The text of the questions posed by Jesuits during the meeting with Pope Francis in Sud Sudan
Il Santo Padre Francesco ha compiuto il suo 40° Viaggio Apostolico Internazionale raggiungendo la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Durante i suoi viaggi apostolici, Bergoglio ha dato vita ad una tradizione che è quella di incontrare le comunità della Compagnia di Gesù presenti sul territorio. Silere non possum ha seguito il Viaggio del Papa e lo ha raccontato, giorno per giorno, in questi
articoli.
Il 4 febbraio 2023 Francesco ha incontrato 11 gesuiti presenti in Sud Sudan.
L'incontro è avvenuto a Giuba nel palazzo della Nunziatura
Apostolica. A guidare i membri della Compagnia c'era il Reverendo Padre
Kizito Kiyimba, Superiore della Provincia dell'Africa Orientale, che
comprende Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Uganda, Kenya e Tanzania.
Dopo una breve presentazione dei presenti e delle attività svolte, il Papa ha risposto alle domande.
Santo Padre, la fede si muove verso il Sud del mondo. I soldi no. Ha qualche paura, qualche speranza?
Se
uno non ha speranza, può chiudere la porta e andarsene via! Tuttavia,
la mia paura riguarda la cultura pagana molto generalizzata. I valori
pagani oggi contano sempre di più: denaro, reputazione, potere. Dobbiamo
essere consapevoli del fatto che il mondo si muove in una cultura
pagana che ha i propri idoli e i propri dèi. Denaro, potere e fama sono
cose che sant'Ignazio nei suoi
Esercizi spirituali indica come i
peccati fondamentali. La scelta di sant'Ignazio sulla povertà – a tal
punto da far fare un voto speciale ai professi – è una scelta contro il
paganesimo, contro il dio denaro. Oggi la nostra è anche una cultura
pagana di guerra, dove conta quante armi hai. Sono tutte forme di
paganesimo.
Ma poi, per favore, non siamo così ingenui da pensare
che la cultura cristiana sia la cultura di un partito unito, dove tutti
aggruppati insieme fanno la forza. Ma così la Chiesa diventa un partito.
No! La cultura cristiana è, invece, la capacità di interpretare,
discernere e vivere il messaggio cristiano, che il nostro paganesimo non
vuole capire, non vuole accettare. Siamo giunti al punto che se uno
pensa alle esigenze della vita cristiana nella cultura di oggi, ritiene
che esse siano una forma di estremismo. Dobbiamo imparare ad andare
avanti in un contesto pagano, che non è poi diverso da quello dei primi
secoli.
Qual è il suo sogno per l'Africa?
Quando
il mondo pensa all'Africa, pensa che, in un modo o nell'altro, essa
vada sfruttata. Si tratta di un meccanismo inconscio collettivo:
l'Africa va sfruttata. No, l'Africa deve crescere. Sì, i Paesi del
Continente hanno ottenuto l'indipendenza, ma dal suolo in su, non sulle
ricchezze che sono sotto. Su questo tema lo scorso novembre ho avuto un
incontro con studenti africani in videoconferenza per quasi un'ora e
mezza. Sono rimasto meravigliato dall'intelligenza di queste ragazze e
ragazzi. Mi è molto piaciuto il loro modo di ragionare. Ecco, l'Africa
ha bisogno di politici che siano persone così: bravi, intelligenti, che
facciano crescere i loro Paesi. Politici che non si lascino traviare
dalla corruzione, soprattutto. La corruzione politica non lascia spazio
alla crescita del Paese, lo distrugge. A me colpisce il cuore. Non si
possono servire due padroni; nel Vangelo questo è chiaro. O si serve Dio
o si serve il denaro. Interessante che non dica il demonio, ma il
denaro. Bisogna formare politici onesti. È anche il vostro compito.
Qual è il segreto della sua semplicità?
Io? Semplice? Io mi sento troppo complicato!
Quale guida ci può offrire per le situazioni in cui una fede forte si scontra con una cultura forte?
Ma
il conflitto non sta sullo stesso piano! Cultura e fede sono in dialogo
e devono esserlo. Certo, può darsi che una cultura forte non accetti la
fede. E questa base di paganesimo non si è mai spenta nella storia. Ma
attenzione: una forma di paganesimo è anche il formalismo esteriore di
andare a Messa la domenica esclusivamente perché lo si deve, cioè senza
anima, senza fede. La cultura forte è un vantaggio se è evangelizzata,
ma non la si può ridurre a un'impossibilità di dialogo con la fede. A
questo riguardo, è stata importante la Conferenza generale
dell'Episcopato latinoamericano che si è tenuta a Puebla nel 1979. Lì è
stata coniata l'espressione «evangelizzazione della cultura e
inculturazione della fede». Nell'incontro tra cultura e fede, la fede si
incultura. Per questo non puoi vivere qui a Giuba una fede che invece
va bene a Parigi, ad esempio. Occorre predicare il Vangelo a ogni
cultura specifica, che ha la sua inadeguatezza e la sua ricchezza.
