What is in the text that will decide what the Italian priests of tomorrow will be like?

Mentre nel mondo la Chiesa sta perdendo sempre più credibilità, il Pontefice e i vescovi sono preoccupati su come rendere sempre più assurdo e meno appetibile il cammino verso il sacerdozio ministeriale. Dal 13 al 16 novembre 2023 i vescovi italiani si ritroveranno ad Assisi per vivere la 78ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana durante la quale saranno chiamata a votare il testo della Ratio per i Seminari d’Italia. 

Il testo è una applicazione specifica della Ratio generale offerta dal Dicastero per il Clero per la Chiesa Universale. La stessa Ratio Fundamentalis recita: “Secondo il prudente giudizio di ogni Conferenza Episcopale, l’iter per l’elaborazione e per i successivi aggiornamenti della Ratio Nationalis potrebbe prevedere i seguenti passaggi: innanzitutto la Conferenza Episcopale, tramite appositi incaricati, potrebbe consultare direttamente i Seminari e, ove fosse presente, anche l’Organizzazione nazionale dei Seminari; essa potrebbe poi affidare alla Commissione Episcopale per il Clero e per i Seminari l’elaborazione di un testo base; infine, nel segno della collegialità e con spirito di collaborazione, la medesima Conferenza Episcopale deve procedere alla stesura finale del testo”. 

Ogni Conferenza Episcopale, quindi, deve avere un testo proprio che tenga conto delle peculiarità della propria Chiesa nazionale.

Il cammino in Italia 

Il 19 maggio 2021 il cardinale Beniamino Stella, prefetto del Dicastero per il Clero, inviò una lettera al cardinale Gualtiero Bassetti con la quale invitava la Conferenza Episcopale Italiana ad “apportare un nuovo documento nel quale siano recepiti i principi e le istanze offerti dalla Ratio Fundamentalis Istitutionis Sacerdotali del 2016, conciliando le peculiarità del contesto ecclesiale italiano con il modello proposto dalla Chiesa universale".

I testi elaborati dall'episcopato italiano sono stati finora tre: quello del 1972, del 1980 e del 2006.

I vescovi italiani si sono messi al lavoro su questo testo nel novembre 2021. Nel marzo 2022 sono stati sottoposti alcuni questionari anche ai formatori, seminaristi e giovani preti. Di quanto riferito non è ben chiaro se ne abbiano fatto tesoro i membri dell'equipe designata per stendere il testo della Ratio. Nella sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente è stata presentata la bozza del 6 settembre 2023. Il 13 novembre 2023 ai vescovi verrà presentata la bozza del 3 ottobre 2023 che tiene conto delle considerazioni offerte dal Consiglio Permanente.

Le bozze sono state diverse: settembre 2022, novembre 2022, gennaio 2023, settembre 2023 ed oggi quella del 3 ottobre 2023 che sarà molto probabilmente approvata in questa Assemblea straordinaria che avrà luogo ad Assisi.

BOZZA RATIO SEMINARI ITALIA

Nella presentazione di quest’ultima versione, S.E.R. Mons. Stefano Manetti, a nome di tutto l’episcopato, lancia una frecciatina al Papa: “Oltre le osservazioni sulla forma, sono state avanzate talvolta proposte di un ripensamento radicale della struttura attuale del Seminario, ritenuta antiquata rispetto alla formazione dei nuovi presbiteri nelle odierne condizioni socio-culturali ed ecclesiali, ponendo anche la domanda se convenga mantenere “il Seminario di sempre mentre è in atto un profondo mutamento ecclesiale”. Inoltre, secondo alcuni, i nostri Seminari assomiglierebbero troppo a dei collegi, iperprotettivi nei confronti dei seminaristi che verrebbero estraniati dalla realtà e viziati dalle comodità. A tal proposito bisogna considerare che un ripensamento radicale del modello di Seminario esige tempi più ampi rispetto a quelli che ci siamo dati per l’elaborazione di questa Ratio e una riflessione più profonda e condivisa (la Pastores dabo vobis fu il frutto di un Sinodo)”. 

