The spiritual testament of a priest from Paris invites us to reflect on some important issues.

🇪🇸 ¿El problema de nuestro tiempo? La ausencia de Fe

Le feste pasquali, come quelle natalizie, sono l’occasione propizia, per i sacerdoti, per fare “la conta” di quei fedeli che “timbrano il cartellino”. Sono moltissimi coloro che si dicono cattolici ma per tutto l’anno non si vedono in chiesa e fanno la loro comparsa per il Santo Natale e la Santa Pasqua o per il battesimo del nipotino.

Nel sud Italia, in modo particolare, sono numerosissimi coloro che presenziano alle “rappresentazioni”. Se c’è qualcosa che abbiamo favorito in questi anni, infatti, è una fede fatta di talismani. Le persone partecipano se c’è qualcosa di particolare, non gli basta che Cristo si immola, ogni giorno, sull’altare per la loro salvezza. Se distribuisci della cenere sul capo, c’è il pienone. Se incroci due candele e le appoggi al collo delle persone, c’è il pienone. Se celebri una semplice Santa Messa, il deserto. Abbiamo formato fedeli che hanno bisogno di emozioni e vivono la loro fede sull’onda di quest’ultime.

Seppure oggi siamo sempre più ripiegato su noi stessi e piangiamo sulla mancanza di vocazioni, sugli abusi nel clero, sul disinteresse dei giovani, sulla denatalità e quant’altro, il vero problema è uno solo: la mancanza di fede. Oggi le persone non credono più in Gesù Cristo e nella sua buona novella. È sufficiente partecipare ad un Angelus del Santo Padre per rendersi conto che pochissimi rispondono alle invocazioni o si inginocchiano per la benedizione.

Abbiamo trasformato la Chiesa in un centro sociale in cui le persone vengono per sentirsi meno sole, per mangiare o per ricoprire luoghi di comando. Chiaramente oggi ci ritroviamo con dei laici prepotenti che ci vogliono insegnare cosa fare. Del resto, se la nostra missione fosse quella di far del bene, giustamente loro lo potrebbero fare molto meglio di noi. Il problema, però, è che questa non è la missione che Cristo ha affidato alla Sua Chiesa.

Tornare alle radici

In queste ore, sopratutto in Francia, sta circolando un bel testamento spirituale di un sacerdote venuto a mancare a causa di una grave malattia. In questo testo emergono alcune preoccupazioni che animano moltissimi sacerdoti oggi.

Il Pontificato di Francesco, purtroppo, non ha fatto che esacerbare un problema sempre più evidente. Abbiamo parlato di questo in occasione dei funerali del Santo Padre Benedetto XVILa generazione che ha vissuto la rivoluzione del 68′ è sempre più delusa perchè ha visto fallire le proprie aspirazioni. Diversamente, i giovani che sono stati ordinati negli ultimi anni e coloro che oggi sono in seminario, sono orientati da un ideale di sacerdote più consapevole, forte della propria identità. Anche le nuove generazioni di fedeli popolano le chiese dove ci sono sacerdoti giovani che celebrano bene la Santa Messa e curano la liturgia, la predicazione, ecc..Questo crea diversi problemi, sopratutto con quei presbiteri anziani (e vescovi) che non ammettono di aver fallito e scaricano sui giovani le proprie frustrazioni. Si tratta di un vero e proprio divario generazionale che nasconde numerose e profonde problematiche.

Nel testamento spirituale di don Cyril Gordien emerge anche questo aspetto della vita sacerdotale, ovvero un certo dispiacere per il comportamento di alcuni vescovi che spesso scelgono la via facile del consenso piuttosto che difendere i propri sacerdoti e, sopratutto, la missione della Chiesa.

Dal testo, inoltre, emerge anche la profonda fede che ha animato questo sacerdote e anima moltissimi sacerdoti in tutto il mondo. Molti sono gli aspetti edificanti: la devozione alla Vergine, l’amore a Gesù sacramentato, la consapevolezza della gravità del ministero del prete e il profondo amore alla Chiesa. Di seguito potrete leggere il testo in lingua italiana. 

L.M.

Silere non possum

Pharmakon: la rubrica per sacerdoti

Testamento Spirituale di Padre Cyril Gordien

Vorrei iniziare queste poche righe di meditazione con un immenso ringraziamento a nostro Signore. Sì, ringrazio il mio Dio per la fede che ho ricevuto da bambino, una fede solida e pura, una fede che non è mai venuta meno nonostante le tante prove della vita, una fede che i miei cari genitori mi hanno trasmesso nella fedeltà e nel vero amore per la Chiesa. Ringrazio il Signore per la famiglia unita in cui sono nato e per tutto l’amore che i miei genitori e i miei fratelli mi hanno dato. Ho avuto un’infanzia molto felice, segnata dall’esempio di mio padre, un esempio di donazione nella sua professione di chirurgo e di fedeltà nella pratica religiosa.

