Abbot Luca Fallica will be ordained a priest on 08 March 2023.

Mercoledì 08 marzo 2023, nella Basilica di Sant'Ambrogio a Milano alle ore 17.30, S.E.R. Mons. Mario Delpini ordinerà presbitero il Reverendo diacono Antonio Luca Fallica, O.S.B. 

Luca Fallica è stato nominato, il 09 gennaio 2023 da Sua Santità Francesco, 193° Abate di Montecassino. Come noto, Fallica è un religioso che proviene dalla Comunità Monastica della SS.ma Trinità di Dumenza. A seguito della Sacra Ordinazione Presbiterale, il nuovo Abate potrà essere nominato anche Ordinario dell'Abbazia Territoriale. La benedizione abbaziale, che avrà luogo a Montecassino, avverrà dopo Pasqua. 

Il nuovo Abate di Montecassino

Il Reverendo diacono Luca Fallica è nato il 27 luglio 1959 a Ripatransone, nella Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto.

Dopo gli studi in Giurisprudenza, nel 1985 è entrato nel Monastero di Praglia, dove ha iniziato la formazione teologica, ultimata poi presso la sede di Milano della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale.

Nel 1989, insieme ad altri fratelli, ha dato inizio alla comunità monastica della SS.ma Trinità, insediata attualmente a Dumenza, nell'Arcidiocesi di Milano. In questa comunità ha emesso la sua Professione Monastica Solenne il 5 gennaio 1996. Dopo aver svolto l'incarico di cellerario, è stato eletto Priore della comunità il 29 ottobre 2010 ed ha svolto questo servizio fino al 2 dicembre 2022. Il 09 gennaio 2023, il Santo Padre Francesco lo ha nominato Abate di Montecassino. Il 14 febbraio 2023 è stato ordinato diacono da S.E.R. Mons. Franco Agnesi, vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Milano e Vicario Generale.

L'abate nella Regola di Benedetto

San Benedetto, nella sua Regola, al Capitolo II scrive: "Un abate degno di stare a capo di un monastero deve sempre avere presenti le esigenze implicite nel suo nome, mantenendo le proprie azioni al livello di superiorità che esso comporta. Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!"

Perciò l'abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità. Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto dell'obbedienza dei discepoli e sappia che il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge.

D'altra parte, è anche vero che, se il pastore avrà usato ogni diligenza nei confronti di un gregge irrequieto e indocile, cercando in tutti i modi di correggerne la cattiva condotta, verrà assolto nel divino giudizio e potrà ripetere con il profeta al Signore: "Non ho tenuto la tua giustizia nascosta in fondo al cuore, ma ho proclamato la tua verità e la tua salvezza; essi tuttavia mi hanno disprezzato, ribellandosi contro di me". E allora la giusta punizione delle pecore ribelli sarà la morte, che avrà finalmente ragione della loro ostinazione. Dunque, quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani.

Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri e di non sentirsi dire dal Signore per i suoi peccati: "Come ti arroghi di esporre i miei precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la disciplina e ti getti le mie parole dietro le spalle?" e ancora: "Tu che vedevi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo". Si guardi dal fare preferenze nelle comunità: non ami l'uno piò dell'altro, a eccezione di quello che avrà trovato migliore nella condotta e nell'obbedienza: non anteponga un monaco proveniente da un ceto elevato a uno di umili origini, a meno che non ci sia un motivo ragionevole per stabilire una tale precedenza. Ma se, per ragioni di giustizia, riterrà di dover agire così lo faccia per chiunque; altrimenti ciascuno conservi il proprio posto, perché, sia il servo che il libero, tutti siamo una cosa sola in Cristo e, militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti, "dinanzi a Dio non ci sono parzialità" e una cosa sola ci distingue presso di lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle opere buone.

Quindi l'abate ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di condotta basata sui rispettivi meriti. Per quanto riguarda poi la direzione dei monaci, bisogna che tenga presente la norma dell'apostolo: "Correggi, esorta, rimprovera" e precisamente, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia dimostrare la severità del maestro insieme con la tenerezza del padre. In altre parole, mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, deve esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a progredire sempre più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente e punisca i negligenti e coloro che disprezzano la disciplina. Non deve chiudere gli occhi sulle eventuali mancanze, ma deve stroncarle sul nascere, ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di Silo. Riprenda, ammonendoli una prima e una seconda volta, i monaci più docili e assennati, ma castighi duramente i riottosi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti, appena tentano di trasgredire, ben sapendo che sta scritto: "Lo stolto non si corregge con le parole" e anche: "Battendo tuo figlio con la verga, salverai l'anima sua dalla morte".

L'abate deve sempre ricordarsi quel che è e come viene chiamato, nella consapevolezza che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più. Bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un altro e correggendo un terzo: perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza, in modo che, invece di aver a lamentare perdite nel gregge affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per l'incremento del numero dei buoni. Soprattutto si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche, ma pensi sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto e non cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà economiche, ricordandosi che sta scritto: "Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in soprappiù" e anche: "Nulla manca a coloro che lo temono". Sappia inoltre che chi si assume l'impegno di dirigere le anime deve prepararsi a renderne conto e stia certo che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime di cui nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio, naturalmente oltre che della propria. Così nel continuo timore dell'esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni"