“La Chiesa è una realtà complessa” ha sussurrato questa mattina, prima dell’inizio della Santa Messa, un amicio al mio orecchio facendomi sussultare mentre ero assorto nei miei pensieri. Ho sorriso, il riferimento era ad un discorso che avevamo fatto nei giorni scorsi, ma effettivamente credo sia una cosa che in molti “commentatori vaticani” non comprendono.

A volte ci ritroviamo innanzi al Tabernacolo e tornano alla mente le parole di Benedetto XVI nella sua ultima udienza: «Ho sempre saputo che in quella barca c'è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto». La Chiesa è Sua, ma a volte quella certezza che aveva Benedetto XVI noi non l’abbiamo. Non l’hanno neppure alcuni porporati che, fra un rocchetto ed una fibbia, spesso sono più impegnati a muovere “pedine”, piuttosto che pregare.  

Un po’ di tempo fa è stato avviato un progetto di una rivista che è stata consegnata a diversi prelati ed ha il fine di “far conoscere i cardinali ai cardinali”. Un porporato quando l’ha ricevuta ha alzato la cornetta e mi ha detto: «Ci risiamo». Poi, passato un po’ di tempo, abbiamo affrontato di nuovo il tema e sono emersi alcuni aspetti preoccupanti.  Ne parlammo su Silere non possum postando anche la foto di due pagine dove veniva utilizzato il femminile riferendosi ai cardinali. In questi giorni il tema è ritornato perché questi benpensanti hanno deciso di “digitalizzare” il tutto creando un sito ad hoc. Ritengo doveroso, quindi, ritornare sul tema e fare chiarezza su una questione che certamente, fra non molto, coinvolgerà la Chiesa intera: l’elezione del Papa.

Conclave e media

Abbiamo già pagato le conseguenze (e purtroppo le stiamo pagando ancora) di un Conclave che si è consumato sui media. Forse c’è chi lo ha capito ed oggi alza il tiro facendo leva su un cancro serio di questo pontificato: la scelta dei cardinali. Francesco ha da subito scelto persone diverse e lontane fra loro che, a suo modo di vedere, dovrebbero rappresentare la Chiesa di tutto il mondo e non solo le realtà più sviluppate e potenti. Nella realtà, però, Bergoglio ha diminuito i momenti di incontro fra principi della Chiesa, basti pensare che non li convoca mai a Roma, e questi non si conoscono affatto. Il rischio? Nel prossimo conclave non ci sarà solo il grande dramma di dover succedere ad un uomo divisivo come Francesco ma anche chi scegliere? Considerato che la colomba dello Spirito Santo non entrerà da nessuna finestra, visto che sono chiuse, e non si poserà sul prescelto, saranno necessari i voti. «Chi votare se non conosciamo i membri del Collegio?» mi chiede un porporato.  Il rischio, mi spiega, «è quello di rivivere il Conclave del 2013 dove scegliemmo Bergoglio perché ci fu consegnata un’immagine di lui che era completamente contraria a quello che in realtà è».

Chi lavora dietro a Cardinalis?

Fare un conclave come quello che ha eletto Francesco è qualcosa che la Chiesa deve scongiurare. Se un cardinale è cattolico, progressista o conservatore che sia, non può pensare di farsi influenzare dai media nella scelta del successore dell’Apostolo Pietro. In questi anni abbiamo visto come alcuni presuli sono stati più impegnati a pubblicare interviste piuttosto che passare il loro tempo in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento. Questo è un dramma che stiamo pagando in moltissime realtà.

Quindi, da qualunque parte arrivi il tentativo di “pilotare il Conclave” bisogna subito “staccare la spina”. Come avevamo già spiegato, dietro al progetto di questa rivista ci sono ambienti conservatori. E qualcuno potrebbe tirare un sospiro di sollievo ma, per tornare al mio amico, “la Chiesa è una realtà complessa”.

Uno dei “giornalai” che sono stati messi a fare gli scribani su questo progetto è Andrea Gagliarducci. Si tratta di un uomo che non si può neanche attaccare più di tanto perché basta guardarlo in faccia per rendersi conto che il Signore ha fatto quel che ha fatto. Va bene. Ma il problema serio è che, non essendo capace di formulare pensieri autonomi perché non ne ha la competenza essendo una persona che scrive e riporta ma non che vive alcune cose, passa il suo tempo fra un prelato o diplomatico e l’altro per farsi raccontare qualcosa.  

