C’è un’ombra che aleggia da anni sulla cupola di San Pietro, e non è quella proiettata dalla "nuova illuminazione" annunciata. È l’ombra del potere esercitato in maniera dispotica, intimidatoria e — per molti aspetti — illegalmente. Protagonista di questa inquietante parabola è il cardinale Mauro Gambetti, il frate francescano che è alla guida della Fabbrica di San Pietro ma da tempo sembra aver dimenticato tanto la Regola di San Francesco quanto l’umiltà evangelica e la misericordia predicata da Papa Francesco.

Dietro l’immagine del “fraticello sorridente” si cela un uomo che usa la sua posizione per perseguitare, punire, licenziare, denunciare e — come dimostrano diversi episodi — cercare persino l’arresto di chi considera “nemico” o “non allineato”. Il Vaticano, da tempo sotto la lente della comunità internazionale per una giustizia opaca e autoreferenziale, oggi si trova al centro di una nuova bufera: quella del “regno” di Gambetti.

Un trenino da Assisi

A partire dal 20 febbraio 2021, con la nomina del cardinale Mauro Gambetti, si è avviata una vera e propria rivoluzione all’interno della Basilica di San Pietro. Una trasformazione che, più che ispirarsi al Vangelo o alla Regola francescana, si è nutrita di clientelismo e di quel familismo amorale che tanto ha danneggiato le istituzioni italiane e che ora sembra infiltrarsi anche nel cuore della cristianità.

Al seguito di Gambetti, infatti, sono approdati in Vaticano amici di lunga data e fedelissimi provenienti da Assisi, molti dei quali hanno ottenuto incarichi ben retribuiti nella Fabbrica di San Pietro. Tra questi spiccano Paola Bossari e Roberto Bertozzi, una coppia legata da vincoli personali e professionali al cardinale sin dai tempi della Basilica Papale di San Francesco, dove entrambi erano al suo servizio. Ora si ritrovano insieme anche qui, nella stessa istituzione, in posizioni che sollevano più di un conflitto di interesse. E mentre negli ultimi mesi si discute, tra corridoi e tribunali, del licenziamento dei due - ormai convolati a nozze – dipendenti dello IOR, nessuno sembra voler affrontare apertamente il tema più scottante: l’enorme conflitto d’interessi in cui operano Bossari e Bertozzi. Nessuno, inoltre, si è chiesto come mai queste assunzioni? E chi dovrebbe vigilare, tace.

Silere non possum ha documentato fin dal primo giorno ogni abuso, ricevendo riscontri puntuali da cardinali, vescovi, sacerdoti e pellegrini, i quali — una volta giunti in Basilica — restano sconcertati di fronte alla gestione attuale. Le Sante Messe vietate, i percorsi turistici fallimentari che Gambetti insiste nel voler far pagare, il caos organizzativo, l’aumento di episodi vandalici causati dalla cronica carenza di personale: tutto contribuisce a dipingere un quadro desolante e preoccupante di una delle chiese più importanti della cristianità.

Macchina da soldi, niente spiritualità

La gestione della Basilica di San Pietro risponde a una logica ben precisa: massimizzare entrate economiche, curare l’immagine pubblica del “frate-manager” e sacrificare senza scrupoli sia la dimensione spirituale sia la cura concreta del patrimonio artistico e architettonico della Chiesa più importante della cristianità.

Lo denuncia da tempo Silere non possum: la polvere che si accumula visibilmente su pavimenti e statue, lo sporco ignorato per settimane, le infiltrazioni d’acqua che colano dal tetto e danneggiano superfici pregiate, le porte della Basilica lasciate aperte — con effetti deleteri sugli interni e sugli equilibri ambientali — sono solo alcuni dei segnali di un degrado che avanza nell’indifferenza di Santa Marta. Mentre il personale addetto alla Basilica è stato ridotto al minimo, negli uffici della Fabbrica - spesso popolati da ragazzini senza esperienza liturgica o tecnica, anche se giocano a scrivere articoletti pieni di errori sul diritto canonico - si assiste a un inspiegabile aumento degli impiegati.

