Città del Vaticano – Nell’udienza generale di questo mercoledì, tenutasi come di consueto in Piazza San Pietro, Papa Leone XIV ha dedicato la sua catechesi a un tema tanto semplice quanto radicale: l’umiltà della Risurrezione. Non quella spettacolare, trionfale, fatta di luci e di segni straordinari, ma quella che si rivela nel quotidiano, nel gesto minimo, nella prossimità silenziosa.

«Il Signore risorto – ha detto il Pontefice – non fa nulla di spettacolare per imporsi alla fede dei suoi discepoli». Non si presenta tra schiere di angeli, non pronuncia discorsi solenni. Al contrario, si mostra come “un viandante qualsiasi, un uomo affamato che chiede di condividere un po’ di pane”. Eppure, proprio in questa discrezione si svela la forza della fede cristiana: la Risurrezione non è un colpo di scena teatrale, ma «una trasformazione silenziosa che riempie di senso ogni gesto umano».

Il Papa ha ricordato le figure evangeliche che, davanti al Risorto, non lo riconoscono subito: Maria di Magdala che lo scambia per un giardiniere, i discepoli di Emmaus che lo credono uno straniero, Pietro e i pescatori che lo prendono per un passante. «Noi – ha commentato – ci saremmo aspettati effetti speciali, prove schiaccianti, ma il Signore non cerca questo: preferisce il linguaggio della prossimità».

La gioia che non nega le ferite

Il Pontefice ha poi posto l’accento su un equivoco spirituale diffuso: «Spesso pensiamo che la gioia debba essere priva di ferite. Ma Gesù ci insegna che il dolore non è la smentita della promessa: è la via attraverso cui Dio manifesta l’amore». Come i discepoli di Emmaus, anche noi siamo tentati di rimanere prigionieri della delusione, incapaci di riconoscere la speranza che arde sotto la cenere del disincanto. Ma il Signore, ha spiegato Leone XIV, «cammina accanto a noi, anche quando non lo vediamo, anche quando il nostro cuore è stanco».

La catechesi è stata un invito a riscoprire la presenza discreta del Risorto nei gesti più comuni della vita: mangiare, lavorare, curare la casa, sostenere un amico. Tutto può diventare grazia, “perché la Risurrezione non sottrae la vita al tempo e alla fatica, ma ne cambia il senso e il sapore”.

Nessuna notte è eterna

Con parole di grande tenerezza, il Papa ha ricordato che nessuna caduta è definitiva, nessuna ferita destinata a rimanere aperta: «Per quanto possiamo sentirci lontani, smarriti o indegni, non c’è distanza che possa spegnere l’amore di Dio». Il Risorto – ha proseguito – non si impone “con clamore”, ma attende che «i nostri occhi si aprano» per riconoscerlo accanto a noi, nel cammino quotidiano. Infine, il Santo Padre ha invitato i fedeli a chiedere «la grazia di riconoscere la sua presenza umile e discreta» e a non cercare una vita senza prove, ma piena di significato: «Una gioia semplice, che non cancella le ferite ma le illumina».

I saluti finali

Nel consueto saluto ai pellegrini italiani, Leone XIV ha rivolto un pensiero particolare ai religiosi e alle religiose riuniti per il Giubileo della Vita Consacrata, ringraziandoli per il loro servizio al Vangelo e invitandoli ad essere “segni eloquenti dell’amore di Dio e strumenti di pace”. I numeri dei partecipanti a questo evento sono veramente esigui e questo dimostra ancora una volta l’inefficienza di chi era chiamato ad organizzare questo momento dedicato ai religiosi.  Ha poi salutato i fedeli di Bologna, Bergamo, Casale Monferrato e Cagliari, con l’arcivescovo Giuseppe Baturi, e diverse comunità parrocchiali e gruppi di studenti. Concludendo, il Papa ha affidato a Maria, Regina del Santo Rosario, l’intercessione per i giovani, i malati e gli sposi novelli: «Guardate a Lei – ha detto – e siate pronti a corrispondere al disegno d’amore che Dio ha per ciascuno di voi. A tutti la mia benedizione».

F.T.
Silere non possum