The bishop of Brescia addressed the city in the traditional speech on the occasion of the patron saints.

Giovedì 15 febbraio 2024, in occasione della solennità dei santi patroni di Brescia Faustino e Giovita, S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada ha celebrato la Santa Messa nella Chiesa che ne custodisce i resti mortali. Con lui hanno concelebrato S.E.R. Mons. Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina e diversi sacerdoti della diocesi. Hanno assistito anche i membri del capitolo della cattedrale ed erano presenti le autorità civili e militari. Al termine della celebrazione il parroco, don Maurizio Funazzi, ha ricordato che «la Chiesa dei Santi Faustino e Giovita custodisce da centinaia di anni i resti mortali, dapprima sotto la cura e la preghiera dei monaci di san Benedetto ed oggi tramite questa comunità parrocchiale». 

Come da tradizione il vescovo ha rivolto alla città il tradizionale discorso con il quale ha indicato un «tema sul quale far convergere l’attenzione di tutta la cittadinanza».

«Ritengo – ha detto Tremolada – che il momento presente domandi un’attenzione specifica e seria al fenomeno complesso e in forte trasformazione del comunicare, i cui effetti rilevanti sono sotto gli occhi di tutti». 

Il vescovo ha spiegato che «un’autentica comunicazione si pone a servizio della comunione ed è onestamente ispirata dalla ricerca della verità» e si è chiesto «se è ciò che sta accadendo in questo momento nel vasto mondo mediatico, fortemente segnato da formidabili trasformazioni e dall’apertura di orizzonti del tutto nuovi». Tremolada esprime poi preoccupazione per l’insicurezza e la «logica esasperata del profitto e del consumo» che guidano la comunicazione del momento : «Contano più le emozioni che i fatti, vale più la suggestione che la riflessione, il sentito dire che l’opinione autorevole, lo slogan che l’elaborazione del pensiero. Il silenzio, la concentrazione, la pacata valutazione non sembrano avere grande cittadinanza nel mondo attuale della comunicazione. La quantità dell’informazione oggi non va di pari passo con la qualità della conoscenza. Più notizie si hanno e più il pubblico diventa disinformato». 

Il vescovo ha poi spiega che «un simile quadro, che certo suscita preoccupazione e, dobbiamo dire, anche tristezza, non spegne tuttavia la nostra fiducia». «Crediamo – ha detto – in un approccio creativo e costruttivo, in una comunicazione calda e profondaamorevole e solidale, che si fa carico con tenerezza e impegno dei drammi dell’umanità, una comunicazione umile e rispettosa che sappia creare spazi digitali da abitare con frutto e capace di edificare la comunità locale e quella universale». 

Al termine della Santa Messa il vescovo ha impartito ai presenti la benedizione papale.

F.P.

Silere non possum

.

I santi patroni di Brescia

Faustino e Giovita erano due giovani nobili bresciani vissuti nel II secolo d.C., che intrapresero la carriera militare e divennero cavalieri. In seguito furono convertiti al cristianesimo dal vescovo Apollonio e subirono il martirio tra il 120 e il 134, per non aver voluto sacrificare agli dèi. Sono venerati dalla Chiesa cattolica come santi, si festeggiano il 15 febbraio e sono patroni della città e della diocesi di Brescia e della parrocchia di Sorbolo.

La “Leggenda maior” racconta che entrambi erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. Entrarono presto nell’ordine equestre e divennero cavalieri. Attratti dal Cristianesimo, dopo lunghi colloqui con il vescovo sant’Apollonio, chiedono e ottengono il battesimo.