Sì, in effetti i vescovi di tutto il mondo, ma non solo loro, sentono urgente la necessità di riflettere sul ministero ordinato. L’Esortazione Apostolica Pastores Dabo Vobis , però, è un testo assolutamente attuale e offerto solo nel 1992. Non dimentichiamo che il Santo Padre Francesco ha reso noto che le consultazioni che hanno portato al Sinodo sulla Sinodalità avevano, in realtà, evidenziarono, come primo argomento, proprio: il sacerdozio. Altresì, visto quanto avvenuto in questi mesi all’interno dell’Élite sinodale, quali frutti avrebbe portato una riflessione sul sacerdozio ministeriale? Veramente crediamo che sotto questo pontificato si possa parlare seriamente del sacerdozio ministeriale e giungere addirittura ad offrire alla Chiesa un testo alternativo rispetto a Pastores Dabo Vobis? Non scherziamo!

Le considerazioni che Manetti, il quale non ha mai goduto di particolare intelligenza, offre ai vescovi, infatti, sono già inquietanti di per sé. Scrive: “In un tempo di veloci cambiamenti, anche la formazione seminaristica dovrà rimanere aperta alle provocazioni che interpelleranno il vissuto ecclesiale impegnato nel cammino sinodale e chiederanno di porre in atto soluzioni nuove e diverse, corrispondenti ai bisogni formativi delle comunità ecclesiali e dei candidati”. Forse oggi non abbiamo ben chiaro che le considerazioni che sono state fatte, ad esempio nel documento di sintesi, sono soltanto le paturnie di laici repressi che non hanno mai neppure annusato la vita ministeriale e non hanno alcuna capacità di comprendere quali sono le reali problematiche del prete.

È certamente positiva l’idea che viene proposta di un cammino di formazione continuo che parta dal seminario e prosegue nella formazione permanente. Allo stesso tempo non si possono non notare le criticità di questo modello. Si pensi, ad esempio, all’incapacità per molti vescovi di comprendere che coloro che hanno di fronte non sono i “suoi seminaristi” ma sono i “sacerdoti ordinati”. 

Sono molti quei vescovi che trattano i preti come se fossero ancora seminaristi. Se parliamo di cammino di santità che non termina mai, è un discorso ma non si può neppure pensare che questa formazione non termini mai. Si tratta certamente di due questioni differenti: da una parte abbiamo la formazione del giovane chierico e dall’altra abbiamo un ministro ordinato che ha bisogno di un supporto continuo ma in questioni molto pratiche. 

Se il seminarista ha bisogno di imparare alcune questioni di base, anche in merito alla spiritualità, il sacerdote ordinato deve aver raggiunto una maturità tale da riuscire a gestirsi in autonomia: padre spirituale ed esercizi, ritiri, supportano la sua vita di preghiera ordinaria. Nella formazione sacerdotale permanente, quindi, i preti si aspettano un supporto molto più concentrato su questioni pratiche, amministrative, gestionali. Certo, se non abbiamo provveduto a formare le persone affettivamente, sessualmente ed umanamente in seminario, allora anche nella formazione permanente saremo ancora a trattare di questioni di base ma che sarà dura riuscire ad affrontare quando ormai le persone sono formate.

Le criticità 

È emblematico che a relazionare su questo tema ci sia un vescovo che non è mai riuscito neppure a compiere seriamente una visita apostolica ad un seminario. Chiediamoci se queste persone hanno chiare le problematiche della vita seminariale oggi, oppure no. Certo, se la loro esperienza si fonda su visite apostoliche compiute per "timbrare il cartellino" piuttosto che confrontarsi con i chierici e i formatori, forse c'è qualcosa che non va.

