Roma - Il 18 ottobre, il cardinale Baldassare Reina ha firmato un comunicato in cui esprimeva la sua “profonda solidarietà e vicinanza al giornalista Sigfrido Ranucci e alla sua famiglia” dopo il grave attentato subito. Parole nobili, apparentemente. «Ogni atto di violenza e intimidazione contro chi cerca e racconta la verità è un colpo inferto alla libertà di tutti», ha scritto il prelato, aggiungendo che bisogna “pregare perché ogni operatore della comunicazione possa indagare senza paura”.
Ma di quale libertà di stampa parla il cardinale Reina? Della stessa che il Vicariato di Roma, sotto la sua firma, cercò di imbavagliare il 12 marzo 2024, quando pubblicò un comunicato minacciando azioni legali contro chi aveva “impropriamente e in modo artatamente parziale diffuso documenti”? Quel testo, che non nominava Silere non possum ma a tutti era chiaro a chi si riferisse, fu un tentativo goffo e intimidatorio di silenziare chi stava raccontando ciò che nel Vicariato non doveva essere raccontato. Reina, del resto, concede la parola solo a chi sa stare al gioco: a chi gli assicura domande accomodanti e un racconto della realtà addomesticato, che non osi nemmeno sfiorare ciò che si nasconde sotto la superficie. Poco importa se dall’altra parte c’è un influencer improvvisato, un non giornalista, o il parrocchiano di Tor Pignattara: ciò che conta è che non disturbi.
Certo, nonostante le minacce, nessuna azione legale fu mai intrapresa - e non poteva essere altrimenti. A essere falso non era ciò che pubblicava Silere non possum, ma quanto affermava il Vicariato di Roma. Gli articoli si basavano su atti originali, firmati e timbrati, documenti autentici che mettevano a nudo un sistema malato, quello stesso che Francesco aveva definito “corrotto”, ma che continua indisturbato, perché nessuno ha avuto il coraggio di smantellarlo.
E allora viene spontaneo chiedersi: quale verità intende difendere il cardinale Reina? Quella dei giornalisti televisivi che si occupano solo di temi innocui, lontani dal suo raggio d’azione? Quella dei non giornalisti accolti nei salotti del Palazzo per interviste docili, pensate per non disturbare nessuno? O, piuttosto, quella di chi — senza appartenenze né convenienze, ma con la sola volontà di far luce su ciò che rende il Vicariato di Roma una realtà ormai invivibile — osa denunciare il familismo amorale e l’abuso di potere che prosperano dentro le mura del Palazzo Lateranense?
Il paradosso è evidente: si condanna la violenza quando non tocca i propri interessi, ma si attaccano e minacciano con foga coloro che indagano sui privilegi ecclesiastici e sui giochi di potere clericali. Del resto, è lo stesso atteggiamento di quelle organizzazioni che sono la vera ragione per cui l’Italia ristagna al 49º posto nei report sulla libertà di stampa: predicano principi di trasparenza e indipendenza quando si tratta degli altri, ma nelle proprie stanze decidono tutto secondo convenienza, imponendo silenzi e complicità. Si sbandiera la libertà di stampa quando è comodo, ma si calpesta quando diventa scomoda.
Non va dimenticato che lo stesso cardinale non ha trovato una sola parola di condanna per l’atto vandalico contro la statua di San Giovanni Paolo II nei pressi della Stazione Termini - un episodio che avrebbe meritato almeno due righe di comunicato stampa. Ma Reina interviene solo su temi sociali e politici, mai su ciò che riguarda davvero la sua diocesi. Da questo punto di vista, ha imparato bene la lezione da chi lo ha nominato: parlano di tutto e di tutti, purché non si tratti di guardare in casa propria.
Questa doppia morale è la cifra di una parte della Chiesa, in particolare quella promossa negli ultimi dodici anni, che preferisce apparire giusta piuttosto che esserlo, che recita comunicati di facciata mentre lascia marcire la verità nei cassetti. Si parla di “rispetto”, ma si dimentica che il primo rispetto dovuto è verso la verità - anche quando brucia.
Forse la solidarietà di Reina è autentica. Ma se lo è, allora non può essere a giorni alterni. Non può essere a misura di convenienza. O si difende la libertà di stampa sempre - anche quando tocca il sacro recinto - o non la si difende affatto. Finché questi “presuli” useranno la parola “verità” come un paravento, continueranno a tradirla ogni volta che qualcuno, davvero libero, la fa emergere.
d.P.A.
Silere non possum