Si dedicano subito all’evangelizzazione delle terre bresciane e per il loro zelo il vescovo Apollonio nomina Faustino presbitero e Giovita diacono. Il successo della loro predicazione li rende invisi ai maggiorenti di Brescia che approfittando della persecuzione voluta da Traiano (la terza) invitano il governatore della Rezia Italico ed eliminare i due col pretesto del mantenimento dell’ordine pubblico. La morte di Traiano ritarda però i piani del governatore, che approfittando però della visita del nuovo imperatore Adriano a Milano denuncia i due predicatori come nemici della religione pagana. L’imperatore preoccupato da l’autorizzazione a Italico per la loro persecuzione. Questi dapprima minacciandoli di decapitazione chiede ai due giovani di abiurare e di sacrificare agli dei, ma i due si rifiutano e per questo vengono carcerati. Nel frattempo l’imperatore Adriano conduce una campagna militare nelle Gallie e rientrando in Italia si ferma a Brescia, Italico lo coinvolge direttamente nella questione ed è l’imperatore stesso a chiedere ai giovani il sacrificio al dio sole. I giovani non solo si rifiutano ma danneggiano la statua del dio. L’imperatore ordina allora che siano dati in pasto alle belve del circo, ma le bestie si accovacciano mansuete ai piedi dei giovani e Faustino approfitta dell’occasione per chiedere la conversione degli spettatori dello spettacolo circense e molti proclameranno la loro fede al Cristo, tra questi Afra, la moglie del governatore Italico, che conoscerà ella stessa il martirio e la santità. La conversione del ministro del palazzo imperiale nonché comandante della corte pretoria, Calocero, irrita ancor più l’imperatore che ordina che i giovani siano scorticati vivi e messi al rogo, ma le fiamme non lambiscono nemmeno le vesti dei giovani, che vengono condotti in carcere a Milano, perché le conversioni a Brescia continuano ad aumentare. A Milano sono nuovamente torturati e subiscono il supplizio dell’eculeo, ma anche in questa prigionia succedono eventi miracolosi, come l’uscita dal carcere dei due per incontrare e battezzare san Secondo.

Trasferiti a Roma vengono portati al Colosseo dove nuovamente le belve si ammansiscono ai loro piedi. Inviati a Napoli per nave, durante il viaggio sedano una tempesta. A Napoli sono nuovamente torturati e abbandonati in mare su una barchetta, ma gli angeli li riportano a riva. L’imperatore ordina allora il loro rientro a Brescia dove il nuovo prefetto eseguirà la sentenza di decapitazione il 15 febbraio poco fuori di porta Matolfa. Saranno sepolti nel vicino cimitero di San Latino dove il vescovo san Faustino (ecco un altro santo con nome Faustino) costruirà la chiesa di San Faustino ad sanguinem, poi Sant’Afra e oggi Sant’Angela Merici. Alcune reliquie sono oggi conservate nella basilica dedicata ai due martiri. I due martiri sono raffigurati spesso in veste militare romana con la spada in un pugno e la palma del martirio nell’altra, in altre raffigurazioni sono in vesti religiose, Faustino da presbitero, Giovita da diacono.

Il loro culto si diffuse verso l’VIII secolo, periodo in cui fu scritta la leggenda, prima a Brescia e poi per mezzo dei longobardi in tutta la penisola ed in particolare a Viterbo. Il loro patronato su Brescia fu confermato anche a causa di una visione dei due santi che combattevano a fianco dei bresciani contro i milanesi nello scontro decisivo che fece togliere l’assedio alla città, il 13 dicembre 1438.

Omelia di S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada

15 febbraio 2024

Illustrissime autorità e carissimi fedeli tutti,

si rinnova per noi oggi la gioiosa memoria del santi Patroni, Faustino e Giovita. Con affettuosa devozione vogliamo rendere onore alla loro testimonianza, al loro martirio ed esprimere la nostra gratitudine per la loro provvidente intercessione a favore della nostra città, una intercessione amorevole e costante nel tempo.

È tradizione che, nell’annua ricorrenza della festa e in preparazione ad essa, si indichi un tema sul quale far convergere l’attenzione di tutta la cittadinanza. Quest’anno la scelta è caduta sulla responsabilità, intesa come compito da assumere coscientemente per il bene della società. Vorrei anch’io offrire qualche spunto di riflessione a questo riguardo, ponendomi tuttavia da un punto di vista più specifico e considerando la responsabilità nel suo rapporto con la rilevante attività della comunicazione. Ritengo che il momento presente domandi un’attenzione specifica e seria al fenomeno complesso e in forte trasformazione del comunicare, i cui effetti rilevanti sono sotto gli occhi di tutti.