Quel qualcosa, poi, finisce su quei siti che lo ospitano per quattro o cinque euro ad articolo. Gagliarducci, però, è il classico ragazzetto allevato dal prelato di turno che non è capace neppure di frequentare una celebrazione eucaristica in raccolto silenzio. Passa il proprio tempo a girare messaggi su whatsapp e a sparlare dell’uno o dell’altro. C’è da dire che ha un ottimo maestro, e qui andiamo al dunque.

Nessuno se ne preoccuperebbe se non fosse che le cose che scrive sono spesso false e vogliono offrire una visione del mondo e della Chiesa attraverso due occhi, quelli di Angelo Bagnasco.

La scuola “zenese”

Qui è necessario ampliare lo sguardo ed inserire l’ex arcivescovo di Genova in un recipiente ben più capiente: i prelati genovesi. Si tratta di quella “cerchia” che era molto cara a Benedetto XVI perché aveva puntato molto su di loro: Tarcisio Bertone (pur non essendo originario di Genova), Mauro Piacenza, Angelo Bagnasco, Francesco Moraglia, ecc…

Joseph Ratzinger, avendo a cuore Bertone, fece di tutto per promuovere queste persone perché era convinto fossero persone rette, liturgicamente ben impostate e dottrinalmente sane. Sappiamo tutti come andarono le cose ed è emerso chiaramente come dietro all’apparenza Tarcisio Bertone ha fatto ben altro che non è andato di certo a favore della Chiesa e del Papa.

Nella rivista sui cardinali, addirittura, Angelo Bagnasco compare fra “I papabili”. Nella rivista cartacea avevano inserito anche Mauro Piacenza. Uno ha 81 anni e l'altro 80. Questo conferma, ancora una volta, quanto l’ego di questi personaggi sia grande. I sacerdoti che hanno avuto a che fare con questi prelati della scuola genovese sanno bene come quell’apparenza e quelle trine, purtroppo, non hanno dietro altro che lotte di potere ed interessi personali. Bagnasco è sempre stato molto più attento a posizionare i propri “fedelissimi”, piuttosto che delle problematiche serie che riguardano la Chiesa. Più preoccupato a non farsi colpire o notare da ambienti che lo avrebbero potuto danneggiare.

Un esempio fra tutti fu la vicenda don Gallo. Il rigorosissimo Arcivescovo di Genova ha sempre permesso a quell'uomo di fare ciò che voleva perché aveva il terrore di una rivolta, come già era avvenuto, della comunità di san Benedetto al Porto. 

Senza dimenticare che sulla morale e la dottrina è certamente ferreo a voce, salvo circondarsi di sarte e megere che parlano al femminile riferendosi a preti e vescovi. L’immagine che Papa Francesco aveva ed ha di Angelo Bagnasco è quella che hanno i presuli di tutto il mondo, eccetto qualche suo amico personale. Chi, se non un drogato, può affermare che quest’uomo è un “papabile”? Sì, forse chi è drogato del proprio ego. È vero, quindi, che le dinamiche che ci sono oggi ad opera di Papa Francesco c’erano anche prima. Diversi porporati non fanno altro che sottolinearlo ogni volta che li incontro e si spendono per dirmi che ciò che scriviamo è certamente corretto ma sono dinamiche che si sviluppavano anche con Joseph Ratzinger regnante. Sì, è vero, ma c’è una differenza sostanziale: il Papa, prima, era vittima di queste persone. Oggi, il Papa, ne è l’autore. All’interno di questa scuola genovese, che certamente ha molto di positivo e porta con sé una eredita preziosa, si sono sviluppate vicende che ci danno l’idea di chi è Angelo Bagnasco. Pensiamo, ad esempio, a quanto avvenuto ad Albenga-Imperia. S.E.R. Mons. Mario Oliveri è stato crocefisso e descritto come colui che era la sorgente di qualunque male. Il grande problema qual era? La morale in seminario. Tante chiacchiere, tante leggende, tanti discorsi. Angelo Bagnasco prese Oliveri e lo immolò.  «Ma in seminario ci stava il vescovo? Era lui a vigilare sulle vocazioni?» mi chiede ridendo e scuotendo la testa un porporato. Colui che era in seminario è stato fatto vescovo e mandato nella diocesi limitrofa. Il seminario chiuso. In realtà, il problema era ben altro e si trattava di questioni economiche. Tanto è vero che a Ventimiglia-Sanremo non sembra che le cose vadano diversamente da quello che accadeva ad Albenga-Imperia quando c’era don Tonino. Anzi, la situazione all’interno del seminario rischia di saltare a breve e Suetta è un tipetto che non ama star zitto, quindi si è inimicato diversi preti e anche la politica.

