Nella campagna elettorale del 2022, l’attuale governo aveva fatto della “questione migranti” uno dei propri cavalli di battaglia. L’opinione pubblica si sarebbe dovuta aspettare soluzioni strutturali, visione politica, capacità di gestione. E invece, a distanza di due anni, ci troviamo davanti allo stesso scenario, se non addirittura peggiorato: Prefetti che scrivono ai vescovi e alle diocesi per chiedere immobili da destinare all’accoglienza dei richiedenti asilo, appellandosi agli accordi che il Ministero dell’Interno ha sottoscritto con la Conferenza Episcopale Italiana.
La formula utilizzata parla di “condizioni di criticità del sistema di accoglienza dei migranti in questa provincia, connotato dalla particolare difficoltà nel reperimento e nella messa a disposizione di immobili”. In altre parole: lo Stato non è in grado di garantire spazi adeguati e chiede alla Chiesa di supplire alle proprie mancanze. Persino “a titolo oneroso” – come se bastasse un rimborso, mai chiarito nei dettagli, per sanare una carenza strutturale che non può e non deve ricadere sulla responsabilità ecclesiale.
Alcune contraddizioni evidenti
Un compito che non spetta alla Chiesa. La Chiesa cattolica non ha come fine primario l’accoglienza dei migranti, bensì l’annuncio del Vangelo. L’aiuto caritativo è un’espressione concreta di questo annuncio, ma rimane straordinario e non sostitutivo. Se lo Stato abdica al suo dovere, non può pensare che le parrocchie, già oberate e spesso prive di risorse, si trasformino in centri di accoglienza permanente.
Il governo Meloni e l’otto per mille. Lo stesso governo che, con rapide modifiche legislative, interviene sulla questione dell’otto per mille senza reali processi di confronto, oggi pretende che la Chiesa metta a disposizione immobili. Come potrebbero le diocesi far fronte alle spese inevitabili – dal sostentamento del clero alle attività pastorali e parrocchiali, dalla manutenzione degli edifici alle opere di carità – senza il supporto concreto garantito dall’otto per mille? Parlare oggi di “titolo oneroso”, chiedendo alla Chiesa Cattolica di mettere a disposizione le proprie strutture, suona come una beffa. Perché dovrebbe farlo gratuitamente? E soprattutto: con quali risorse? La Chiesa non dispone del PNRR né di altri fondi europei; l’unica fonte stabile resta l’otto per mille, lo stesso strumento che il Governo Meloni, nei mesi scorsi, ha messo in discussione, tentando di far confluire nelle somme statali quelle della Chiesa Cattolica.
Il paradosso delle inchieste. Lo Stato, con i suoi magistrati, non di rado alimenta inchieste che rimbalzano sui giornali insinuando l’uso scorretto dei fondi dell’otto per mille da parte delle diocesi. Inchieste che, nella maggior parte dei casi, si chiudono con assoluzioni inevitabili perché quei fondi vengono rendicontati secondo la legge. Eppure, dopo aver alimentato sospetti, ora lo Stato chiede agli stessi soggetti ecclesiali immobili e collaborazione. Una contraddizione evidente, che rasenta l’ipocrisia.
La responsabilità che non può essere delegata
Il cuore della questione è chiaro: l’accoglienza dei migranti è compito dello Stato. Non della Chiesa, non delle diocesi, non delle parrocchie. È lo Stato che deve garantire strutture, fondi, percorsi di integrazione, personale specializzato. La Chiesa può – e troppo spesso lo fa – offrire aiuto straordinario: mense, volontariato, spazi emergenziali. Ma trasformare l’eccezione in regola significa travisare la natura stessa della missione ecclesiale e, soprattutto, scaricare una responsabilità politica su chi non la detiene.
L’annuncio del Vangelo non si riduce a fare ciò che lo Stato non riesce a fare. La carità cristiana non è un ammortizzatore sociale da usare quando le istituzioni sono inadeguate. È semmai un supplemento di amore gratuito, che non può sostituire la giustizia e il diritto. E qui sta il punto: la giustizia è compito dello Stato. Quando le istituzioni chiedono alla Chiesa di supplire, confessano implicitamente di non riuscire a governare. E questo, più che un atto di collaborazione, è una resa.
d.G.M.
Silere non possum