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Città del Vaticano - Martedì 27 maggio 2025, la facciata del Palazzo Apostolico, uno dei luoghi più simbolici della cristianità, è stata teatro di un’inquietante provocazione: un video proiettato illegalmente dall’organizzazione animalista PETA, nel quale si attacca Papa Leone XIV, esortandolo a prendere posizione contro la corrida. Ma oltre al messaggio — il cui bersaglio appare del tutto fuori contesto — ciò che preoccupa davvero è il metodo, l’audacia, e soprattutto la facilità con cui questo gesto è stato compiuto.
Il Palazzo Apostolico non è solo un edificio simbolico; è il cuore della vita della Chiesa Cattolica e, presto, diventerà la dimora di Papa Leone XIV. Che qualcuno sia riuscito a proiettare un video su quella facciata, senza che nessuno intervenisse in tempo reale, rappresenta un segnale gravissimo: un buco nella sicurezza, una falla strutturale che si somma a una serie di episodi analoghi verificatisi negli ultimi anni.
Non è la prima volta che attivisti scelgono il Vaticano come palcoscenico per le loro dimostrazioni. Abbiamo assistito a incursioni nei Musei Vaticani, a performance durante le udienze generali, a irruzioni simboliche nel presepe in Piazza San Pietro. Sempre con un obiettivo comune: sfruttare la visibilità globale di questo spazio per ottenere un attimo di eco mediatica.
Tuttavia, se il messaggio cambia — dalla lotta per i diritti animali a quello per l’ambiente o i diritti civili — il metodo resta sempre lo stesso: forzare la scena. E ogni volta, la domanda si ripropone: come è stato possibile?

La risposta più inquietante è che qualcuno continua a restare al suo posto, nonostante queste gravi lacune. Le criticità nella sicurezza dello Stato della Città del Vaticano vengono denunciate da anni da Silere non possum. L'episodio del 2023, quando un uomo alla guida di un’auto riuscì ad attraversare i posti di blocco e a raggiungere il cortile di San Damaso, non ha fatto scattare alcun campanello d’allarme nella macchina organizzativa vaticana. Né lo hanno fatto le decine di incursioni dimostrative che si sono succedute, quasi sempre documentate e condivise in tempo reale sui social media.
La Gendarmeria Vaticana, composta da personale spesso poco qualificato, sembra più impegnata a contenere la routine che a prevenire minacce concrete. Il vero problema è sistemico: si è accettato che certi episodi siano inevitabili, come se l’inviolabilità del Vaticano fosse un concetto ormai superato. Ma se oggi si è trattato di una proiezione, cosa impedisce che domani qualcuno possa sparare? Inoltre, la Polizia di Stato, alla quale compete la sicurezza della piazza e realtà limitrofe? Erano tutti in ferie?
L’interrogativo è legittimo e urgente: se invece di un video ci fosse stato un attentatore? La vulnerabilità del Papa, delle istituzioni religiose e persino dei fedeli in Piazza San Pietro non può essere ignorata con leggerezza. La sicurezza, qui, non è solo una questione tecnica: è una responsabilità morale verso milioni di credenti nel mondo.
Questo episodio deve essere un punto di non ritorno. Le autorità, italiane e vaticane, sono chiamate a una riflessione profonda e, soprattutto, ad agire. Rafforzare la sicurezza, professionalizzare la gendarmeria, aggiornare i protocolli di emergenza: non sono più scelte facoltative, ma doveri impellenti. Perché la vera domanda non è più come abbiano fatto, ma quando accadrà di nuovo — e se la prossima volta, sarà troppo tardi.
d.P.S.
Silere non possum