Questo, però, è il sistema che hanno sempre favorito questi “imitatori mal riusciti di Giuseppe Siri”, li definisce un arcivescovo di Curia.

Un altro esempio? Il Patriarca di Venezia. Si tratta di un pupillo di Mauro Piacenza, il quale nel 2012 aveva iniziato a muovere i suoi in vista di un futuro Conclave. Piacenza e Moraglia sono amici per la pelle dai tempi in cui andavano insieme “con la macchinetta” all’Istituto di Scienze Religiose a Genova.

Quando il Dicastero per i Vescovi inviò le lettere per chiedere un parere su Moraglia al clero genovese, a Piazza Pio XII non arrivò una sola riga positiva sull’attuale Patriarca.
Però erano i tempi in cui Bertone, Piacenza e Bagnasco avevano carta bianca perché Benedetto XVI si fidava di loro. Moraglia fu preso e mandato a La Spezia-Sarzana-Brugnato. Erano tempi diversi, il neo vescovo indossava la talare anche per andare a dormire, predicava temi seri e non le quote rosa come fa oggi a Venezia. Moraglia, sempre molto devoto al suo “patrono”, ha sempre mosso i suoi passi con riverenza verso l'inquilino di piazza della Città Leonina. Lì, infatti, c’era chi alzava la cornetta e Moraglia accoglieva in seminario ed imponeva le mani.

In quegli anni, come detto, Mauro Piacenza si stava muovendo e ha piazzato diversi amici in luoghi cruciali ma era inconsapevole che Benedetto XVI si sarebbe dimesso di lì a poco. Fu così che riuscì a piazzare a Venezia il buon Moraglia ma saltò la porpora. Eletto Papa Francesco il vento è cambiato e per la scuola di Genova sono iniziati tempi siberiani. Basti pensare che da subito c’è chi andò a Santa Marta a dare una descrizione di Piacenza pessima, addirittura lo si identificava come il mandante del gran tradimento di Benedetto XVI. In pratica, c’era chi voleva metterlo fuori dai giochi, anche perché Beniamino Stella era già convinto di dover occupare il suo trono. Piacenza, poi, capita l’antifona, si è fatto da parte e da buon “alunno genovese” ha chinato il capo mettendo il clergyman addirittura alle udienze papali e tacendo il più possibile. «È stato furbo, non so se ha fatto bene, ma è rimasto in vita», commenta il porporato che lo ha visto molte volte in questi anni fare la spola da Piazza della Città Leonina al Palazzo della Cancelleria.

Il declino della scuola genovese

Tutta colpa di Bertone? Sì e no, ma una cosa è certa: Jorge Mario Bergoglio nutriva astio per il Presidente della CEI proprio perché ritenuto troppo conservatore e finto. Con lui ha fatto un pacchetto e, visto che a Santa Marta ci sono lingue molto lunghe, ha capito quale era la cerchia e ha iniziato a prendere di mira tutti.

Questa idea dell’Arcivescovo di Buenos Aires, però, non è solo sua ma di molti appartenenti al Sacro Collegio. «C’è durezza su alcuni temi che poi fanno emergere molte contraddizioni ma una cosa è certa, sono più dediti a mantenere uno stile, che è certamente affascinante, ma spesso non ha sostanza. Non hanno legami di amicizia, tutto è impostato sull’interesse» spiega il cardinale. E continua: «Quando il Papa disse che lo davano già per morto ha voluto mandare un messaggio forte e chiaro a Bagnasco che andava in giro per l’Europa a sponsorizzare Peter Erdo, che è il loro candidato attuale». Questo lo avevamo scritto e Angelo Bagnasco, sempre con questo stile ipocrita, andò a Santa Marta a chiedere la prefazione del Papa al suo libro come gesto riconciliatore.