Mio padre mi ha trasmesso il senso dello sforzo, l’avversione per la pigrizia e l’accidia, il rigore nel lavoro ben fatto e la forza di lottare. Ha sempre dimostrato un grande coraggio nel difendere la vita e la fede, attraverso molteplici impegni, sia per tutte le questioni bioetiche, con la sua competenza di chirurgo, sia per difendere le scuole libere.

Mia madre mi ha trasmesso la sua dolcezza e gioia di vivere, il suo senso del bello e del buono, la sua fedele pietà e la sua finezza nelle relazioni. Ha anche sempre dimostrato un immenso coraggio nel sostenere mio padre alla fine della sua vita e nell’affrontare la sua nuova vita da vedova, così giovane, con i suoi figli da mantenere. Non si è mai arresa, spinta da una fede incrollabile. Ancora oggi affronta la mia malattia con il suo carattere ottimista e gioioso per andare avanti.

Ringrazio il Signore per aver chiamato me, suo indegno servitore, al sacerdozio. Quando ho sentito questa chiamata nel mio cuore, mi ha riempito di una gioia inesprimibile e allo stesso tempo di un timore pieno di rispetto per il Signore: perché mai io, che mi sento così indegno e incapace di assumere un tale ufficio e una così grande missione? Il mio cammino verso il sacerdozio, in seminario, è stato allo stesso tempo gioioso e doloroso. Gioioso, per le grazie ricevute, che mi hanno sempre rafforzato nella mia vocazione, e per tutto ciò che ho ricevuto attraverso la formazione; doloroso, anche, per le prove e le sofferenze provenienti dalla Chiesa.

Non ho mai tradito le convinzioni che mi animavano, nonostante le inevitabili persecuzioni. Ho sempre resistito, combattuto e lottato quando sentivo che la menzogna, la mediocrità o la perversione erano all’opera. Sono stato bullizzato e maltrattato per questo, ma non mi pento di aver combattuto con convinzione. La cosa più difficile è soffrire per la Chiesa.

San Giovanni Paolo II è stato il Papa della mia giovinezza. L’ho amato tanto, per l’esempio di forza e coraggio che ci ha dato. È stato lui a comunicarmi l’entusiasmo della fede e l’ardore apostolico. Con lui sono cresciuto nell’amore per la Chiesa e nella fedeltà al Magistero. La testimonianza della sua vita data fino alla fine, nella sofferenza accettata e offerta, nella celebrazione della Messa nonostante il dolore, mi ha commosso. È ancora a lui che mi affido oggi per celebrare la Messa. Quando mi mancano le forze, quando mi manca il fiato, quando mi fa male il corpo, gli parlo e gli chiedo: “Padre Santissimo, dammi la tua forza e il tuo coraggio per celebrare i santi misteri, come hai fatto tu fino alla fine in un dono totale”. Egli è stato per me un testimone della gioia della fede e dell’attaccamento a Cristo. È stato per me un esempio di blocco orante in mezzo alle tribolazioni di questo mondo. Si è scontrato con le forze del male, affrontando con coraggio i due totalitarismi del XX secolo che hanno ucciso milioni di persone. Ha resistito, ha combattuto, ha fatto cadere il muro di Berlino che stava schiacciando l’umanità. San Giovanni Paolo II è per me un gigante della fede, un santo eccezionale che continua a portarmi con sé. Non dimenticherò mai i momenti in cui ho avuto la gioia di incontrarlo. Per questo ho partecipato, nonostante tutti gli ostacoli, ai suoi funerali, alla sua beatificazione e poi alla sua canonizzazione.

Papa Benedetto XVI è stato il Papa del mio sacerdozio. Sono stato ordinato il 25 giugno 2005, due mesi dopo la sua elezione.

Mi ha sostenuto in modo straordinario all’inizio della mia vita di sacerdote con la profondità delle sue omelie, con le sue analisi pertinenti e profetiche del nostro mondo, con le sue riflessioni luminose. L’esempio della sua umiltà e della sua dolcezza mi ha toccato molto. Era un vero servo di Dio, preoccupato di rafforzare la fede dei fedeli per la salvezza delle anime. Cercava incessantemente di aprire alle persone l’accesso a Dio. Era un uomo di preghiera, radicato nella contemplazione del Dio vivente. Per quasi dieci anni, dopo la sua rinuncia, ha vissuto ritirato dal mondo, ma lo ha portato nella sua preghiera. Da quando è morto, l’ho invocato per la nostra Chiesa, che si trova nel mezzo di una grave crisi. Egli è per me l’esempio di una vita donata al servizio della Verità, dispiegando tutta la sua grande intelligenza per portare alla luce, in modo limpido, le più alte verità della fede. Mi immergo sempre nei suoi scritti, nei suoi libri, nelle sue omelie e nei suoi discorsi con la gioia profonda di chi impara e comincia a capire meglio. La difesa e la trasmissione della fede, nella fedeltà alla Tradizione, era la sua lotta quotidiana. Posso testimoniare che mi ha rafforzato nella fede. 

Mi commuove ancora il suo cuore di buon pastore, soprattutto quando scrisse una lettera ai vescovi del mondo, in seguito agli attacchi al suo gesto di comunione nel revocare la scomunica ai quattro vescovi della Società San Pio X. Questa lettera è magnifica, è il suo cuore che parla.

Nella mia vita di uomo e di sacerdote ho vissuto molte prove. La morte di Ingrid, la mia cara amica di gioventù, nell’agosto 1995, e poi quella del mio caro padre nel marzo 1996, sono state per me una vera prova, segnata da un profondo dolore del cuore. Due persone che mi erano così vicine sono morte nello stesso anno, a distanza di sette mesi l’una dall’altra. La vita va avanti, la fede rimane la mia forza. Ho progredito negli studi e la chiamata al sacerdozio si è intensificata. Sono entrato in seminario nel 1998 e sono stato ordinato sacerdote il 25 giugno 2005.

La mia prima missione è stata in Libano, un Paese che ho amato molto, nonostante le condizioni difficili in cui sono stato inviato. Ringrazio i carmelitani che mi hanno aperto le porte del loro convento e mi hanno accolto come un fratello. Ho scoperto un Paese bellissimo, segnato dalla fede e dall’amore per la Francia.

Poi sono stato nominato nella parrocchia di Santa Giovanna di Chantal, dove ho provato la grande gioia di servire una comunità e una gioventù che amavo. Ho trascorso due anni in questa parrocchia, contento dei parrocchiani e scontento di un parroco che non sapeva come accogliermi come giovane sacerdote.

Dopo due anni, fui assegnato alla cappella di Nostra Signora del Santissimo Sacramento, in Rue Cortambert. Il mio apostolato si è svolto interamente con i giovani, sia nelle scuole superiori dove ero cappellano, sia nella cappella con tutte le attività proposte. Erano momenti felici e pieni di gioia in mezzo a tutti questi giovani assetati di una parola vera ed esigente. Purtroppo, non sempre ho incontrato l’atteso sostegno dei responsabili locali (comunità di suore, consiglio pastorale…), dovendo sopportare continui blocchi nelle iniziative liturgiche e pastorali. Quante battaglie da combattere!

Nel settembre 2013 sono stato nominato in una parrocchia vicina, Nostra Signora dell’Assunzione.

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I sei anni trascorsi all’Assunzione sono stati anni di grande felicità: ero profondamente felice nelle missioni con i giovani, ed eravamo molto uniti con i sacerdoti, in un’atmosfera gioiosa e fraterna. Sono stati anni di grazia. Ringrazio in particolare padre de Menthière, che è stato per me un parroco modello e un amico. Voglio dire qui quanto sia importante l’amicizia sacerdotale nella vita di un prete. Ho ottimi amici sacerdoti, fin dal seminario, e ci incontriamo regolarmente.

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Nel settembre 2019 sono stato nominato parroco di Saint Dominique, nel XIV arrondissement, un quartiere che conoscevo bene, avendo vissuto per tre anni con mio nonno alla Porte d’Orléans. La mia prima parrocchia da parroco: si ama la propria parrocchia, ci si meraviglia, ci si dona. Mi sono subito occupato della pastorale giovanile, che sembrava un po’ trascurata. Forse sono stato troppo veloce nell’apportare i cambiamenti necessari, soprattutto nella liturgia, senza prendermi abbastanza tempo per spiegarli.

Poi è arrivata la crisi del coronavirus. Nel marzo 2020, appena sei mesi dopo il mio arrivo, la vita si paralizzò. Mi ritrovai completamente solo nel presbiterio e nella chiesa, poiché tutti se ne erano andati per confinarsi altrove. Per me è ovvio: non posso celebrare la Messa solo per me stesso, rinchiudendomi per proteggermi… Non sono un sacerdote per me stesso, privando i fedeli dei sacramenti. Decido di lasciare la chiesa aperta, tutto il giorno, e di celebrare la Messa in chiesa, esponendo prima il Santissimo Sacramento, rendendomi disponibile per le confessioni. Non l’ho detto a nessuno, ma i fedeli sono venuti da soli. Accetto pienamente questa scelta e non me ne pento affatto. Alcuni, che erano andati in vacanza in campagna, mi hanno rimproverato a distanza. Altri, al ritorno dal lockdown, mi hanno rimproverato pesantemente. È facile criticare quando si trascorrono diverse settimane al sole, fuori Parigi…

Questa crisi rivela una tragedia del nostro tempo: vogliamo proteggere il nostro corpo per preservare la nostra vita, anche a scapito delle relazioni personali e dell’amore dato fino alla fine. Vogliamo salvare il nostro corpo a scapito della nostra anima. Qual è il valore di una società che dà priorità assoluta alla salute del corpo, lasciando morire le persone in una spaventosa solitudine, privandole della presenza dei loro cari? Che valore ha una società che arriva a proibire il culto del Signore? Come scrive il cardinale Sarah: “Nessuna autorità umana, governativa o ecclesiastica, può arrogarsi il diritto di impedire a Dio di radunare i suoi figli, di impedire la manifestazione della fede attraverso il culto di Dio (…) Pur prendendo (…) Pur prendendo le necessarie precauzioni contro il contagio, i vescovi, i sacerdoti e i fedeli devono opporsi con tutte le loro forze alle leggi sulla sicurezza sanitaria che non rispettano né Dio né la libertà di culto, perché tali leggi sono più letali del coronavirus”. 



SACERDOTE DI GESÙ CRISTO

Il sacerdozio è stato tutta la mia vita. Non mi sono mai pentito nemmeno per un attimo di aver detto di sì al Signore, che mi ha riempito delle sue grazie attraverso il mio ministero. Che dono inestimabile è essere sacerdote di Gesù Cristo! Che grazia ineffabile! Ogni giorno, celebrare la Santa Messa era una gioia immensa. Non riesco a misurare il dono che il Signore mi ha fatto di poter tenere il suo corpo divino nelle mie povere mani, e di prestargli la mia voce e la mia umanità ferita perché possa rendersi sacramentalmente presente. Vado alla Santa Messa mentre salgo sul Golgota, consapevole che su quella collina si è svolto il dramma della salvezza. Raccolgo nel mio calice il sangue prezioso che sgorga dal cuore trafitto, il sangue salvifico che già scorreva nel Getsemani. È stato sudando gocce di sangue che nostro Signore Gesù ha detto il grande sì alla volontà di suo Padre e ha accettato di offrire la sua vita in sacrificio per la salvezza di tutti gli uomini.

Io sono solo un piccolo vaso di argilla in cui il mio fragile essere è stato trasformato dalla grazia sacerdotale il giorno della mia ordinazione. Non sono più lo stesso essere di prima: d’ora in poi il carattere sacerdotale permea il mio corpo e la mia anima e mi rende capace di donare Dio agli uomini. Che mistero e che grazia! Il Curato d’Ars diceva: “Se il prete sapesse cosa è, morirebbe”. Non sono un sacerdote per me stesso, ma per le anime, per la loro salvezza. Quale peso grava sulle mie spalle: sacerdote per la salvezza delle anime a me affidate. Medito con umiltà queste parole del buon e santo Curato d’Ars. Mi aiutano a cogliere la grandezza del sacerdozio che non mi appartiene: “Se non avessimo il sacramento dell’Ordine, non avremmo Nostro Signore. Chi lo ha messo lì, nel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la nostra anima al suo ingresso nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire davanti a Dio, lavando quest’anima per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima muore a causa del peccato, chi la farà risorgere, chi le restituirà la calma e la pace? Ancora il sacerdote. Dopo Dio, il sacerdote è tutto. Il sacerdote si capirà bene solo in cielo”. 

Sono consapevole che il sacerdote deve stare dalla parte di Dio e allo stesso tempo dalla parte dell’uomo. È stato Papa Benedetto XVI ad aiutarmi a capire meglio la missione del sacerdote come mediatore, durante una lectio divina che ha tenuto ai sacerdoti di Roma. Il sacerdote è un mediatore che apre alle persone le porte del cammino verso Dio. È come un ponte che collega l’uomo a Dio per dargli la vera vita, la vita eterna, e per condurlo alla vera luce. Il sacerdote deve essere innanzitutto dalla parte di Dio. Ciò significa che deve trascorrere del tempo alla presenza del Signore per stare con Lui. Il Signore ha scelto i suoi dodici apostoli per stare con Lui e poi mandarli a predicare. È una priorità assoluta per il sacerdote donarsi a Dio dedicandogli del tempo: attraverso la Messa quotidiana, la preghiera del breviario, la meditazione e la preghiera, la recita del rosario e tante altre devozioni che alimentano la vita interiore. Se un sacerdote non prega più, non può più portare frutto.

