Roma - In un’intervista concessa alla televisione italiana, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è tornato ieri sera a parlare della drammatica situazione a Gaza e della recente telefonata tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Papa Leone XIV, avvenuta all’indomani dell’attacco all’interno del complesso della Sacra Famiglia.
Una telefonata doverosa, ma non sufficiente
«Credo che sia stata opportuna», ha dichiarato Parolin riferendosi alla chiamata di Netanyahu. «Non si poteva non spiegare al Papa, non informarlo direttamente di quanto accaduto, che è di una gravità assoluta». Il cardinale ha definito il gesto «positivo», ma ha subito aggiunto che adesso è il tempo delle verifiche: «Ci sono tre cose da attendersi: prima di tutto che si conoscano i risultati reali dell’inchiesta promessa. Si è parlato di un errore, ma serve chiarezza. E poi, dopo tante parole, finalmente si dia spazio ai fatti».
Gaza, una guerra senza limiti
«È una guerra senza limiti», ha affermato Parolin con tono netto. «Come si può distruggere e affamare una popolazione come quella di Gaza? Già molti limiti erano stati superati». Il Segretario di Stato ha richiamato la posizione della diplomazia vaticana sulla proporzionalità, denunciando la possibilità che l’attacco alla chiesa non sia stato un incidente, ma un atto deliberato: «C’è da chiedersi se si sia voluto colpire una chiesa cristiana, sapendo che i cristiani rappresentano un elemento di moderazione nel Medio Oriente». E conclude amaramente: «Sarebbe un modo per eliminare chi potrebbe aiutare ad arrivare a una tregua e, poi, a una pace».
Mediazione vaticana? Solo se le parti lo vogliono
Rispondendo alla domanda su un eventuale ruolo più attivo della Santa Sede, Parolin ha precisato che «la mediazione è possibile solo se entrambe le parti la accettano». Il Vaticano resta aperto, ha detto, ma «tecnicamente è molto difficile». E ha aggiunto con realismo: «Lei ha visto quante mediazioni esterne al Vaticano non hanno funzionato finora. Serve volontà politica». C’è questa volontà? «Purtroppo…», ha sospirato Parolin, lasciando in sospeso la risposta. «Non vorrei essere troppo negativo. Io spero. Netanyahu ha parlato di una tregua vicina… io vorrei crederlo». L’intervista, pur nei toni misurati, appare come un richiamo diretto alla responsabilità politica e morale degli attori coinvolti nel conflitto. Dopo la telefonata a Leone XIV, il tempo delle dichiarazioni sembra esaurito: ora si attendono scelte concrete.
Le parole del Cardinale
Come considera la telefonata di Netanyahu al Papa?
Credo che è stata opportuna, non si poteva non spiegare al Papa, non informare direttamente il Papa di quanto è successo, che è di una gravità assoluta. Quindi trovo la telefonata positiva, trovo la volontà del primo ministro israeliano di parlare direttamente con Papa Leone positiva. Adesso, credo, ci sono tre cose da attendersi a mio parere da questa telefonata a Papa Leone o dopo questa telefonata: prima di tutto che veramente si facciano conoscere i risultati reali dell'inchiesta che è stata promessa. Perché la prima interpretazione che è stata data è quella di un errore, però è stato assicurato che ci sarebbe stata una indagine al riguardo: quindi che veramente si faccia questa indagine con tutta serietà e che si conoscano, si portino a conoscenza i risultati. E poi, dopo tante parole, finalmente si dia spazio ai fatti. Io spero davvero che quanto detto dal primo ministro possa realizzarsi nel più breve tempo possibile perché la situazione di Gaza è una situazione davvero insostenibile.
La sensazione è che siamo di fronte a una guerra senza limiti…
Certamente è una guerra senza limiti da quello che si è potuto vedere: come si può distruggere e affamare una popolazione come quella di Gaza? Già molti limiti erano stati superati. D’altra parte lo abbiamo detto sin dall’inizio come diplomazia della Santa Sede: la famosa questione della proporzionalità. Per quanto riguarda questo episodio, se va nel senso che lei ha appena descritto, è uno sviluppo drammatico. Io ritorno a dire: diamo tempo per quello che è necessario perché ci dicano effettivamente cosa è successo: se è stato veramente un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare, o se c'è stata una volontà di colpire direttamente una chiesa cristiana, sapendo quanto i cristiani sono un elemento di moderazione proprio all'interno del quadro del Medio Oriente e anche nei rapporti tra palestinesi ed ebrei. Quindi, ci sarebbe ancora una volta una volontà di far fuori qualsiasi elemento che possa aiutare ad arrivare ad una tregua perlomeno e poi ad una pace.
Sono tanti i fronti di guerra aperti: cosa può fare di più la Santa Sede in termini di mediazione diplomatica?
Noi restiamo aperti, anzi ci proponiamo, è stato già fatto in varie occasioni. Aldilà di questo, veramente io vedo difficile fare ulteriori passi, anche perché se usa la parola “mediazione” in termine tecnico, la mediazione vige soltanto nel momento in cui le due parti l’accettano: ci deve essere disponibilità dalla parte di ciascuno dei due contendenti, delle due parti in conflitto, dei due Paesi o delle due popolazioni in conflitto ad accettare questa mediazione della Santa Sede. Noi continueremo ad insistere come abbiamo sempre fatto senza perdere la speranza, però tecnicamente è molto difficile. D’altra parte lei ha visto quante mediazioni esterne al Vaticano non hanno funzionato finora. Ci vuole volontà politica per finire la guerra sapendo che i costi di una guerra sono costi terribili per tutti in tutti i sensi.
Lei questa volontà non la vede?
Purtroppo … non vorrei essere troppo negativo … io spero. Lei mi citava le parole di Netanyahu che la tregua sarebbe vicina: io vorrei crederlo.