La parola “comunicazione” porta anzitutto in sé l’idea della comunione. La sua etimologia, cioè la storia delle sue origini, rimanda all’aggettivo latino "communis" e perciò allude ad una condivisione, ad uno scambio il cui fine è l’approfondimento dei legami tra le persone. Alla base della comunicazione c’è una relazionalità che possiamo definire originaria, propria del soggetto umano. Il libro della Genesi la esprime bene quando, presentando l’uomo creato, fa dire al suo Creatore: “Non è bene che l’uomo sia solo!”. L’io, dunque, si riconosce nell’incontro con il tu. La presa di coscienza della propria individualità avviene in un contesto plurale, che è quello del noi. In tale prospettiva credo si debba guardare alla comunicazione: essa si pone a servizio della comunione. Comunicare significa “mettere in comune” pensieri, conoscenze, desideri, bisogni, emozioni in forza della naturale propensione di ciascuno all’incontro con l’altro. Si tradisce la comunicazione quando la si usa per creare divisione e porre gli uni contro gli altri. E proprio qui interviene con tutto il suo peso il senso di responsabilità.

Vi è tuttavia un secondo aspetto del comunicare che merita di essere sottolineato: quello dell’informazione. Rientra nei compiti della comunicazione il far sapere ad altri ciò che si ritiene utile e che ancora non si sa, l’offrire, appunto, informazioni e notizie. Andrà ricordato, tuttavia, che – come lascia intendere il termine stesso – informare è “dare una forma particolare” agli avvenimenti e ciò comporta necessariamente un’interpretazione. L’informazione si dà sempre attraverso una mediazione che è ultimamente soggettiva, con la quale si presenta il senso degli eventi a partire dal proprio pensiero e dalla propria sensibilità. L’informazione perciò non è mai neutra, anche quando sembra tale, ma risponde ad una specifica visione delle cose.

Proprio qui si colloca il secondo aspetto della responsabilità nella comunicazione. Occorre che chi informa lo faccia con retta coscienza, senza parzialità, senza secondi fini, con rispetto e trasparenza.

Dunque, un’autentica comunicazione si pone a servizio della comunione ed è onestamente ispirata dalla ricerca della verità. Ci chiediamo se è ciò che sta accadendo in questo momento nel vasto mondo mediatico, fortemente segnato da formidabili trasformazioni e dall’apertura di orizzonti del tutto nuovi.

Non possiamo disegnare un quadro irenicamente ottimistico della situazione attuale. Sono diversi gli elementi che ci obbligano a una seria presa di coscienza e a una riflessione profonda. Vorremmo brevemente richiamarne alcuni, con lucidità ma senza l’intenzione di giudicare. Ci preme suscitare un sano spirito critico, proprio al fine di salvaguardare il bene del mondo in cui viviamo e verso il quale abbiamo noi pure il dovere della responsabilità.

Della comunicazione in questo momento impressiona anzitutto il senso di insicurezza che genera, un disorientamento che deriva dall’eccessivo carico dei messaggi e dalla loro altissima velocità. Siamo continuamente inondati da notizie e opinioni di ogni genere. Una sorta di nebbia mediatica rende faticosa una visione chiara e precisa della realtà. La stessa ricerca di questa visione profonda della realtà appare disattesa, a volte addirittura derisa. Contano più le emozioni che i fatti, vale più la suggestione che la riflessione, il sentito dire che l’opinione autorevole, lo slogan che l’elaborazione di un pensiero. Il silenzio, la concentrazione, la pacata valutazione non sembrano avere grande cittadinanza nel mondo attuale della comunicazione. La quantità dell’informazione – è stato giustamente osservato – oggi non va di pari passo con la qualità della conoscenza. Più notizie si hanno e più il pubblico diventa disinformato.

A tutto ciò si aggiunge l’incognita della veridicità delle fonti da cui le informazioni provengono, l’alto rischio delle false notizie e delle verità artefatte. Inoltre, non abbiamo piena coscienza dei filtri che condizionano il risultato finale di una notizia e delle agenzie interessate che operano nell’ombra.

Il mondo mediatico, poi, si sta dimostrando facilmente preda di un’aggressività incontrollata. Troppo spesso la violenza vi si manifesta nelle sue forme più deplorevoli: la volgarità, l’offesa, l’insulto, il sarcasmo, il disprezzo, fino all’odio e alla minaccia. Molte persone vengono oggi ferite dai media e dai social in modo estremamente grave.

In alcuni casi, poi, si punta al controllo della comunicazione per approfittare del suo potere attrattivo, sfruttando il desiderio umano di riconoscimento e di appartenenza, catturando l’attenzione e insieme con questa, la vita stessa delle persone. Nessuno scrupolo a creare dipendenze e poi far leva su di esse, privando le persone della loro dignità e sfruttandole per i propri torbidi interessi. Infine, la comunicazione appare in questo momento fortemente condizionata dalla logica esasperata del profitto e del consumo. Gli utenti vengono trasformati in clienti e le informazioni in prodotti. Quando tutto viene considerato e valutato in base al tornaconto economico, risulta difficile non oltrepassare i confini imposti dal rispetto delle persone. Se i criteri ispiratori sono commerciali ogni cosa potrà avere un prezzo. Ciò che più attira, impressiona e fa spettacolo, nel bene e nel male, risulterà legittimo se incrementa il pubblico, e quindi i potenziali consumatori. Quanto alla pubblicità, essa – dilagante, reiterata, invasiva – si presenterà come la regina incontrastata di un mondo in cui la scala dei valori tende ad essere stravolta.

Un simile quadro, che certo suscita preoccupazione e, dobbiamo dire, anche un poco di amarezza, non spegne tuttavia la nostra fiducia. Noi crediamo che il mondo della comunicazione possa offrire anche oggi un contributo prezioso all’edificazione di una società dove sia vivo il senso di umanità e dove si coltivi una vera sapienza. Noi crediamo in un approccio creativo e costruttivo della comunicazione, che attinga alla cultura della prossimità e sia capace di dare alla relazione sociale la sua forma più alta. Crediamo in una comunicazione calda e profonda, amorevole e solidale, che si fa carico con tenerezza e impegno dei drammi dell’umanità: la fame, la povertà, l’emarginazione, l’ingiustizia, la malattia, la solitudine. Siamo consapevoli che della sofferenza degli uomini e delle donne si deve parlare con l’empatia propria della carità e siamo convinti che non mancano persone in grado di farlo.

Crediamo in una comunicazione umile e rispettosa, aperta all’ascolto e al dialogo. Riteniamo che nella comunicazione si debbano bandire la discriminazione, l’esclusione e lo scarto. Consideriamo nostro compito dar vita ad una comunicazione che favorisca l’incontro tra i diversi nel mutuo rispetto, che respinga il pregiudizio e l’ideologia, che ami le grandi domande e si appassioni nella ricerca delle risposte, che promuova l’amicizia sociale e la convivialità delle culture.

Crediamo in una comunicazione, che, grazie alle sue nuove potenzialità, sappia creare spazi digitali da abitare con frutto, luoghi affidabili dove siano di casa la verità, la bontà e la bellezza, dove si promuove l’alta dignità della persona umana. Questi spazi saranno come dei porti sicuri nel mare agitato della comunicazione attuale.

Crediamo in una comunicazione capace di edificare la comunità locale e quella universale. Ci piace interpretare in questa prospettiva il significato del termine web, cioè la rete. Non una rete che imprigiona ma tiene tutti uniti in un rapporto di solidarietà. È così che da sempre Dio vede l’umanità, come un’unica grande famiglia. Questa è la profezia della Chiesa cattolica che in quanto cattolica è universale. È una profezia a cui deve sentirsi obbligata.

Infine, crediamo in una comunicazione capace di elevare lo sguardo verso il cielo, di cogliere la dimensione simbolica del mondo, l’eccedenza che viene dall’alto e che ha la forma del bene. Avremo sempre bisogno di qualcuno che sappia comunicare ciò che oltrepassa la nostra comprensione e sappia svelare ciò che solo il cuore può vedere, ossia la dimensione eterna della vita. Questa comunicazione, che in verità riconosce e fa percepire la potenza amorevole dello Spirito di Dio nella storia, manterrà sempre viva la nostra speranza.

+ Pierantonio Tremolada