George Orwell, nel suo romanzo 1984, scriveva: «Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si instaura una dittatura per proteggere una rivoluzione; si fa una rivoluzione per instaurare una dittatura». Negli ultimi anni, questa logica sembra essersi riflessa anche all’interno della Chiesa Cattolica, in particolare nello Stato della Città del Vaticano. L’attuale pontificato, nato con l’intento dichiarato di promuovere un cambiamento radicale, ha mostrato, più che una riforma ponderata, una sistematica demolizione delle strutture preesistenti. A ciò si è aggiunta la creazione di nuovi organismi, spesso più numerosi e dispendiosi, accompagnata da una crescente concentrazione del potere nelle mani del Pontefice.
Riformare tutto per non riformare niente
Questo principio ha guidato diverse riforme operate da Francesco, tra cui la riorganizzazione della Curia Romana, con particolare accanimento sulla Segreteria di Stato, la riforma del Vicariato di Roma e molte delle istituzioni collegate alla Santa Sede. Sebbene le figure ai vertici siano cambiate, le dinamiche interne non solo sono rimaste invariate, ma in alcuni casi si sono persino intensificate, portando a una maggiore centralizzazione del potere su Roma e a una gestione familistica e amorale della Curia.
Un Papa più potente ma meno sacro
A subire le conseguenze di tale processo è stato innanzitutto il Papato, sempre più privato della sua dimensione sacrale; la Chiesa Cattolica, la cui immagine pubblica è risultata profondamente compromessa; e la Santa Sede, ancora una volta rappresentata come un luogo di intrighi, conflitti di potere e gestione opaca delle risorse finanziarie.
L’uomo che più di tutti ne ha fatto le spese è il cardinale Giovanni Angelo Becciu, prefetto emerito della Congregazione per le Cause dei Santi e, dal 2011 al 2018, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. Il suo caso tornerà scottante all’inizio del prossimo Conclave.
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Il Caso Sloane Avenue
Il 24 settembre 2020, in maniera del tutto irrituale, la Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso un comunicato ufficiale: «Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu».
Nei mesi precedenti, il Papa era stato persuaso da Alessandro Diddi, avvocato italiano e Promotore di Giustizia in Vaticano, sebbene non abbia mai ottenuto alcun titolo in diritto canonico e vaticano, a firmare quattro rescripta che modificavano la normativa procedural penale dello Stato della Città del Vaticano mentre le indagini erano già in corso. Le accuse mosse contro Becciu e altri indagati sono comparse, per caso, sulle pagine del settimanale italiano L’Espresso. Considerando che i documenti erano esclusivamente nelle mani dell’Ufficio del Promotore, non è difficile intuire chi possa averli trasmessi ai giornalisti.
Nel 2024, ulteriori sviluppi hanno rivelato che sulla posizione di Becciu e di altri indagati nel procedimento vaticano erano stati effettuati da Pasquale Striano accessi non autorizzati nella banca dati delle Segnalazioni di Operazioni Sospette (SOS), senza l’approvazione della magistratura italiana. Anche in questo caso, il responsabile di tali richieste d’accesso risulta facilmente individuabile.
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Implicazioni e conseguenze per la Santa Sede
Il dramma di questa vicenda non si limita all’operato dell’Ufficio del Promotore di Giustizia, il cui modus operandi ha violato gravemente i diritti delle persone coinvolte, generando un forte imbarazzo per la Città del Vaticano sulla scena internazionale. Il problema più grave risiede nella volontà di rendere pubbliche queste accuse e trattarle in un processo pubblico, un’azione che ha delegittimato la Santa Sede in modo senza precedenti.
Le conseguenze di questa strategia sono oggi evidenti. Il Papa sta tentando di porre rimedio alla crisi istituendo commissioni con il compito di ricercare risorse e donazioni. Tuttavia, è ben consapevole che la situazione attuale è il risultato di dodici anni di esposizione mediatica negativa e di invettive pauperiste rivolte contro preti e cardinali. La gestione degli affari interni della Chiesa ha mostrato gravi carenze, compromettendo la credibilità dell’istituzione e sollevando seri interrogativi sul futuro dello Stato della Città del Vaticano.
All'orizzonte un Conclave
Come è stato sottolineato più volte, in questo continuo abuso del diritto, il Pontefice ha preso una decisione contro un suo cardinale senza permettergli nemmeno di difendersi e dimostrare la propria innocenza. Il processo non era ancora iniziato, e le indagini non erano nemmeno concluse, eppure il Papa ha imposto a Becciu di rinunciare ai diritti legati al cardinalato. Non gli è stato chiesto di rinunciare ai doveri, ma solo ai suoi diritti. Una decisione simile richiede davvero una mentalità contorta. Con questo gesto, quindi, il Santo Padre ha privato il cardinale anche della possibilità di partecipare a un futuro Conclave.
Questo clima di punizioni e ripicche in questi dodici anni ha fomentato sospetti e vendette. I vescovi e i cardinali si sono ritrovati a fare cose che non avrebbero mai immaginato al fine di potersi difendere. Il 24 luglio 2021 Becciu registrò addirittura la telefonata che fece al Pontefice al fine di procurarsi una prova di ciò che per mesi ha detto ma veniva costantemente smentito dall'entourage del Papa.
Per un lungo periodo, subito dopo l'accaduto, si è dibattuto se un Papa abbia o no il potere di compiere una simile azione e, in particolare, se il Sacro Collegio, quando la Sede Apostolica viene dichiarata vacante e si preparano le Congregazioni Generali, possa procedere a "riammettere" un chierico nel Collegio cardinalizio.
I membri del Sacro Collegio sembrano essere tutti propensi a compiere questo passo perché hanno constatato l’anomalia evidente di quanto accaduto ai danni di Becciu. Anche i più fedeli a Francesco si sono meravigliati del trattamento riservato al prefetto emerito: «Purtroppo il Papa si è fidato dei suoi collaboratori che lo hanno convinto a fare questa cosa», commenta un porporato. Una tesi che non è affatto condivisibile, in quanto il Papa ha potuto osservare l’evoluzione della vicenda e poteva benissimo interrompere questa strage mediatica e giudiziaria che oggi mette in ginocchio addirittura un’intera diocesi in Sardegna.
L.M.
Silere non possum