«Una cosa, vorrei dire, riguardo questi confratelli. Quando parli con Bagnasco, Piacenza o Moraglia sono molto critici, o comunque tengono le distanze, dai cardinali Müller, Burke, ecc… Loro sono quelli che tentano di mantenere una posizione intermedia. È il centro destra! (ride) Ma questo, ti ho detto, offre un ulteriore punto di osservazione riguardo al mondo “conservatore-tradizionalista”. Mentre i progressisti tentano, chi più chi meno, di apparire uniti, loro criticano anche “i loro simili”» spiega il porporato. «Questa – continua - è una malattia tipica del mondo tradizionale. Se tu celebri il Rito Antico e lo celebro anche io, quando mi troverò a parlare con qualcuno dirò che comunque tu lo celebri male, io sono più bravo. C’è un’attenzione spasmodica a come ti sei messo il cingolo, il camice…Tutte cose che sono importanti ma la Santa Messa, la nostra vita di fede, non si può ridurre solo a questo». 

L’impressione che si ha, quindi, è quella di molta apparenza e poca sostanza. Forse è per questo che Papa Francesco molte volte ha preso di mira queste persone e i loro seguaci per mettere in risalto una malattia antica, quella dei farisei, l’ipocrisia. Certo, poi il Pontefice porta avanti le sue battaglie che sono “uguali e contrarie” ma su alcune cose ha certamente ragione. Pensiamo, ad esempio, alla questione del chiacchiericcio. Non sono forse questi personaggi a fomentarlo? «Non è possibile andare in sartoria e raccontare tutti i fatti dell’uno e dell’altro mentre ti prendono le misure per l’ultima casula che indosserai per poter diventare il loro manichino e oggetto di pubblicità» scuote la testa l’anziano cardinale. «Molte volte ci troviamo a parlare fra confratelli ed emergono cose che sono state dette da questi ecclesiastici al costumista o al porta borse di turno. Non contenti, poi, sono oggetto di risate e prese in giro. Quante volte questi loro fidatissimi collaboratori parlano alle loro spalle appellandoli al femminile? È una pratica vergognosa» si lascia andare.

Su questo argomento siamo tornati molte volte e abbiamo spiegato in modo esaustivo come siano proprio questi personaggi ad alimentare un modus operandi che è peggiore delle corti novecentesche.

Il Conclave, un feticcio di molti

Questo evento, quindi, resta un pallino per molti. All’interno della Chiesa, e in particolare all’interno di queste mura, l’attenzione a questo evento è molto alta oggi perché i porporati hanno il terrore di arrivare impreparati come avvenne nel 2013. Le improvvise dimissioni di Benedetto XVI furono un vero e proprio problema anche per la sua successione. I cardinali erano traumatizzati, anche coloro che fecero di tutto per far sì che Ratzinger si togliesse dai piedi. «Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare» spiega il cardinale. «Rimanemmo tutti narcotizzati. Benedetto organizzò anche un tempo per poter sostituire quelli che sarebbero stati i novendiali in caso di morte. Annunciò le dimissioni a partire dal 28 febbraio. Noi, però, quando entrammo in cappella sistina non avevamo ancora accettato ed “elaborato quel lutto”» sottolinea. 

La preparazione, però, non può essere fatta seguendo ciò che scrivono questi giornali, i quali sono responsabili di molte liti e lotte all’interno della Chiesa. A volte qualche amico mi chiede: «Ma come mai parli con quel cardinale, è progressista». Rimango sempre molto perplesso quando queste categorie iniziano ad appiccicarsi alle persone. Nella Chiesa siamo abituati a questo stile, il quale appunto è proprio di questi personaggi come Bagnasco, che è quello di parlare solo con chi la pensa come noi. In realtà, poi, mi sono accorto negli anni che tutte le dicerie e i pregiudizi che ti vengono consegnati sulle persone si sgretolano nel momento in cui le conosci. Per questo le riviste e i siti che si basano su questo genere sono un cancro pericoloso.