Quando sono arrivato come parroco nel settembre 2019, ho avuto la sensazione che stessero accadendo molte cose belle, ma soprattutto in modo orizzontale. Anche se era presente una vera vita di preghiera, sentivo che mancava una dimensione verticale, trascendente, una dimensione che permettesse di sostenere tutto per imbrigliare a Dio l’intera vita parrocchiale. Per questo mi sono convinto che dovevamo avviare un’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Senza l’immancabile sostegno di una coppia di parrocchiani fedeli, la cui fede è una roccia e il cui impegno è incrollabile, non ci sarei mai riuscito.

Quando abbiamo deciso di avviare l’adorazione perpetua nel novembre 2020, non avevo idea di quanto il diavolo si sarebbe scatenato per impedire la realizzazione di questo progetto. Ci sono stati molti ostacoli, tra imprevisti materiali, dubbi, preoccupazioni, ricerca di volontari impegnati e vincoli dovuti alla situazione sanitaria. Nonostante tutto, l’organizzazione si sta gradualmente mettendo a punto e possiamo ragionevolmente prevedere un servizio di culto di quattro giorni e tre notti. Gli spazi serali e notturni si riempiono rapidamente, e poi gradualmente arrivano quelli diurni.

Dopo due settimane, tutto è pronto, il tavolo è ben riempito. Viene fissata una data: martedì 10 novembre. Poi l’annuncio del coprifuoco è arrivato come un coltello… Abbiamo deciso di continuare nonostante tutto, richiamando gradualmente gli Adoratori per facilitare la loro venuta, e offrendo ai più giovani di dormire sul posto… Poi arrivò la notizia del secondo confino, con la partenza di alcuni parrocchiani per la provincia… Abbiamo dovuto richiamare tutti, per assicurarci che fossero ancora a Parigi, per assicurarci che fossero motivati e per chiamare nuovi Adoratori.

Finalmente, dopo tutti questi alti e bassi, siamo riusciti a iniziare l’adorazione come previsto il 10 novembre. Dalle 8 di martedì alle 18.30 di venerdì, i fedeli si sono alternati per adorare il Signore Gesù nel suo Santissimo Sacramento. Come sacerdote, provo un’immensa gioia nel venire ad adorare nel cuore della notte silenziosa. Sono profondamente felice di vedere i fedeli venire a pregare a tutte le ore, costituendo così una casa capace di irradiare l’amore di Dio. Mi stupiscono i giovani, liceali e universitari, che si sono impegnati in una fascia oraria e che vengono di notte, o appena usciti da scuola, con lo zaino in spalla. Ammiro i padri che vengono di notte o la mattina presto prima di andare al lavoro, o le madri che portano i loro figli. Mi commuovono questi anziani che rimangono fedeli alle loro famiglie nei momenti più frenetici della giornata.

Tutti loro, di ogni estrazione sociale e di ogni età, si sono mobilitati per mettere Cristo al centro della loro vita, per adorarlo, pregarlo, affidargli le loro intenzioni e portare la loro parrocchia. Sono convinto che questo sia fonte di molte grazie per ogni persona e per la vita parrocchiale, e che questa preghiera continua sia la fonte della fecondità delle varie attività pastorali. Con la Beata Vergine, grido con il cuore pieno di gratitudine: “L’anima mia esalta il Signore, il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore!”

Sì, l’adorazione è al centro della vita del sacerdote. Devo passare del tempo davanti al Signore, davanti al tabernacolo. Davanti a Lui posso confidare le mie pene e le mie gioie, aprirgli il mio cuore, posso aprirgli il mio cuore, parlargli come si parla a un caro amico, mettere tutto vicino al suo cuore, sapendo che è lì, che mi ascolta e che parla al mio cuore.

“Vi dirò, confidava san Josemaria Escriva, che il tabernacolo è sempre stato per me come Betania, quel luogo tranquillo e silenzioso che Cristo amava, dove possiamo raccontargli le nostre preoccupazioni, le nostre sofferenze, le nostre speranze e le nostre gioie, con la semplicità e la naturalezza con cui gli parlavano i suoi amici, Marta, Maria e Lazzaro”.