In parallelo, Gambetti ha trasformato il sacro in business. Con il pretesto della Fraternità Umana, eventi della Fondazione Fratelli Tutti hanno reso la Basilica teatro di iniziative più simili a locali notturni che a spazi di preghiera: luci scenografiche, bancali di legno come divanetti, buffet, performance musicali. Sulla cupola si organizzano aperitivi a pagamento; nei Musei Vaticani si tengono cene esclusive; e perfino nella Fabbrica si è arrivati a stipulare accordi con istituti penitenziari per far entrare detenuti con finalità propagandistiche, in nome di un falso “umanesimo operativo”. Tutto questo ha un nome ben preciso: whitewashing, e Mauro Gambetti lo conosce bene. Ogni gesto, ogni intervento — anche quando si tratta di normali operazioni di manutenzione, che i suoi predecessori portavano avanti con sobrietà e regolarità — viene trasformato in evento mediatico. Si chiama la stampa compiacente e pagata con favori, si gonfia l’importanza dell’iniziativa e si vende all’opinione pubblica l’idea di un’impresa straordinaria, senza precedenti. Un copione studiato nei minimi dettagli per ottenere visibilità e raccogliere soldi, a scapito della spiritualità e del decoro. Quando, però, vengono fatti arrestare, perquisire e licenziare i dipendenti, lì le giornaliste si fermano al terzo piano della Fabbrica, dove ricevono il “cioccolatino benedetto”.

Emblematico, in tal senso, quanto accade nella conferenza stampa odierna: per far scena, sono stati coinvolti i Vigili del Fuoco della Repubblica Italiana, oscurando deliberatamente il Corpo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano — che è l’unico realmente competente per la Basilica. Un gesto eloquente, che rivela l’abitudine a calpestare norme, gerarchie e competenze pur di garantire visibilità a sé stesso e favori agli amici. La gestione Gambetti, insomma, ha piegato San Pietro alla logica del clientelismo, della propaganda e dell’interesse personale. Mentre i fedeli entrano in una Basilica sempre più trascurata, chi la governa è impegnato a vendere l’apparenza di un rinnovamento che, in realtà, ha il volto cupo della decadenza.

Il caso Vox Mundi

L’arrivo di Mauro Gambetti in Vaticano è stato fin da subito segnato da un atteggiamento ostile e polemico nei confronti del suo predecessore, il cardinale Angelo Comastri. Un’ostilità che affondava le radici non solo in divergenze di visione, ma anche nel contesto in cui Gambetti è stato scelto: è stato infatti Papa Francesco in persona a volerlo, e lo stesso Pontefice non ha mai nascosto una certa insofferenza verso Comastri, nonostante quest’ultimo abbia sempre custodito la Basilica Vaticana come luogo di raccoglimento e preghiera, nel pieno rispetto del suo significato spirituale. A fomentare i pregiudizi del Papa fu il canonico Fortunato Frezza, il quale al momento sta tentando in tutti i modi di mettere mano sui possedimenti delle Oblate di Santa Francesca Romana di Tor de Specchi. Come è avvenuto in numerose realtà vaticane dal 2013, Frezza ha fatto il belloccio con il Papa colpendo i confratelli canonici e così si è guadagnato la porpora. Stesso sistema è stato utilizzato da Arrigo Miglio a San Paolo fuori le mura. 

Ma viene spontaneo chiedersi: perché nel 2019 non si registravano tutti gli abusi e le azioni illegali che oggi fanno tremare le fondamenta della Fabbrica di San Pietro? Con l’insediamento di Gambetti, lo stile è cambiato radicalmente: dal dialogo alla guerra, da una gestione discreta a un uso spregiudicato del potere. L’ex frate ha iniziato a muovere ostilità verso chiunque non si allineasse alla sua visione personalistica della Fabbrica, compresa la società di comunicazione Vox Mundi, la stessa che già aveva contrastato ad Assisi durante il suo mandato presso la Basilica di San Francesco. Quando la notizia della nomina di Gambetti ad arciprete è trapelata, tra i manager di Vox Mundi non erano mancati dubbi e preoccupazioni. Tuttavia, qualcuno aveva provato a rassicurarli con frasi come: “Davanti ai contratti e alla legge, non potrà fare quello che vuole”. Eppure, è esattamente ciò che è accaduto. La vicenda ha preso una piega inquietante quando Gambetti, anziché collaborare con trasparenza, ha scelto la via intimidatoria: una denuncia presentata alla Gendarmeria Vaticana contro la società, come documentato da Silere non possum.