È sicuramente vero che la struttura del seminario come pensata oggi non è del tutto funzionale, ma non è neppure pensabile eliminare questa conformazione. Sono anni che si discute sul tema e la soluzione non è semplice. Da un lato è necessario che il seminarista passi un tempo congruo all'interno di una struttura che lo formi alla preghiera e alla comunione, dall'altro è necessario che questo non viva in una "bolla" che lo esclude dal mondo. Ma le esperienze positive possono trovare vita anche all'interno delle strutture già esistenti. Ovvero, se i formatori abbandonassero il loro ruolo di ficcanaso, censori o cacciatori di streghe e permettessero ai chierici di vivere nel mondo, fare le loro esperienze e crescere umanamente, forse ci renderemmo conto che la realtà seminariale non sarebbe poi così assurda. Allo stesso tempo si tratta di andare, come sempre, alla ricerca di un equilibrio. È vero che il seminario non è un collegio universitario ma la formazione culturale è fondamentale. Non possiamo pensare di ordinare soggetti che non sanno né leggere né scrivere e poi sbatterli in parrocchie che hanno i conti in rosso, problemi amministrativi e gente che non sa neanche chi sia Gesù Cristo e pretendere che questi sappiano amministrare e predicare. 

L'aspetto della preghiera non è affatto secondario. Se c'è un periodo nel quale il seminarista è certamente chiamato a "stare con Lui" è il seminario, altresì non possiamo neppure trasformare tutto il cammino seminariale in una sorta di esperienza monastica dove tutta la liturgia e la preghiera è condivisa con una comunità. Altrimenti quando il chierico si ritroverà in parrocchia non sarà in grado di ritagliarsi del tempo per sé perché non c'è la campana che lo richiama in cappella. In questo modo non faremo che favorire un problema già abbastanza presente che è quello di chi passa ore e ore all'interno dell'oratorio, all'interno dei centri sociali, ecc...

Completamente distaccato dalla realtà è il progetto che viene offerto in questa nuova Ratio. Per questo motivo invitiamo i vescovi a leggere attentamente il testo e non fare affidamento alle relazioni che vengono proposte da confratelli che infarciscono i testi con considerazioni senza alcun senso. Scrive Manetti: “Alla propedeutica è dato ampio spazio riconoscendone la valenza formativa e la sua preziosa funzione di attento discernimento previo l’eventuale ingresso in Seminario”. 

Esattamente dove vive Manetti? A Fiesole arriva l’ossigeno? Se c’è una cosa di cui ci siamo resi conto in questi anni è l’assoluta inutilità della propedeutica. Questo cammino veniva offerto negli anni passati come “divina soluzione” alla mancanza di fede, alla poca conoscenza del catechismo, ecc… Tanto è vero che nei cammini di propedeutica ci si sofferma su considerazioni che neppure vengono affrontate al catechismo per la Santa Comunione. Ci si è resi conto, però, che chi accede al seminario oggi è ben più preparato di chi si accostava negli anni passati. Seppur una certa parte di episcopato e il Papa stesso non lo vogliano accettare, oggi i candidati sono frutto di un pontificato di otto anni che ha speso tutte le proprie forze per il ministero sacerdotale. Le vocazioni odierne sono frutto del lavoro, silenzioso e costante, dei giovani curati ordinati negli ultimi anni. Chi bussa alle porte dei nostri seminari oggi sa già recitare il breviario, conosce tutto quanto riguarda la liturgia ed ha le nozioni base per affrontare gli studi teologici.

Missione: portare allo sfinimento

L'unico fine del progetto formativo che viene offerto in questa bozza è quella di portare allo sfinimento coloro che hanno la "malsana idea" di rispondere alla chiamata del Signore. Visto che la propedeutica è risultata così utile (sic!) i vescovi hanno scelto di inserirla nel capitolo delle tappe della formazione.

Il cammino viene così formulato:

La tappa discepolare (2 ANNI) forma con la propedeutica la fase della costruzione della consistenza interiore, attraverso un forte rapporto educativo con i formatori, la vita spirituale, lo studio, la vita comunitaria, la conoscenza di sé. Il candidato si radica nella spiritualità del discepolo, che segue il suo Signore ovunque vada. La tappa termina con l'Ammissione tra i candidati agli ordini.

