A monk reflects on some fundamental issues in the Church today.

Prima parte

La Chiesa è in mano a Cristo. Ma questo non le impedisce di passare periodi difficili, confusi. Qualche volte, sembra dar la mano a Barabba. Dalla piccola prospettiva che mi è dato di vivere azzardo alcune riflessioni sulla situazione ecclesiale senza alcuna pretesa. Sono un monaco, pertanto posso permettermi di pregare e pensare con una certa calma, e di ascoltare chi viene a trovarmi nel parlatorio del monastero. Molti condividono quello che sto per dire, ma ancor più numerosi sono coloro che hanno timore di parlarne. E allora, per dare voce anche a loro stendo queste note, nella pace e senza acredine verso alcuno. Accusarsi a vicenda non serve a nulla. Sappiamo bene che il discredito, calunnia, la detrazione prima ancora che essere peccati, sono frutto dell’ignoranza (teologica). Qui allora si riflette su situazioni e non sulle singole persone.

Divido questa riflessione in due sezioni che corrisponderanno a due interventi: ragion pura e ragion pratica.

Ragion pratica: leggerezze pastorali

Passiamo agli "inghippi" pratici, ossia a quelle prassi o scelte operative che prese da sole sembrano innocue, ma se declinate in un quadro d’insieme mostrano falle un po’ preoccupanti.

È imbarazzante vedere i nostri vescovi, ridotti a prefetti di un’autorità centrale. Ed è ovvio poi che se fai il prefetto allora puoi anche avere il governo di due o tre diocesi insieme, con tre cattedrali, tre presbitèri, tre curie da mandare avanti. Non solo prefetti ma anche supereroi. Come gli AD delle multinazionali. In questi anni abbiamo assistito ad una erosione costante dell’autorità e della giusta autonomia dei singoli pastori. Il depotenziamento arriva da due fronti: quello della Santa Sede, che non permette loro quasi più nulla (tranne che farsi un nome strumentalizzando i poveri o scavalcando la dottrina comune); e quello delle conferenze episcopali che stanno diventando sempre più impositive e vincolanti. Qui si confonde la comunione sacrosanta nel collegio episcopale con l’uniformità. Le conferenze episcopali non sono di diritto divino, le sue decisioni non sono obbligatorie. La conferenza episcopale non è un piccolo concilio locale o nazionale. Il vescovo non è un passacarte.

La situazione in Italia: sono anni che dalla Conferenza Episcopale Italiana non si sente più parlare di catechesi, di evangelizzazione, di vocazioni. Alcuni prelati riferiscono che quei vescovi che provano a sollevare tali questioni vengono ‘bullizzati’! Ci salveranno i nostri bravi parroci… ne sono convinto. Però anche noi presbìteri dobbiamo amare di più i nostri vescovi: sono loro che stanno tra l’incudine e il martello più di tutti gli altri…. Loro sono soli veramente e non possono neanche permettersi il lusso di andare in crisi. Ma è certo che oggi in Italia il ruolo di Don Abbondio lo recitano più i vescovi che i parroci.

"Vultis depositum fidei, secundum traditionem inde ab Apostolis in Ecclesia semper et ubique servatam, purum et integrum custodire?" Ritus Ordinationis Episcopi

A seguire tocchiamo il punto nevralgico: i vescovi non esercitano appieno il loro munus docendi.Predicano sì (e anche bene) ma insegnano poco. Trasmettere e custodire il deposito della fede è spesso l’ultima delle urgenze, mentre in realtà sarebbe il loro compito primario. Chi non ci crede si rilegga le promesse dell’ordinazione episcopale. Per quale motivo avviene ciò?

Azzardo tre ipotesi. La prima: oggi insegnare anche solo ciò che c’è nel Catechismo della Chiesa Cattolica non conviene, soprattutto se bisogna intervenire su temi etici. Troppa impopolarità da sopportare; troppi giornalisti in agguato. Allora cosa si fa? Ci si butta sulla spiritualità o sull’ambiente (ma senza dire però che il primo ambiente da amare è il corpo che abbiamo… quelli del gender si potrebbero offendere!). Quella piace a tutti: due pensierini consolanti e via.

Seconda ipotesi: forse molti vescovi non insegnano semplicemente perché non sono preparati. In parole povere: non hanno niente da dire. Gli studi teologici (e canonistici) sono miserelli. La politica di far vescovi i preti di strada a lungo andare non paga… si trasformano rapidamente in cani al guinzaglio. E non sto parlando di erudizione, ma di ‘cultura’, cioè di quella capacità di saper leggere la problematicità della storia. E ciò lo si può fare solo se si possiede un bagaglio di contenuti ampio e vario. L’ignorante dà risposte semplicistiche a problemi complessi. E fa danni: e allora fioccano amministratori diocesani e commissari apostolici.

Infine, terza ipotesi, forse – ma sono sempre meno – i vescovi non dicono nulla per paura di turbare in alto, solo perché sperano in qualche avanzamento. È meglio essere schiavi che contano, che poveri e liberi. Il popolo di Dio però non può vivere senza ‘docenza’. Ha fame di sapienza. E allora da chi la va a cercare? Dai carismatici, sovente laici, che di fatto si sono accaparrati il munus docendi dei vescovi. Con tutti i rischi del caso. In questo i pastori hanno una responsabilità enorme.

Un grave problema nella comunità cristiana lo abbiamo quando si mischiano i ruoli. Chi ha una vocazione profetica non dovrebbe fare il pastore. Chi fa il pastore dovrebbe stare molto attento prima di prendere pose da profeta. Tutti e due sono necessari: ma ognuno ha il suo ruolo e il suo posto. San Paolo lo ricorda bene ai Corinzi: ognuno stia al suo posto! Il pastore deve discernere e incanalare la profezia su binari efficaci e spendibili. Non dimentichiamo che San Francesco scelse il potentissimo cardinale Ugolino – futuro Gregorio IX – per vegliare sul carisma minoritico. Sapeva che non poteva farlo lui, carismatico, il pastore del suo gregge variegato ed entusiasta. Il profeta critichi pure la Chiesa (a patto che la ami davvero), ma il pastore smussi e custodisca la fede dei piccoli. Il profeta punge, il pastore cura; il profeta scombina, il pastore ordina; il profeta confonde, il pastore rassicura. Le polarizzazioni sono nocive quanto le sovrapposizioni. Il profeta è un fratello originale, il pastore un padre….

I laici tutto fare

Sta facendo tanto male in questi anni la favola del clero cattivo e dei laici buoni: forse chi propina tali narrazioni non ha mai fatto il parroco! Nessun prete con un minimo di esperienza sul campo direbbe simili banalità. Il clero si riforma se lo si valorizza, non se lo si bastona. Il laicato, parimenti, si eleva se fa quello che deve fare: testimoniare il Vangelo nella realtà secolare. Invece cosa stiamo facendo? Stiamo mettendo i laici sempre di più in sacrestia (o negli uffici ecclesiastici) … altro che Vaticano II. La clericalizzazione vera e che bisognerebbe arginare, è quella del laicato. Ma cosa è poi questa benedetta etichetta di ‘clericale’? San Josè Maria Escrivà ne dava una formidabile definizione: clericalismo è quell’atteggiamento che porta i preti ad occuparsi di cose secolari, e i secolari ad occuparsi di cose ecclesiastiche (si badi bene, non ecclesiali, ma ecclesiastiche!). Chi è più clericale oggi in Italia, il clero o i laici? Poi ci rammarichiamo che non ci sono più professionisti e politici cattolici….

Unicuique suum

I poveri, tutti, vanno curati. Ma il povero non è solo l’indigente, è anche chi subisce ingiustizia nei nostri ambienti ecclesiastici. Non basta più l’elemosina, il panino. La Chiesa non è una onlus. Oggi è molto più facile fare la carità (sic!) che annunciare la fede. Vorrei segnalare due piccole attenzioni di fondo circa i poveri nella Chiesa, due diritti che sono troppo poco ricordati. Prima di tutto: i poveri hanno diritto all’annuncio della fede. È la stessa missione di Gesù, mandato a portare loro il lieto annuncio. Chi lo fa? Gli operatori – assunti con contratto nei nostri enti caritativi - che spesso non sono nemmeno credenti? Mentre ancora grazie a Dio nelle Caritas parrocchiali si trovano cristiani motivati, nelle sedi più centrali operano impiegati che fanno un lavoro stipendiato come un altro. Di costoro, chi evangelizza i poveri?

Seconda attenzione: la legalità è fondamentale, ed è anche profetica. Si rileggano i primi capitoli del profeta Isaia. La certezza e l’applicazione del diritto canonico sono una garanzia. Non dimentichiamo che la legge nasce per tutelare i poveri, coloro che altrimenti soccomberebbero davanti alle angherie dei potenti, poiché nessuno è disposto a difenderli. Quando in casa nostra stigmatizziamo i canonisti come rigidi e lontani dalla vita facciamo un danno enorme ai piccoli. Pensiamo agli abusi di ogni tipo: non nascono forse dal disprezzo per il diritto e la mancanza della sua applicazione? Non ci vuole meno diritto canonico, ci vuole un di più in termini di applicazione!

Il problema degli abusi ce lo porteremo avanti per anni e anni e costringerà a scelte molto dolorose. L’unico precedente in termini di ‘terremoto’ nella Chiesa è quello della simonia, che per diversi secoli ha impegnato papi e concili. [Silere non possum ne ha parlato anche qui] Ma dobbiamo anche pensare che la grande riforma monastica dei secoli X-XI e la nascita dell’evangelismo medievale (che raggiungerà fioritura completa con San Domenico e San Francesco), originano da questa grande crisi. Davanti alla simonia la Chiesa non ha elaborato solo delle prescrizioni, ma anche un nuovo modello di santità. A noi il compito di intravvedere un nuovo paradigma di santità nel tempo degli abusi. Però bisogna stare attenti: il clero intorno al Mille era simoniaco e concubinario? Ebbene, nessuno allora si sognò di smantellare il sacramento dell’ordine. Non cadiamo nell’inganno. Il dramma degli abusi non può diventare l’occasione per attaccare la struttura sacramentale o gerarchica della Chiesa. Sarebbe come abolire il matrimonio per far diminuire i divorzi.

Apriamo gli occhi: persone che detestano la Chiesa stanno prendendo spunto da questi fatti per "conciare" la comunità cristiana come hanno sempre sognato. Bisogna reagire al massacro; chi sbaglia tra noi affronta la giustizia… ma chi calunnia un chierico senza prove paga in sede civile e canonica! A quando in Italia una associazione per la tutela del clero?

La Chiesa è il Risorto tra noi, con la sua gloria e le ferite sempre aperte. La Chiesa può riformarla solamente chi la ama… non chi se ne serve.

P.P.

Silere non possum

Prima parte