Questa mossa ha innescato un’azione sconcertante dei gendarmi, che sono arrivati a entrare — senza alcuna autorizzazione — nelle sedi italiane della società e persino nell’abitazione privata di uno dei responsabili. Un atto che costituisce una gravissima violazione della sovranità italiana, oltre che un abuso da parte di chi dovrebbe tutelare la legalità. Nel silenzio colpevole di molti media — spesso “addomesticati” con favori e trattamenti privilegiati — si è consumata un’azione intimidatoria che non ha nulla a che vedere con il Vangelo né con il diritto. Il tutto mosso da un frate francescano che ha fatto voto di povertà. 

Il caso Pergolizzi: una trappola nella Città del Vaticano

Un altro capitolo inquietante di questa gestione autoritaria riguarda Alfio Pergolizzi, come denunciato nel reportage di Silere non possum sul suo arresto illegittimo. L’ex dipendente era stato attirato all’interno dello Stato della Città del Vaticano con un pretesto e poi fatto arrestare in base a una denuncia costruita ad arte da Mauro Gambetti. Un vero e proprio agguato, degno degli Stati totalitari come la Corea del Nord. Nessuna prova concreta, nessuna procedura rispettata: solo l’obiettivo di rientrare in possesso di un bene prezioso che al frate francescano faceva gola perché “i finanziatori non sono per sempre”, ha commentato un canonico della Basilica di San Pietro.

Il braccio armato, quindi, si è mosso anche in quella occasione tenendo in cella, senza informare nessuno, un cittadino italiano per giorni. Minacce, urla e illazioni sono state proferite anche da Alessandro Diddi ai danni di queste persone e dei loro legali. 

Gendarmeria oltre confine: i limiti ignorati della legge

Il modus operandi della Gendarmeria Vaticana è ormai ben noto e sempre più inquietante. Il caso dell’intercettazione illegale del cardinale Angelo Becciu durante una cena in un ristorante romano – l’ormai tristemente celebre caso Sloane Avenue – ha messo in luce in modo inequivocabile la violazione sistematica dei confini giuridici tra lo Stato della Città del Vaticano e la Repubblica Italiana.

Un corpo armato che, negli ultimi anni, ha mostrato un’inquietante tendenza all’abuso di potere, agendo con arroganza e senza alcun rispetto per le norme basilari del diritto. Con Domenico Giani è iniziato un declino imbarazzante, tipico di quelle persone che devono ostentare stelline e benemerenze perché non hanno altro. “Il Vaticano è un grande fratello per questi”, commenta in modo sprezzante un porporato sottolineando che le telecamere sono dappertutto e questi personaggi le guardano con fare famelico tipico di chi vuol sapere tutto di tutti. “Non hanno più rispetto neanche di noi”, spiega.

Questi episodi non sono isolati, ma il frutto di una degenerazione strutturale. Gli uomini della Gendarmeria, spesso con un livello di scolarizzazione minimo, non padroneggiano neppure correttamente la lingua italiana, utilizzano un linguaggio grezzo e gergale, e si comportano come a voler replicare personaggi delle fiction televisive: CarabinieriDistretto di Polizia, Il commissario Montalbano, e per i più ambiziosi, NCIS. Questo stesso stile lo ritroviamo anche durante gli interrogatori, dove gli indagati o imputati vengono trattati con modi rozzi e intimidatori. Non parliamo di quei ragazzi giovani che svolgono silenziosamente il loro dovere ma di coloro che hanno pensato bene di far carriera facendo gli autisti del Papa o quelli ingaggiati nella nuova "polizia giudiziaria" dal Principe del Foro Vaticano.