La tappa configuratrice (4 ANNI) mira alla conformazione a Cristo servo e Pastore e deve durare quattro anni (CJC, can. 250). Dopo i primi tre anni (uno di propedeutica + due della discepolare) dedicati alla costruzione del sé interiore, inizia ora il periodo del graduale inserimento nella pastorale. Il primo anno, oppure, seguendo il criterio della personalizzazione dell’itinerario formativo, in un altro momento della stessa tappa, viene proposta una esperienza pastorale, caritativa e missionaria, un confronto con la realtà per prenderne maggiore consapevolezza e per educarsi alla responsabilità e alla gestione dei tempi. Vengono suggerite varie modalità della sua realizzazione (n. 54). Considerando che la tappa configuratrice dura quattro anni, durante questa esperienza può essere prevista la sospensione del percorso accademico.

Al punto 56 scrivono: "Le modalità di realizzazione di tale “esperienza pastorale, caritativa e missionaria” possono essere molteplici: vita comune in una canonica e impegno prolungato in parrocchia, esperienze lavorative in ambienti laici, esperienze residenziali di servizio presso strutture caritative, missio ad gentes o presso comunità italiane all’estero con la possibilità di apprendere una lingua straniera".

La tappa configuratrice termina con l’ordinazione diaconale.

La tappa di sintesi vocazionale (1 ANNO) accompagna l’uscita dal Seminario e l’ingresso nel presbiterio che avviene con l’ordinazione presbiterale.

Ora c'è da chiedersi: ma dove vogliamo andare? In un momento storico come quello attuale nel quale i ministri ordinati sono sempre meno, qual è il fine di offrire un cammino sempre più lungo? È forse l'ennesima dimostrazione che non vi è alcuna capacità nel formare e bisogna far credere che qualcosa cambierà aggiungendo anni e tenendo i seminaristi parcheggiati in seminario o nelle parrocchie? Anni nei quali si sta a rimuginare e a tediare le persone chiedendogli se davvero si sentono pronti.

Se questo sembra già assurdo, non è finita qui.

Gli abusi di coscienza in seminario

Mentre le commissioni per la Tutela dei Minori lavorano per inserire norme senza senso, utili solo alla stampa per fare i titoli, all'interno della Ratio, nessuno si sofferma sui veri abusi che avvengono all'interno delle mura dei seminari.

Qual è il senso di inserire una indicazione come quella prevista dal punto 45? Recita la bozza: " Massima attenzione dovrà essere prestata al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando con cura che coloro che chiedono l’ammissione al Seminario maggiore non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito". Perché prima se qualcuno manifestava queste patologie lo ordinavamo con grande gioia? 

Certe volte chi chiediamo se i vescovi hanno più a cuore ciò che scrivono i giornali o il bene della Chiesa. Perché se prevalesse il bene per la Chiesa le considerazioni sarebbero ben diverse. A 20-25 anni è ben difficile che emergano segnali del disturbo pedofilico. Piuttosto, e ancora una volta non vi è traccia alcuna in questo testo, bisognerebbe concentrarsi sulla formazione AFFETTIVA, SESSUALE E UMANA del futuro presbitero. In questo modo si eviterà che all'età di 40-50 anni, il sacerdote (come i laici) si ripieghi su persone vulnerabili piuttosto che coltivare e curare relazioni sane con soggetti della sua età.

I veri abusi che avvengono all'interno del cammino di formazione, e gli anni passati ce lo hanno insegnato, derivano dalle considerazioni che Mons. Manetti continua a fare e anche il testo offre. Si parla di "cammino personalizzato" e si esalta questa pratica riferendo che ogni storia è personale e quindi ogni candidato deve fare un cammino "cucito su misura". Questo cosa ci ha insegnato in questi anni? Che chi era piegato alle volontà del rettore riceveva un abito cucito su misura che si trasformava in un percorso fast; chi osava contrapporsi o mettere in discussione le volontà del rettore, si trovava a dover affrontare un vero e proprio calvario. 