Santo Padre, lei come prega?
Chiaramente
dico la Messa e recito l’Ufficio. La preghiera liturgica quotidiana ha
la sua densità personale. Poi a volte prego il rosario, a volte prendo
il Vangelo e lo medito. Ma dipende molto dalla giornata. Per la
preghiera personale, io, come tutti, dobbiamo trovare il modo migliore
di viverla giorno per giorno. A Kinshasa, quando ho incontrato la gente
vittima della guerra nell’Est del Paese, ho sentito racconti tremendi di
feriti, mutilati, abusati… Hanno raccontato cose indicibili. Chiaro che
io dopo non potevo certo pregare col Cantico dei Cantici.
Bisogna pregare immersi nella realtà. Per questo ho paura dei
predicatori di preghiera che fanno orazioni astratte, teoriche, che
parlano, parlano, parlano, ma con parole vuote. La preghiera è sempre
incarnata.
Quando sarà beatificato padre Arrupe?
La
sua causa sta andando avanti, perché una delle tappe è già conclusa. Ne
ho parlato con il Padre Generale. Il problema più grande riguarda gli
scritti del padre Arrupe. Ha scritto tanto e bisogna leggere tutto
quanto. E questo rallenta il processo. E torno alla preghiera. Arrupe
era un uomo di preghiera, un uomo che lottava con Dio ogni giorno, e da
lì nasce il suo forte appello alla promozione della giustizia. Lo
vediamo nel suo «testamento», il discorso che fece in Thailandia, prima
dell’ictus, quando ha ribadito l’importanza della missione con i
rifugiati.
Come si è sentito quando è stato cancellato il viaggio in Sud Sudan?
Mi
sono sentito scoraggiato. Dovevo fare il viaggio in Canada, ma mi è
stato detto di rinviare il viaggio in Africa perché non sarei stato in
grado di sostenerlo a causa del ginocchio. Qualcuno malpensante ha detto
che ho preferito andare in Canada a stare con i ricchi, ma non è così.
Quello è stato un viaggio per incontrare gli aborigeni abusati. Sono
andato lì a consolare gli abusati e a fare la pace con gli indigeni
vittime del sistema scolastico nel quale è stato coinvolta anche la
Chiesa. Ma appena è stato possibile sono venuto. Ho tanto desiderato
questo viaggio! Però a Goma – tappa prevista l’anno scorso –, purtroppo,
non sono potuto andare a causa della guerra e dei rischi conseguenti
per la gente.
Come la «Laudato si’» è stata recepita in Africa?
Bene.
Amazzonia e Congo hanno riserve di ossigeno per il mondo. E tutte e due
sono aree sfruttate. E l’Africa lo è ancora di più a causa dei minerali
dei quali è ricca. Un discorso sulla cura del creato è importante per
ambedue i Paesi. I gesuiti a Kinshasa mi hanno chiesto se ci sarà un
Sinodo sul Congo, come c’è stato per l’Amazzonia. Ho risposto che in
quel Sinodo e nella Esortazione post-sinodale ci sono già gli elementi e
i criteri utili anche per il Congo.
Che cosa si aspetta dai gesuiti qui in Sud Sudan?
Che
siano coraggiosi, che siano teneri. Non dimenticate che Ignazio era un
grande della tenerezza. Voleva i gesuiti coraggiosi con tenerezza. E li
voleva uomini di preghiera. Coraggio, tenerezza e preghiera sono
sufficienti per un gesuita.
Ha un messaggio speciale per i gesuiti dell’Africa dell’Est?
Che
siano vicini al popolo e al Signore. Gli atteggiamenti fondamentali del
Signore sono: vicinanza, misericordia e tenerezza. La vicinanza è
chiara. Le istituzioni senza vicinanza e senza tenerezza faranno anche
del bene, ma sono pagane. I gesuiti devono essere differenti.
Lei sta pensando alle dimissioni?
No,
non mi è passato per la mente. Ho però scritto una lettera e l’ho data
al cardinale Bertone. Contiene le mie dimissioni nel caso non fossi
nelle condizioni di salute e di consapevolezza per poter rinunciare.
Anche Pio XII ha scritto una lettera di rinuncia nel caso che Hitler lo
avesse portato in Germania. Così lui disse che avrebbero catturato
Eugenio Pacelli e non il Papa.
Il testo dell’incontro è stato pubblicato da La Civiltà Cattolica