Il santo Papa Giovanni Paolo II ci ha mostrato l’esempio della devozione eucaristica. Cito la sua ultima enciclica“Il culto dell’Eucaristia al di fuori della Messa ha un valore inestimabile nella vita della Chiesa. Questo culto è strettamente legato alla celebrazione del Sacrificio eucaristico. La presenza di Cristo sotto le sacre specie conservate dopo la Messa – una presenza che dura finché rimangono le specie del pane e del vino – scaturisce dalla celebrazione del Sacrificio e tende alla comunione sacramentale e spirituale. È dovere dei pastori incoraggiare, anche attraverso la loro testimonianza personale, il culto eucaristico, in particolare l’esposizione del Santissimo Sacramento, nonché l’adorazione davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche “.

Nella Santa Eucaristia “c’è il tesoro della Chiesa, il cuore del mondo, il pegno del fine a cui ogni uomo aspira, anche inconsciamente. Questo mistero è grande, certamente ci supera e mette alla prova le possibilità del nostro spirito di andare oltre le apparenze. Qui i nostri sensi falliscono – “visus, tactus, gustus in te fallitur”, si dice nell’inno Adoro te devote -, ma ci basta la nostra fede, radicata nella parola di Cristo trasmessa dagli Apostoli. (…) Ogni impegno di santità, ogni azione volta a realizzare la missione della Chiesa, ogni attuazione di piani pastorali, deve attingere la forza necessaria dal mistero eucaristico e dirigersi verso di esso come verso il vertice. Nell’Eucaristia abbiamo Gesù, abbiamo il suo sacrificio redentivo, abbiamo la sua risurrezione, abbiamo il dono dello Spirito Santo, abbiamo l’adorazione, l’obbedienza e l’amore per il Padre. Se trascurassimo l’Eucaristia, come potremmo rimediare al nostro bisogno?”. (Ecclesia in Eucharistia)

Se il sacerdote è dalla parte di Dio, deve essere anche dalla parte dell’uomo. E qui misuro la mia inadeguatezza e le mie grandi debolezze. Il sacerdote deve sostenere, incoraggiare, esortare, consolare e prendersi cura di tutti coloro che gli sono affidati attraverso i sacramenti, senza distinzioni o preferenze. Tutto a tutti. L’umanità del sacerdote, ferita ma risanata da Cristo, gli conferisce la capacità di simpatizzare con le sofferenze degli uomini. Nella lettera agli Ebrei comprendiamo che la vera umanità non consiste nell’astrazione dalle sofferenze di questo mondo, ma piuttosto nell’essere in grado di raggiungerle con compassione. Il sacerdote deve essere una persona “capace di comprendere coloro che peccano per ignoranza o per errore, perché anch’egli è pieno di debolezza” (5,2), come Cristo che, “nei giorni della sua vita mortale, con grande grido e in lacrime, presentò la sua preghiera e la sua supplica a Dio che poteva salvarlo dalla morte; e poiché si sottomise in tutto, fu esaudito” (5,7).

Così, il sacerdote è colui che porta nel suo corpo le sofferenze degli uomini, per elevare il loro grido a Dio, nelle lacrime della preghiera, per portare i dolori e le miserie umane al cuore della divinità. Il sacerdote porta la sofferenza del mondo nel suo cuore e soffre con il mondo. È da questa capacità di compassione che si misura la vera umanità.

Quante volte i fedeli mi hanno confidato le loro delusioni, i loro immensi dolori, le loro lotte e le loro prove. A volte sento il peso del mondo che soffre, e solo Cristo può sollevarmi, quando depongo questo pesante fardello ai suoi piedi dopo avergli fatto ascoltare il lamento degli uomini che soffrono. Ci sono le miserie materiali, tutti quei poveri che incontriamo sulle nostre strade e che cerchiamo di alleviare un po’, con un dono, ma soprattutto con uno sguardo, una parola, entrando in relazione; ci sono anche le miserie morali, dovute ai peccati, che fanno sì che alcune persone siano bloccate in situazioni che sembrano inestricabili. E poi incontriamo le miserie del corpo, tutti quei malati che non ce la fanno più, tutti i feriti della vita che cerchiamo di consolare e alleviare, soprattutto attraverso il sacramento dei malati.

Signore Gesù Cristo, quanto soffre la nostra umanità! Ma tu hai presentato “a gran voce e in lacrime” il clamore di queste sofferenze, e continui a presentarle a Dio nostro Padre che veglia su di noi. Nella fede, sappiamo che queste sofferenze non sono vane, ma che, se offerte in un ultimo atto d’amore, nascondono una misteriosa fecondità.

Faccio mia questa bella preghiera di Sant’Ambrogio:

«Poiché mi hai dato da lavorare per la tua Chiesa, proteggi sempre i frutti del mio lavoro. Mi hai chiamato al sacerdozio quando ero un bambino smarrito; non permettere che mi smarrisca ora che sono sacerdote. Ma soprattutto, dammi la grazia di saper simpatizzare con i peccatori dal profondo del mio cuore. Dammi compassione ogni volta che assisto alla caduta di un peccatore; fa’ che non castighi con arroganza, ma che pianga e faccia cordoglio con lui. Che io possa piangere per il mio prossimo e per me stesso, e applicare a me stesso le parole: “Thamar è più giusto di te. Amen”»

Il Curato d’Ars è per me un modello e una guida nel mio sacerdozio. Quando ero studente e stavo riflettendo sulla mia vocazione, ho letto con passione la sua biografia scritta da Mons. Trochu. Sono rimasto profondamente colpito dalla sua vita di totale abnegazione per la salvezza delle anime. Era un instancabile apostolo della misericordia di Dio.

La confessione, insieme alla Messa, è il cuore della vita del sacerdote. Trasmettere il perdono di Dio attraverso il sacramento è una grazia straordinaria. Chi sono io, un povero uomo, per dire a qualcuno: “E io ti perdono tutti i tuoi peccati…”. Che gioia immensa è essere testimoni della misericordia del Signore! Il sacramento del perdono, naturalmente, rallegra il penitente: arriva con il volto triste, portando il peso dei suoi peccati, e se ne va con il cuore leggero e purificato e con uno sguardo di gioia per l’amore di Dio. Il sacramento porta gioia anche al sacerdote: che gioia permettere a una persona di essere liberata dai suoi peccati e di andarsene con il cuore in pace! Questo sacramento porta anche la gioia del Signore, rende felice il cuore di Dio! “C’è più gioia in cielo per un solo peccatore che si converte…”.

Il Curato d’Ars diceva: “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”. Questo significa che il sacerdote attinge da nostro Signore, appoggiandosi al suo petto in preghiera, come l’apostolo Giovanni, l’amore del cuore di Gesù. Questo significa che il sacerdote attinge da nostro Signore, appoggiandosi al suo petto in preghiera, come l’apostolo Giovanni, l’amore che scaturisce dal suo cuore divino, per poi trasmetterlo agli uomini attraverso la grazia dei sacramenti.

Tra le mie grandi gioie di sacerdote c’è quella dell’apostolato con i giovani. Ho avuto la fortuna, nei miei vari apostolati, di accompagnare molti giovani: nello scoutismo, in particolare come consigliere religioso nazionale delle Guide e degli Scout d’Europa; come cappellano delle scuole secondarie; come parroco, fondando un gruppo Even; organizzando e accompagnando molti pellegrinaggi, alla GMG, in Terra Santa, in Francia. Sono il testimone felice di una bella gioventù, che ha sete di richieste, che si confessa, che desidera formarsi, che prega, che progredisce sul cammino della santità. Vorrei dire a tutti questi giovani che è bello vivere e accogliere la vita come un dono di Dio! È bello voler costruire la propria vita sulla roccia della fede! Vorrei incoraggiarvi a impegnarvi, a desiderare di fondare una famiglia autenticamente cristiana dove la fede sia al centro, a osare rispondere alla chiamata del Signore a lasciare tutto per seguirlo nel sacerdozio o nella vita consacrata, senza paura. Solo Cristo è capace di realizzare le aspirazioni più alte del nostro cuore!

[...]

Nella Chiesa si sono insinuati i lupi. Sono sacerdoti, e a volte anche vescovi, che non cercano il bene e la salvezza delle anime, ma desiderano innanzitutto la realizzazione dei propri interessi, come il successo di una “pseudo carriera”. Per questo sono pronti a tutto: a cedere al pensiero dominante, a scendere a patti con certe lobby […], a rinunciare alla dottrina della vera fede per adattarsi allo Zeitgeist [lo spirito del Tempo], a mentire per raggiungere i loro scopi. Ho incontrato questi lupi travestiti da buoni pastori e ho sofferto nella Chiesa. 

Nelle varie crisi che ho vissuto, ho constatato che le autorità non si preoccupano dei sacerdoti e raramente li difendono, sposando la causa delle recriminazioni di laici progressisti assetati di potere che vogliono una liturgia piatta in un’autocelebrazione dell’assemblea. Come sacerdote, pastore e guida delle pecore che ti sono state affidate, se decidi di curare la liturgia per onorare nostro Signore e rendergli un vero culto, difficilmente sarai sostenuto nelle alte sfere di fronte a laici lamentosi.