In questo modo nascono gli abusi di coscienza e addirittura vi è un personalismo nella formazione dei futuri presbiteri. Quanti sono i presbiteri che hanno sacerdoti che hanno sofferto anni e anni perché il rettore li mal sopportava? Solitamente, proprio come afferma Padre Dysmas De Lassus, si tratta di coloro che fanno domande, hanno sensibilità diverse (liturgiche o teologiche), hanno caratteri diversi da quelli del formatore, ecc... Non si tratta, quindi, di percorso personalizzato perché ogni vocazione è diversa ma di percorso cucito addosso al candidato per via delle differenti etichette che gli sono state cucite addosso.

Questo ci porta ad un altro serio problema: i seminaristi che hanno abbandonato un seminario. 

Nessuno nega, anzi, l'esistenza di una prassi che è durata nel tempo di chierici vaganti che uscivano ed entravano da diversi seminari. La soluzione, però, non è quella di negare l'ammissione al seminario del giovane che bussa solo perché ha lasciato/o è stato invitato a lasciare un seminario di un'altra diocesi. Al punto 46 si evidenzia come bisogna essere prudenti nell'accogliere seminaristi provenienti da altre realtà e, addirittura, "non si possono, invece, prendere in considerazione le domande di coloro che, dopo il diciottesimo anno di età, per una seconda volta sono stati dimessi o hanno lasciato il Seminario, un Istituto di vita consacrata o una Società di vita apostolica". 

Non solo coloro che sono stati dimessi ma anche chi ha lasciato. Nel panorama attuale nel quale vi sono veramente numerose strutture con a capo soggetti che creano sacerdoti a loro immagine e somiglianza, se ci ritroviamo di fronte ad un giovane che ha lasciato un seminario perché è fuggito da situazioni assurde, non possiamo accoglierlo altrove?   Poi magari lo ordiniamo diacono permanente e gli facciamo fare il chierichettone intriso di clericalismo? Ah beh, faber est suae quisque fortunae. 

Omosessualità: un feticcio che resta

Seppur nei giorni scorsi i vari giornalai hanno titolato, ancora una volta: "Il Papa apre agli omosessuali", sappiamo bene che le cose stanno in modo completamente diverso. Tralasciando il fatto che il Responsum del Dicastero per la Dottrina della Fede non dice alcunché di nuovo di quanto già avveniva ed era stabilito, il problema è che questo Papa ha una concezione dell'omosessualità che è completamente assurda. 

"I gay li ammettiamo ma poi tornano a casa loro, questa è l'idea che il Papa ha", si ride a Santa Marta. Eppure il problema è serio e c'è ben poco da ridere. Francesco è aperto a tutti, a Santa Marta riceve anche le suore con gruppi di persone LGBTQ+ ma fra il clero non vuole vedere omosessuali. Non è ben chiaro se odia i preti gay più perché sono omosessuali o più perché sono preti. Chissà.

La questione però è particolarmente importante anche per quanto riguarda la credibilità della Chiesa. Ancora una volta c'è un filo che unisce omosessualità e pedofilia. Al punto 44 si parla di omosessualità e al 45 di pedofilia. Perché? Seppur il Papa sia convinto che i pedofili siano tutti omosessuali, la scienza psicologica ha dimostrato che questo non è affatto vero. Inoltre, inutile rammentarlo, tutti gli abusi che vengono commessi in famiglia sono ad opera di uomini (non celibi) ai danni di bambine (di sesso femminile). Mentre la pedofilia è un disturbo, una patologia; l'omosessualità è un orientamento sessuale. Dovendosi concentrare sulla formazione spirituale, culturale, affettiva, sessuale e psicologica del candidato, non ha alcun senso che la Ratio parli dell'orientamento sessuale dei candidati.

