Venerdì 8 febbraio 2024 il Santo Padre Francesco ha ricevuto i partecipanti al Corso sul Foro Interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica. Si tratta di un appuntamento che si ripete da 34 anni ed ha visto riuniti nel Palazzo della Cancelleria numerosi chierici dal 4 all'8 marzo 2024. Sul sito della Penitenzieria Apostolica è possibile consultare alcuni interventi.
Il Papa si è soffermato a riflettere sull'Atto di dolore ed ha offerto una splendida analisi sui tre atteggiamenti espressi in questa preghiera: pentimento davanti a Dio, fiducia in Lui e proposito di non ricadere.
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!
Sono lieto di incontrarvi in occasione dell’annuale Corso sul Foro Interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. Rivolgo un saluto cordiale al Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, al Reggente, Mons. Nykiel, ai Prelati, agli Officiali e al Personale della Penitenzieria, ai Collegi dei Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali in Urbe, e a tutti voi partecipanti al corso.
Nel contesto della Quaresima e, in particolare, dell’Anno della preghiera in preparazione al Giubileo, vorrei proporvi di riflettere assieme su un’orazione semplice e ricca, che appartiene al patrimonio del santo Popolo fedele di Dio e che recitiamo durante il rito della Riconciliazione: l’Atto di dolore. Nonostante il linguaggio un po’ antico, che potrebbe anche essere frainteso in alcune sue espressioni, questa preghiera conserva tutta la sua validità, sia pastorale che teologica. Del resto ne è autore il grande Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, maestro della teologia morale, pastore vicino alla gente e uomo di grande equilibrio, lontano sia dal rigorismo sia dal lassismo. Mi soffermerò su tre atteggiamenti espressi nell’Atto di dolore e che penso possano aiutarci a meditare sul nostro rapporto con la misericordia di Dio: pentimento davanti a Dio, fiducia in Lui e proposito di non ricadere. Primo: il pentimento. Esso non è il frutto di un’autoanalisi né di un senso psichico di colpa, ma sgorga tutto dalla consapevolezza della nostra miseria di fronte all’amore infinito di Dio, alla sua misericordia senza limiti. È questa esperienza infatti a muovere il nostro animo a chiedergli perdono, fiduciosi nella sua paternità, come recita la preghiera: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo, con tutto il cuore, dei miei peccati», e più avanti aggiunge: «perché ho offeso Te, infinitamente buono». In realtà, nella persona, il senso del peccato è proporzionale proprio alla percezione dell’infinito amore di Dio: più sentiamo la sua tenerezza, più desideriamo di essere in piena comunione con Lui e più ci si mostra evidente la bruttezza del male nella nostra vita. Ed è proprio questa consapevolezza, descritta come “pentimento” e “dolore”, che ci spinge a riflettere su noi stessi e sui nostri atti e a convertirci. Ricordiamoci che Dio non si stanca mai di perdonarci, e da parte nostra non stanchiamoci mai di chiedergli perdono!
Secondo atteggiamento: la fiducia. Nell’Atto di dolore Dio è descritto come «infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa». È bello sentire, sulle labbra di un penitente, il riconoscimento dell’infinita bontà di Dio e del primato, nella propria vita, dell’amore per Lui. Amare «sopra ogni cosa», significa infatti mettere Dio al centro di tutto, come luce nel cammino e fondamento di ogni ordine di valori, affidandogli ogni cosa. Ed è un primato, questo, che anima ogni altro amore: per gli uomini e per il creato, perché chi ama Dio ama il fratello (cfr 1 Gv 4,19-21) e cerca il suo bene, sempre, nella giustizia e nella pace. Terzo aspetto: il proposito. Esso esprime la volontà del penitente di non ricadere più nel peccato commesso (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1451), e permette l’importante passaggio dall’attrizione alla contrizione, dal dolore imperfetto a quello perfetto (cfr ivi, 1452-1453). Noi manifestiamo questo atteggiamento dicendo: «Propongo, con il tuo santo aiuto, di non offenderti mai più». Queste parole esprimono un proposito, non una promessa. Infatti, nessuno di noi può promettere a Dio di non peccare più, e ciò che è richiesto per ricevere il perdono non è una garanzia di impeccabilità, ma un proposito attuale, fatto con retta intenzione nel momento della confessione. Inoltre, è un impegno che assumiamo sempre con umiltà, come sottolineano le parole «con il tuo santo aiuto». San Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, usava ripetere che «Dio ci perdona anche se sa che peccheremo di nuovo». E del resto, senza la sua grazia, nessuna conversione sarebbe possibile, contro ogni tentazione di pelagianesimo vecchio o nuovo. Vorrei infine richiamare alla vostra attenzione la bellissima conclusione della preghiera: «Signore, misericordia, perdonami». Qui i termini “Signore” e “misericordia” appaiono come sinonimi, e questo è decisivo! Dio è misericordia (cfr 1 Gv 4,8), la misericordia è il suo nome, il suo volto. Ci fa bene ricordarlo, sempre: in ogni atto di misericordia, in ogni atto d’amore, traspare il volto di Dio. Carissimi, il compito che vi è affidato nel confessionale è bello e cruciale, perché vi permette di aiutare tanti fratelli e sorelle a sperimentare la dolcezza dell’amore di Dio. Vi incoraggio, pertanto, a vivere ogni confessione come un unico e irripetibile momento di grazia, e a donare generosamente il perdono del Signore, con affabilità, paternità e oserei dire anche con tenerezza materna. Vi invito a pregare e a impegnarvi perché quest’anno di preparazione al Giubileo possa veder fiorire la misericordia del Padre in molti cuori e in molti luoghi, e così Dio sia sempre più amato, riconosciuto e lodato. Vi ringrazio per l’apostolato che svolgete – o che ad alcuni di voi presto verrà affidato –. La Madonna, Madre della misericordia, vi accompagni. Anch’io vi porto nella mia preghiera e vi benedico di cuore. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.