Gli avvocati difensori, in particolare, lamentano da tempo il tono sprezzante e arrogante adottato sia dalla Gendarmeria sia dal promotore di giustizia, Alessandro Diddi. E parliamo di avvocati rotali, professionisti che hanno superato un complesso percorso accademico e che possiedono titoli in diritto canonico, incluso l’esame finale in lingua latina. Diddi, al contrario, non risulta avere una formazione comparabile e il latino per lui è arabo. Eppure, è lui a trattare con sufficienza chiunque osi contestare il suo operato. Ma l’arroganza non si limita a questo.

L’avvocato italiano, principe del Foro VaticanoAlessandro Diddi non esita a lanciare intimidazioni anche ai giornalisti, riferendosi a Silere non possum con frasi del tipo: “Perché non vengono qui a dirle in faccia, queste cose?” Un tono da bullo da quartiere di Tor Bella Monaca, più che da “giurista affermato”, degno delle peggiori periferie dell’Urbe, non certo di un alto funzionario della giustizia vaticana. Invece di replicare con i fatti, Diddi evita ogni confronto serio, eludendo domande sul proprio curriculum e, soprattutto, non chiarendo come mai non possiede una licenza o un dottorato in diritto canonico, un diploma in diritto vaticano. Perché non mostra i titoli che lo qualificherebbero a dirigere un ufficio tanto delicato? Perché non spiega come mai la Gendarmeria Vaticana compie azioni illegali sul suolo italiano in esecuzione dei suoi ordini? La realtà è inquietante: ci troviamo di fronte a un personaggio che dimostra gravi lacune non solo in diritto canonico, ma persino nelle nozioni fondamentali di procedura penale. Gli atti destinati ai difensori vengono spesso notificati direttamente agli indagati, in palese violazione delle norme basilari di giustizia.

È un sistema che, più che giudicare, umilia, che ignora ogni garanzia processuale, e si regge su pratiche arbitrarie. Non serve più enumerare i singoli episodi, perché i casi si moltiplicano, tutti con la stessa trama: procedimenti lampo che si concludono in poche settimane quando conviene, mentre altri restano aperti per mesi o anni, anche in assenza di prove, solo per mantenere i sospettati in uno stato di ricatto psicologico permanente. In attesa di un processo che non arriva, vengono sospesi dal lavoro, privati del salario e con intere famiglie lasciate senza mezzi di sussistenza. E mentre tutto questo accade, il Papa proclama la dignità del lavoro e l’importanza di fare figli. Parole che suonano come una beffa, quando si confrontano con la realtà che il suo sistema giudiziario produce ogni giorno.

Gambetti manager altro che frate francescano

Eppure, nulla sembra fermare l’ingranaggio del potere che ha nella figura di Gambetti uno dei suoi ingranaggi più feroci all’interno della piccola Città Stato. In un sistema in cui gli equilibri interni si reggono su favori, protezioni e fedeltà personali, persino chi viene estromesso da centri di potere, come la Segreteria di Stato, finisce per trovare rifugio nella Fabbrica di San Pietro, oggi divenuta una sorta di “terra promessa” per i silurati e i pregiudicati.

Un esempio emblematico è quello di Orazio Pepe: rimosso da Pietro Parolin dalla Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, ha vagato tra vari Dicasteri fino ad approdare – guarda caso – proprio nella Fabbrica di San Pietro, dove oggi è noto più per le sue gaffe e la sua arroganza piuttosto che per ciò che realmente dovrebbe fare. Urla negli uffici, infastidisce i ragazzi, si comporta in maniera isterica. La sua figura è ormai un caso da manuale: si aggira attorno alle sacre mura con un cappello grottesco in testa, acquista casule e paramenti sacri che paga – quando lo fa – dopo mesi, e è spesso accompagnato da individui la cui presenza desta più interrogativi che certezze.
Altra “amica di Parolin” è Marinella Enoc, la quale ora è finita nel Comitato di Amministrazione della Basilica Papale di San Pietro.

To be continued...


F.S., d.L.V. e d. V. P.
Silere non possum