Piuttosto, sarebbe il caso che ci si concentrasse sull'importanza di percorsi psicologici (per tutti) volti ad una maggior conoscenza ed accettazione di sé. Se oggi nei presbiteri abbiamo persone con problemi, la motivazione è rinvenibile in una immaturità affettiva preoccupante, non certo nel loro orientamento sessuale. 

I laici e il seminarista

Collegato con quanto detto sopra bisogna rilevare che determinate sottolineature sono veramente ridicole e stucchevoli. Al punto 67 si afferma: "[Il Rettore] ha il dovere di raccogliere il parere dei suoi collaboratori, dei docenti, dei parroci che hanno accolto i seminaristi nelle esperienze pastorali e di quanti altri ritenesse opportuno; «potrebbe rivelarsi utile anche l’apporto di donne che abbiano una conoscenza del candidato, integrando nella valutazione lo “sguardo” e il giudizio femminile".

Si tratta di una parte ripresa dalla Ratio Fundamentalis ma abbiamo visto che è un feticcio particolare del Papa. Tralasciando il fatto che la donna non offre un giudizio migliore di quello di un uomo, proprio come un uomo non offre un giudizio migliore di quello della donna, queste considerazioni fanno comprendere come nella Chiesa ci siano dei problemi seri. Davvero nel 2023 siamo ancora a parlare di "sguardo e giudizio femminile"? Ma quale studio, quale evidenza scientifica ci dice che una persona ci offre un giudizio migliore o peggiore a motivo del proprio sesso?

Non è forse più opportuno considerare il giudizio di persone competenti? O vogliamo fare come il Papa che riferisce che si affida al giudizio della prima megera di turno e mette a repentaglio la vita delle persone solo perché magari c'è una "arrampicatrice", come la definirebbe lui, che ce l'ha con il seminarista che le ha detto semplicemente di fare silenzio durante la Messa? 

Continuare a sottolineare e ad imporre la presenza di donne, solo perché donne e non per la loro professione o le loro competenze, all'interno della formazione seminariale e successivamente in quella permanente, non fa altro che dirci quanti problematiche hanno accumulato gli estensori di questi testi negli anni della loro formazione. C'è poi da chiedersi, come mai non si parla di "presenza maschile" nella formazione delle religiose? Loro non possono giovare dello sguardo e del giudizio maschile? È inutile ricordare quanto questi testi rivelino la non accettazione di sé da parte di soggetti che hanno vissuto gli anni del seminario in un fortemente diverso da quello odierno ma allo stesso modo castrante.

Il bonus adulti e i ministeri

Se sei un giovane diciannovenne che sceglie di offrire la propria vita per la Chiesa, i vescovi ti offrono un cammino peggiore di quello di Dante nella Commedia. Se sei un uomo adulto, represso dalla vita e intrepido di sistemarsi, i vescovi ti aprono le porte.

I vescovi ci tengono a specificare che gli adulti devono avere sufficiente copertura economica per poter affrontare il periodo del seminario, per il resto non ci importa granché. In questi anni abbiamo visto diaconi permanenti che, deceduta la moglie, sono entrati all'interno del presbiterio con grande furore. In questo modo abbiamo dovuto farci carico anche delle spese dei loro figli. Forse qualcuno si è dimenticato perché nella Chiesa latina abbiamo il celibato. È un dato di fatto che chi è entrato adulto è uscito prete nell'arco di 3 o 4 anni dal seminario. Perché? Non devono fare il loro percorso anche loro? Anzi, la sfida è ben più complessa.

Senza dimenticare che ammettere gli adulti all'interno del presbiterio ci ha confermato come questi abbiano sempre meno capacità di adattamento ma piuttosto vogliano imporre le loro esperienze come "norma" all'interno del loro contesto. Formarli è molto più complesso ed anche all'interno della comunità seminariale la differenza d'età, la differente esperienza, può creare non pochi problemi.

