volta.
Christoph Simonsen, 65 anni
Sacerdote e parroco anziano della Citykirche Alter Markt di Mönchengladbach, diocesi di Aachen.
"Il mio coming out è stato soprattutto una lotta con me stesso, ed è arrivato molto tardi dopo i miei studi e la formazione in seminario. Reprimere può anche essere una strategia di vita. La mia omosessualità mi ha causato qualche problema con la mia chiesa fin da quando ho iniziato ad essere consapevole di me stesso. Ne sono grato ancora oggi. Le difficoltà sono iniziate quando ho scelto, come giovane cappellano, di accompagnare le persone, di trovare e rafforzare la propria personalità. È stato allora che ho capito: ero una di quelle persone che la mia chiesa vede come carenti.
Una sera dell'autunno 1983, ho smesso di giocare a nascondino. Ho chiamato il mio vescovo. All'epoca, Klaus Hemmerle era l’ordinario della diocesi di Aachen. Al telefono ero insicuro, gli ho confessato che mi trovavo di fronte alla domanda esistenziale se potevo continuare la mia professione. La sera stessa mi invitò ad andare da lui ad Aquisgrana. Una volta lì, gli ho detto tutto, proprio tutto su come mi sentivo, il caos nella mia testa, la mia domanda di vita, se era giusto come ero. Hemmerle si alzò senza dire una parola, si sedette al pianoforte e suonò qualcosa di Tchaikovsky, che è noto per essere un compositore omosessuale. Poi è tornato da me e mi ha detto: Christoph, se una persona può creare qualcosa di così meraviglioso, può essere solo una brava persona. Con queste parole, il vescovo mi ha rimandato a casa. Ero sollevato. Da quel momento non ho piùavuto paura, ero sicuro di poter essere me stesso e maturare.
Da 40 anni lavoro come cappellano in varie istituzioni della Chiesa cattolica, nella cappellania ospedaliera, nella pastorale universitaria e oggi nella pastorale cittadina. Per me, non si è mai trattato di mantenere la "struttura della chiesa" come fine a se stessa; nella mia ottica, la chiesa è piuttosto uno spazio di realizzazione, in cui le persone possono riconoscere, sperimentare e sviluppare la propria umanità secondo l'esempio di Gesù.
Solo quando le persone possono essere se stesse possono sostenere gli altri. La chiesa è un luogo di apprendimento e non un luogo di insegnamento. E ho imparato che solo come persona con un rispetto riflesso di sé è possibile contribuire a che la mia controparte trovi il rispetto di sé. Per questo è indispensabile che la rigida morale sessuale dell'insegnamento sia adattata alla realtà della vita delle persone. La mia controparte di allora fu un colpo di fortuna; oggi mi fa arrabbiare che la chiesa non abbia ancora imparato nulla: insiste sulle sue strutture e sui suoi insegnamenti spesso disumani invece di essere grata che le persone vogliano essere come Dio le ha create.
Stephan Schwab, 50 anni
Responsabile della pastorale giovanile della diocesi di Würzburg
"Come mi guarderà la gente in futuro? La gente continuerà a vedere chi sono in realtà e cosa distingue il mio lavoro, o d'ora in poi sarò sempre il prete gay e sarò guardato con occhio critico? Mi sono posto spesso queste domande nelle ultime settimane. La paura è la mia compagna costante, ma non è stata in grado di fermarmi. Non durante questo coming out in pubblico e non quando mi sono confidato nel mio ambiente immediato.
Stephan Schwab, un prete di Würzburg e un uomo gay. Questo sono io. Che questo non vada bene per molte persone, anche nella mia stessa chiesa, fa male. Il vescovo mi chiamerà? Ci sarà una discussione con il vicario generale? Non posso stimare come reagirà l'apparato.
Sono un pastore dei giovani, il mio lavoro consiste nel concentrarmi sui giovani nelle parrocchie. Forse questa è la mia grande fortuna: per i giovani anche la sessualità è un tema importante, sono chiaramente più aperti, chiaramente più progressisti nell'affrontare i propri sentimenti rispetto a molte altre persone nella chiesa e dintorni. La mia vita quotidiana si svolge in una piccola area della chiesa che è meno rigida. Onestamente non so come sarei tra i parrocchiani più anziani, per esempio nella zona rurale.
Il mio percorso per arrivare qui è stato lungo: ho frequentato un seminario cattolico. Già allora ho notato che trovavo i ragazzi attraenti e, già allora ho imparato che dovevo nasconderlo. Più tardi, quando studiavo teologia a Münster, una volta mi capitò di trovarmi di fronte alla letteratura gay in una libreria e mi ritrovai a proibire a me stesso qualsiasi pensiero sulla mia omosessualità. Volevo diventare prete, volevo essere un buon cattolico, conformarmi alle regole della mia chiesa. Più tardi, quando sono stato ordinato presbitero, ero un po' sollevato perché ho pensato, ora non mi è permesso fare nulla comunque, quindi il problema è risolto. Ma le domande continuavano a sorgere in me. Quando ho sposato una coppia, quando ho osservato gli amanti durante le passeggiate. Spesso ero così impotente. Eppure avevo 30 anni, ero adulto e avevo un lavoro. Ma non ero io. La auto analisi mi ha finalmente aiutato a riconoscermi. Poco dopo, mi sono trasferito in una parrocchia sperduta, vivendo da solo in una grande casa in una piccola città. Amici, conoscenti - tutti lontani. Mi sentivo estremamente solo in quel periodo. In quel momento, le mie preoccupazioni, i miei dubbi mi hanno assalito particolarmente. Non potevo parlare delle mie paure con altri preti, non si sa mai di chi ci si può fidare. Così ho “acceso le antenne” - ho trovato contatti con persone omosessuali al di fuori della chiesa. Erano la mia salvezza. Con il loro modo libero di pensare e di vivere, ho potuto imparare ad accettarmi, a diventare me stesso. Per un po' è rimasto un gioco a nascondino dalla mia chiesa, ma mi ero trovato.
E oggi oso ancora di più uscire pubblicamente e rischiare che la curia si arrabbi. Certamente mi interessa - ma non posso e non voglio fare altrimenti."
Le testimonianze di questi presbiteri, insieme a quelle di alcune religiose e fedeli cattolici tedeschi, sono rinvenibili nel numero 5 di Christ-&-Welt edito dal quotidiano DIE ZEIT in uscita giovedì 27 gennaio 2022.
P.L.
Silere non possum