Città del Vaticano - Questa mattina, Papa Leone XIV ha voluto incontrare tutti i sacerdoti che operano nella Diocesi di Roma, la Chiesa locale di cui è Vescovo dal momento della sua elezione, poco più di un mese fa. Un gesto che vale più di tante parole, soprattutto per un clero che, negli ultimi anni, è stato segnato da tensioni, delusioni e marginalizzazioni.
Sin dalle prime ore dopo la sua elezione, Leone XIV ha mostrato attenzione concreta verso la sua diocesi. Ha incontrato il Cardinale Vicario, poi il Vicegerente, e in pochi giorni tutto il Consiglio Episcopale. Un'azione rapida e simbolica, che segna la volontà di ricucire un tessuto ecclesiale lacerato, restituendo dignità e ascolto a un presbiterio ferito. Il disastro amministrativo e pastorale prodotto dalla costituzione apostolica In Ecclesiarum Communione, emanata da Papa Francesco, è ormai ampiamente documentato. Silere non possum ha denunciato per anni, con prove e testimonianze, gli effetti deleteri della gestione del Vicariato: un sistema opaco e autoritario, dove le amicizie personali contavano più della trasparenza e della comunione ecclesiale. Renato Tarantelli – figura oscura che ha avuto accesso a Santa Marta grazie alla sua amicizia personale con Fabio Salerno e Cristiano Antonietti – ha operato come regista occulto, facendo firmare al Papa documenti che egli stesso non comprendeva appieno. Poi è arrivato Baldassare Reina, proveniente da Agrigento, già noto per questioni controverse avvenute in Seminario, che si è piegato ai diktat del "principe del Foro" in quanto consapevole che altrimenti sarebbe saltato.
Nel giro di pochi mesi, interi settori del Vicariato sono stati smantellati, con vescovi ausiliari spostati o silenziati in nome di un “rinnovamento” che sapeva di epurazione: da Daniele Libanori a Paolo Ricciardi, tutti rimossi con provvedimenti sbrigativi. L’unico “sopravvissuto” al terremoto istituzionale è stato Benoni Ambarus, protetto dalla stima personale di Francesco per il suo servizio ai poveri.
Ora, con Leone XIV, si apre un tempo nuovo. Il Papa conosceva già questa realtà fin dai tempi in cui guidava il Dicastero per i Vescovi. Da un lato leggeva ampiamente quanto veniva scritto, consultava i documenti pubblicati e dall'altro si ritrovava le nomine del Papa sulla scrivania. Oggi ha deciso di affrontarla a viso aperto, incontrando tutti i sacerdoti, non solo quelli incardinati, ma anche quelli provenienti da altri Paesi e residenti a Roma per studio o servizio. Una scelta che riconosce la specificità e la complessità del clero romano, e che rivela uno sguardo universale, ma non distaccato. «Ho desiderato incontrarvi per conoscervi da vicino e per iniziare a camminare insieme a voi. Vi ringrazio per la vostra vita donata a servizio del Regno, per le vostre fatiche quotidiane, per tanta generosità nell’esercizio del ministero, per tutto ciò che vivete nel silenzio e che, a volte, è accompagnato da sofferenza o da incomprensione. Svolgete servizi diversi ma siete tutti preziosi agli occhi di Dio e nella realizzazione del suo progetto» ha detto il Pontefice ai suoi preti.
Durante l’incontro, Leone XIV ha aperto con un gesto simbolico: un applauso per tutti i presbiteri e diaconi di Roma, un modo semplice ma diretto per dire “ci sono, vi vedo, vi stimo”. Poi ha preso la parola, con un discorso profondo, paterno, denso di richiami alla comunione, alla coerenza di vita, e alla capacità profetica della Chiesa in questo tempo. Tre le parole-chiave offerte dal Papa ai suoi preti: unità, esemplarità, profezia.
Unità e comunione
«Il presbitero è chiamato ad essere l’uomo della comunione», ha detto, richiamando le parole della preghiera sacerdotale di Gesù. Ha riconosciuto che oggi la comunione è messa a rischio dall’individualismo, dall’isolamento, dalle incomprensioni e dalle ferite vissute. Ha parlato della necessità di tornare a una fraternità profonda, spirituale, che parta dall’incontro personale con Cristo e generi relazioni sincere, stabili, fondate sull’amicizia e sulla stima reciproca.
Esemplarità
Il Papa ha chiesto ai suoi sacerdoti di essere credibili ed esemplari, nella consapevolezza dei limiti umani ma anche della grande grazia ricevuta. «Al servo è chiesta la fedeltà», ha affermato. E ha messo in guardia dal rischio del livellamento morale, di una “città” che propone mille seduzioni. Leone XIV ha esortato a tornare all’amore della prima ora, a custodire lo slancio della vocazione, a vivere l’umiltà come cifra dell’autenticità evangelica.
Profezia nel presente
Infine, il Papa ha voluto che i sacerdoti non distolgano lo sguardo dalle sfide del mondo, anzi: le abbraccino. Ha parlato della povertà crescente a Roma, dell’emergenza abitativa, del disagio sociale che tocca tutti. Ha citato don Mazzolari, don Milani e don Di Liegro come modelli di preti profeti, capaci di tenere insieme storia e Vangelo, denuncia e annuncio. Ai suoi preti Leone XIV ha chiesto di non fuggire dalle difficoltà, ma di leggerle come occasioni per testimoniare Cristo nella realtà, oggi.
In chiusura, il Papa ha rinnovato la sua vicinanza affettuosa ai sacerdoti, e ha affidato loro le parole accorate di Sant’Agostino: «Amate questa Chiesa, restate in questa Chiesa, siate questa Chiesa». Una frase che, in controluce, dice molto del tempo che stiamo vivendo: un tempo in cui amare e restare nella Chiesa non è più scontato, soprattutto quando ci si sente soli, traditi o manipolati. Ma Leone XIV non è venuto a distribuire pacche sulle spalle. È venuto a ricostruire, a purificare, a servire. E oggi, davanti a un clero provato, ha posto la prima pietra di un nuovo inizio.
d.R.M.
Silere non possum