Nelle pagine di riviste come questa sui cardinali, infatti, vengono inserite le immagini del cardinale di turno, i suoi titoli e il suo curriculum e una descrizione su ciò che, a parere dello scrivano di turno, questo principe della Chiesa penserebbe. Da che cosa evincono queste posizioni? Dalle interviste o da ciò che gli hanno fatto dire in qualche occasione alcuni giornalai. A volte sono entrato in qualche casa di prelati che non mi erano familiari. Ero restio, un po’ guardingo, lo confesso, perché i miei “maestri” me li descrivevano in un determinato modo. Noi tutti abbiamo delle scatoline nella testa e necessariamente tentiamo sempre di incasellare le persone che abbiamo di fronte. Questo ci fa stare tranquilli. È umano.

Mi sono seduto, abbiamo preso un tè e abbiamo parlato. Solitamente si parte commentando qualche evento, poi ci si lascia andare ad altre considerazioni. Bene, io sono sempre uscito da questi incontri con un’idea completamente contraria a quella che avevo quando sono entrato.

Per questo ritengo che determinate “scuole” siano nocive. Questa è una carenza che poi trasmettono anche ai loro successori. Anche nei seminari abbiamo il dovere di formare persone libere, che sappiano ragionare con la loro testa. Il giudizio su una persona, se proprio devo farlo, me lo devo costruire da solo, con una esperienza mia. La deriva attuale, invece, è quella di fare un faldone nel quale mettere le spunte verdi o le croci rosse e passarlo di scrivania in scrivania. In questo si esprime il cancro di una scuola ben precisa: l’assenza di umanità. Mitrie, Pastorali, Candelieri, Pizzi, Merletti…Tutto molto bello ma l’aria è da museo e anche un bel po’ stantia.

Questo modus agendi tentano, in tutti i modi, di trasmetterlo anche a laici, seminaristi, preti e vescovi da loro formati. Guardiamoci bene, quindi, dal trasformare il Conclave in un luogo politico o, peggio ancora, in una partita di calcio. Il cardinale, scherzando, afferma: «Sembra un album di figurine Panini. Foto, potenza, punti di forza e punti deboli. Una cosa del genere neppure alle elezioni politiche viene fatta». Mi vengono i brividi a pensare che qualcuno abbia questa visione della Chiesa come se fosse un luogo asettico, senz’anima.

Del resto, tutto questo non meraviglia nel momento in cui sia la CEI che alcune diocesi elogiano un film, in uscita in questi giorni, che parla del Conclave come un luogo dove ci sono persone assetate di potere e che tentano di far eleggere il loro candidato. Vedete, alla fine le cose dal tempo di Gesù Cristo non sono cambiate molto. L’ipocrisia è al centro delle azioni di molti di questi personaggi e neppure se ne rendono conto.

Se c’è una realtà che parla delle problematiche da estirpare e che sono radicate nel nostro ambiente, se c’è una realtà che racconta la verità su una serie di modi di agire nocivi che vanno eliminati, se c’è una realtà che spiega, per filo e per segno, cosa accade a Santa Marta e attacca (anche in modo molto agguerrito) i giornali e tutte quelle tresche di potere che danneggiano la Chiesa, allora quello non va bene. Questi “democristiani” iniziano a dire: «Mmmmm, sì, ma sai….meglio star zitti….Meglio non esporsi….Meglio così». 

Se ci sono realtà, ultra pagate e sponsorizzate, che fanno film dove descrivono la Chiesa come un luogo orrendo e pieno di tresche, allora quelle «vanno bene perché alla fine tanto ne parlano tutti». 

«Tutte queste cose sono utili per fare un po’ di confusione – spiega il cardinale, il quale cerca di non farmi perdere d’animo di fronte a tante contraddizioni. «Il lavoro che fa Silere non possum è più pericoloso per qualcuno perché mette allo scoperto le reali contraddizioni loro e di un sistema che hanno creato. Immagina una persona che spara a caso, in un mucchio. Questo è il lavoro che fanno alcuni uomini del momento. Quelli che scrivono libri contro i soldi in Vaticano, contro qui e contro là. Sparano nel mucchio, no? E dicono anche un sacco di cose non vero, quindi alla fine qualcuno sorride perché sa che non va ad inficiare il loro cammino. Anzi, a volte li agevolano perché spostano l’attenzione su cose che non esistono. Silere, invece, è un cecchino, potremmo dire (e ride). Pochi punti, ma sono quelle ferite aperte, purulente e che fanno male». 

Ferite o no, questa deriva che la Chiesa ha imboccato da diversi anni è molto pericolosa. E anche in questo caso sarebbe bene fare proprie le parole di Papa Francesco sulla comunicazione. In questo pontificato abbiamo capito che è utile prendere le parole del Pontefice e meditarle piuttosto che guardare a ciò che fa. «Osservate dunque e fate tutte le cose che vi dicono di osservare; ma non fate come essi fanno, poiché dicono ma non fanno. Legano infatti pesi pesanti e difficili da portare, e li mettono sulle spalle degli uomini; ma essi non li vogliono smuovere neppure con un dito» Matteo 23,3-4

Quando leggiamo un articolo, un identikit di qualcuno, dobbiamo sempre avere la consapevolezza che lì dentro c’è molto del giornalista e poca realtà. Per questo Silere non possum ha fatto una battaglia, fin da principio, sulla questione dei documenti. Esce un documento? Non riteniamo utile il commento, ma il documento. Succede qualcosa? Si producano il video, l’audio, le foto…Altrimenti non se ne esce più. Spesso qui sopra non possiamo pubblicare alcuni tipi di documenti ma tutto ciò che pubblichiamo è documentato e chi lo racconta, o ha partecipato o ne ha documentazione.

Questo deve essere anche l’atteggiamento dei cardinali nella difficile scelta del successore di Papa Francesco. Non possono affidarsi ai racconti che fanno i seguaci di Bagnasco o qualche giornalista represso americano. Tralasciando Gagliarducci che certe considerazioni le fa solo con gli amici siculi in Laterano seguendo quel profilo trasmessogli dall’ex presidente CEI. Ma i porporati vadano piuttosto a leggere ciò che scrivono, pubblicano e dicono giornalisti come Pentin, Mantegna & Company, anche loro coinvolti in questi progetti, su diverse tematiche. Scrivono affermazioni irripetibili su vescovi e cardinali, fanno considerazioni per quegli psicoblog che invitano a non dare l’otto per mille alla Chiesa Cattolica perché “il prete non celebra” secondo i criteri loro. 

«Se vogliamo conoscerci, incontriamoci. Si organizzino dei momenti. Non è scritto da nessuna parte che ci deve convocare il Papa. Possiamo incontrarci anche in modo autonomo. Possibilmente evitando che poi qualche ipocrita vada a Santa Marta a raccontare che i cardinali si incontrano per scegliere il successore. Ci incontriamo per conoscerci, non per altro» conclude il cardinale. Questo, però, mi sento di dire che è considerato un passo audace per qualcuno. Si tratterebbe di mostrare un tratto di umanità che forse queste persone si sono dimenticate in qualche cassetto di sagrestia.

Qualche tempo fa una persona, anche abbastanza soddisfatta, ebbe a dirmi: «Eh si, penso che se io fossi stato davanti a Pilato avrei urlato anche io crocifiggilo». Purtroppo, c’è da dire, che questo sistema ipocrita è diffuso, il grave problema è che qualcuno non pensa di doversi redimere, convertire e cambiare. Quando hai ricevuto ciò che hai ricevuto, ti sei formato come ti sei formato, alla fine ti creai il tuo harem dal quale, te ne convinci, non ti conviene venir fuori. 

«C’è solo una categoria peggiore dei cattivi. I cattivi convinti di essere buoni. Perché in nome di un’autoproclamata bontà agitano la violenza come pregio sociale, la sopraffazione come diritto acquisito, la gogna come mezzo riparatorio» ha scritto qualcuno. Questo sistema, purtroppo, lo alimentiamo anche noi come Chiesa con una violenza spesso verbale, nascosta, finemente ipocrita e qualcuno ha capito bene che può farlo anche e soprattutto attraverso narrazioni false sui media per stroncare vite, non tanto carriere. Termine che, giustamente, Papa Francesco ha detto che "fa schifo".