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Città del Vaticano - Questa mattina, nella cornice dell'aula Paolo VI progettata da Pier Luigi Nervi, il Santo Padre Leone XIV ha incontrato i rappresentanti della stampa internazionale, riuniti in occasione del Conclave. Come nel suo stile, il Papa si è presentato con una compostezza serena, misurata e cordiale. Ha aperto il suo intervento con un caloroso “Buongiorno”, seguito da un saluto in lingua inglese per mettere subito a proprio agio i presenti: « Grazie per questa splendida accoglienza! Dicono che quando si applaude all'inizio non importa molto... Se alla fine siete ancora svegli e volete ancora applaudire... Grazie mille!»

Leone XIV, come è noto, parla diverse lingue, e la sua attenzione nel raggiungere ogni interlocutore è stata evidente sin dai primi istanti. In prima fila, tra il pubblico, erano presenti i vertici del Dicastero per la Comunicazione, attualmente confermati nei loro incarichi. Tuttavia, è chiaro che questa conferma rappresenta più una prassi transitoria che una scelta definitiva. Proprio prima dell'incontro, un cardinale di Curia – nel tragitto che va da verso Piazza San Pietro attraversando l’Arco delle Campane – ha lasciato trapelare con franchezza una riflessione condivisa durante le congregazioni: “Uno dei temi più discussi è stato proprio quello della comunicazione. Gli errori commessi, anche nelle ultime ore, sono gravi e sistemici. Non parliamo di un blog qualunque, ma di strutture che, grazie al sistema degli ultimi anni, sono diventate organi ufficiali d’informazione e nei quali sono stati investiti milioni di euro dei fedeli. È inammissibile che in un momento così delicato per la Santa Sede, la gestione appaia così inadeguata”.

Attorno alla figura di Leone XIV permane, da parte di questi giornalisti e anche dei vertici della comunicazione vaticana, un clima di cautela e diffidenza. Purtroppo, alcuni 'vaticanisti' – come Rocca – continuano a concentrare l’attenzione su aspetti secondari e poco significativi, spesso legati al temperamento personale del Pontefice, piuttosto che sul cuore del suo messaggio. Nel suo intervento odierno, il Papa ha richiamato proprio queste persone a riflettere non solo sul contenuto della comunicazione, ma anche sul modo in cui essa viene trasmessa: un invito chiaro a intraprendere un autentico cammino di conversione, che molti vaticanisti farebbero bene ad accogliere con serietà.

La preoccupazione è seria e non riguarda le persone ma il metodo. Dopo tutti questi anni si è arrivati al punto in cui, quando il Papa, durante il Regina Caeli, parla di vocazione, preghiera e sacerdozio, l’unico elemento ad essere evidenziato nei tweet ufficiali di Vatican News è quello che riguarda la guerra, cioè ciò che garantisce più “like” e visibilità. In tal modo, il messaggio viene ridotto, privato della sua pienezza spirituale e questa "testata" non è differente da "Il manifesto". Il compito delle strutture comunicative del Vaticano, della Santa Sede e delle diocesi, invece, deve essere prima di tutto quello di evangelizzare e raccontare la fede, la bellezza dell'essere cristiani. Durante il suo discorso, il Papa ha citato sant’Agostino: "Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. […] Come ci ricorda sant’Agostino: ‘Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi’”. Un richiamo alla responsabilità personale, ma anche collettiva, soprattutto per chi è chiamato a raccontare la realtà.

Il Pontefice ha poi ribadito il sostegno della Chiesa ai giornalisti imprigionati o perseguitati per aver cercato la verità, sottolineando come la libertà di stampa sia un bene prezioso da custodire. E ha aggiunto: “La comunicazione non è solo trasmissione di informazioni, ma creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e confronto”.

Parole che si inseriscono in un contesto in cui, purtroppo, alcuni settori della comunicazione vaticana e para vaticana vivono secondo logiche escludenti, favorendo dinamiche di potere, alimentando sospetti, e persino calunnie nei confronti di chi veniva ritenuto “fuori dal cerchio magico”. Il Papa sembra voler tornare a uno stile comunicativo più ispirato, come quello di dodici anni fa: uno stile che propone, non impone; che invita, non giudica; che educa, senza mai deridere. È chiaro che Leone XIV sa bene che non tutti coloro presenti questa mattina nell’aula Paolo VI hanno sempre agito in nome della verità. Tuttavia, non ha puntato il dito, ma ha indicato la strada: quella del servizio alla verità, della correttezza, della coerenza tra parole e vita.

L'invito ai vaticanisti, specialmente a coloro che frequentano assiduamente la Sala Stampa vaticana e si lasciano andare a commenti velenosi contro prelati e vescovi o coloro che etichettano come "competitor", è quello di fermarsi. «Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto» ha detto. 

Il Papa invita a liberarsi da schemi ideologici o partitici nel parlare della Chiesa, e di sforzarsi di dialogare anche con chi si percepisce come “rivale”, magari solo perché fa un buon lavoro o porta alla luce alcune nostre incapacità. Una comunicazione autentica non si lascia guidare da invidia o gelosia, né si chiude in reazioni stizzite quando viene evidenziato un errore. Chi smaschera intrighi o manovre per ottenere vantaggi personali (scatti di livello, accordi segreti, chat e commenti calunniosi) non attacca, ma serve la verità. E chi viene toccato da queste verità, dovrebbe convertirsi, non reagire come un infastidito colto in fallo. 

Nel suo discorso il Papa ha invitato a una comunicazione di pace, priva di aggressività, capace di ascolto, capace di raccontare il bene, il silenzioso lavoro quotidiano di tanti. Ha ribadito la necessità di una responsabilità collettiva di fronte ai nuovi strumenti tecnologici, come l’intelligenza artificiale, affinché vengano orientati al bene comune. “Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare – ha detto – ma una comunicazione capace di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra”.

Il messaggio conclusivo è stato chiaro: solo una comunicazione disarmata può costruire vera pace, e solo un giornalismo libero e responsabile può contribuire a una società più giusta. Il suo stile pacato ma fermo è un invito a tutti: giornalisti, operatori della comunicazione, membri della Chiesa e semplici fedeli, a uscire dalla logica del chiacchiericcio e dello scoop e a cercare, insieme, una via più alta. 

F.G. e p.L.T.
Silere non possum