I ministeri del lettorato e dell’accolitato vengono trattati alla luce delle assurde considerazioni che emergono da questo pontificato. Si tratta di una ministerizzazione incomprensibile. Recita la bozza: “si ritiene opportuno che anche per coloro che sono candidati al ministero ordinato, in vista dell’istituzione del lettorato e dell’accolitato, si sottolinei la radice battesimale di questi ministeri e che il Rito di Istituzione, anche per i seminaristi, normalmente coincida con quello degli altri ministri della Diocesi, in modo da valorizzare la comune comprensione del ministero e della sua natura di servizio al Popolo santo di Dio”

Da una parte si esalta il laicato, nudo e crudo, dall’altra si procede ad istituire ministri. È una semplice risposta della Chiesa alla volontà di questi laici intraprendenti e pretenziosi di ottenere delle coccarde da appendere in cucina. “Io sono lettore, io sono catechista”, affermano quando arrivi come nuovo parroco nella loro parrocchia. Da una parte si gioca a demonizzare il presbiterato e si afferma che ciò che conta è il sacerdozio comune ricevuto con il battesimo, dall’altra si dimostra che il battesimo a qualcuno non basta. 

Precisamente, qualcuno ci potrebbe spiegare quale sarebbe il vantaggio per un giovane d’oggi di entrare in seminario e diventare prete? Cioè quale sarebbe l’ambizione? Vedersi controllato h24 7/7 gg? Vedersi accusato di pedofilia pur non avendo fatto nulla? Vedersi accusato di essere omosessuale? Essere deriso dai ragazzini quando gira con la talare? Vivere con 800 euro al mese? No, se qualcuno ci spiega se queste sono le considerazioni sulle quali il prete si arrocca nell’essere clericale, saremmo molto felici di comprendere.

Non è forse meglio fare i chierichettoni (altresì chiamati diaconi permanenti), dettare legge in parrocchia, ma allo stesso tempo fare i direttori di banca e guadagnare, andando in giro facendo ciò che si vuole? 

Forse qualcuno dovrebbe capire che se un giovane oggi entra in seminario è perché veramente sceglie di rinunciare a tutto ed è consapevole che la Chiesa, oggi, non è neppure capace di proteggersi da sé stessa.

Le considerazioni sarebbero ancora molte e ne parleremo ancora nei prossimi giorni. Abbiamo scelto di pubblicare il testo, il quale è chiaramente riservato, perché tutti i chierici possano leggerlo. Non si può pensare di approvare un testo del genere con queste carenze gravi e con questa impostazione fortemente pregiudizievole. La Chiesa ha bisogno di ministri che lavorino e tendano verso la santità, non ha bisogno di supereroi o soggetti fatti ad immagine e somiglianza dei loro formatori. Somiglianti a Cristo non al proprio Rettore.

Purtroppo sono evidenti, all’interno di questo testo, anche le derive che arrivano dal Sinodo sulla Sinodalità. Non si può continuare secondo questa linea che vuole, a tutti i costi, annientare il sacerdozio ministeriale.

Invitiamo i vescovi a sfogliare queste 100 pagine che hanno ricevuto prima di mercoledì 15 novembre e a ripensare seriamente quanto è stato scritto. Ciò che distingue l’episcopato odierno da quello degli anni passati è proprio la capacità di essere fecondi. I vescovi di una volta (alcuni ancor oggi, per fortuna) avevano a cuore la continuità e si dolevano nel lasciare il seminario vuoto quando erano chiamati a dare le dimissioni. Erano capaci di coltivare e accompagnare le vocazioni che gli si presentavano ed erano consapevoli che se avessero lasciato una diocesi senza aver ordinato neppure un sacerdote, quel loro episcopato era un fallimento.

Piuttosto che indossare croci di legno, quindi, sarebbe forse il caso di cambiare rotta e iniziare a preoccuparsi dei problemi reali della Chiesa odierna.

d.L.M e F.P.

Silere non possum