Oggi voglio offrire le mie sofferenze per la Chiesa, per la mia parrocchia, per le vocazioni. Tutte le vocazioni: sacerdotali, religiose, matrimoniali. Chiedo al Signore la forza di perdonare coloro che mi hanno perseguitato e il coraggio di andare avanti portando queste croci quotidiane. Come Zaccheo, per vedere Cristo dobbiamo salire su un albero, l’albero della Croce. “Stat crux dum volvitur orbis” – “La croce rimane mentre il mondo gira”: questo è il motto dei Certosini. In mezzo ai cambiamenti e ai problemi di questo mondo, la croce del nostro Salvatore rimane piantata sulla nostra terra in modo stabile come segno della nostra fede.

IL POTERE DELLA PREGHIERA

Nel dicembre 1993, ho partecipato a un ritiro presso l’Abbazia di Notre Dame de Maylis, nelle Lande. Era una scuola di preghiera, per imparare a pregare, ascoltando padre Caffarel, fondatore delle équipes di Notre Dame, ma anche maestro di preghiera. Ho ricevuto molto da lui, in particolare attraverso il suo libro: Cento lettere sulla preghiera. In quei giorni, nostro Signore mi ha dato la grazia di percepire il suo amore per me e mi ha fatto scoprire il posto eminente e vitale della preghiera nella vita cristiana. Da quel momento la mia vita è cambiata, perché le mie giornate sono segnate dal ferro rovente della preghiera che trasforma la vita e dona l’amore di Dio.

La preghiera è il segreto di una vita cristiana feconda. Senza la preghiera, un cristiano non può stare in piedi, perché non può affrontare le potenze delle tenebre. Non stiamo combattendo contro piccoli avversari insignificanti, ma contro il diavolo, il principe delle tenebre, il padre della menzogna. Come ci esorta San Paolo: “Indossate l’equipaggiamento da combattimento che Dio vi ha dato, per poter resistere alle insidie del diavolo. Non combattiamo infatti contro esseri di sangue e di carne, ma contro i dominatori di questo mondo tenebroso, i principati, i dominatori, gli spiriti del male nelle regioni celesti. A questo scopo, prendete l’equipaggiamento da combattimento che Dio vi ha dato, affinché, quando verrà il giorno della difficoltà, possiate stare saldi e fare del vostro meglio” (Ef 6,11-13).

Per resistere e rimanere saldi, abbiamo bisogno della forza della preghiera. È la forza che trasforma segretamente il mondo. Se i cristiani abbandonano la preghiera, lasciandosi sedurre dal regno dell’efficienza e del profitto, allora si apre la porta “alla notte spirituale e alla barbarie scientifica”. Padre Caffarel profetizzava così: “O il cristianesimo conquisterà il mondo nella preghiera, o perirà. È una questione di vita o di morte per il cristianesimo” (cfr. Presenza in Dio, Cento lettere sulla preghiera).

E San Giovanni della Croce affermava: “Senza la preghiera, tutto si riduce a colpire con un martello per non produrre quasi nulla, o addirittura assolutamente nulla, e talvolta più male che bene”. E il Curato d’Ars: “Avete un cuore piccolo, ma la preghiera lo ingrandisce e lo rende capace di amare Dio”.

Nella preghiera quotidiana, in questo cuore a cuore con il Signore, siamo trasformati in profondità. Il buon Dio agisce nell’intimo della nostra anima per elargirci ogni genere di bene. Non sono io in primo luogo ad agire, attraverso le mie belle parole o la mia mediazione, ma è Dio che agisce. Questo tempo trascorso alla sua presenza è fonte di grazia, e ciò che conta è la fedeltà e la perseveranza, ogni giorno. Più abbiamo da fare, più dobbiamo pregare!

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LA SANTA VERGINE MARIA

“Come posso essere così benedetta che la Madre del mio Signore venga da me?”, chiede Elisabetta (Lc 1,43). E anch’io mi meraviglio della presenza di Maria nella mia vita.

La Vergine Maria è sempre stata presente nella mia vita, dalla mia infanzia fino ad oggi. È stata lei a guidarmi verso il sacerdozio, incoraggiandomi con fiducia, nonostante la sensazione di indegnità e incapacità. Ricordo con emozione quel momento di grazia quando, in una piccola cappella sulla collina di Vezelay, Maria mi prese per mano per rassicurarmi e lanciarmi sul cammino del sacerdozio. La Vergine mi ha sempre protetto e consolato. In tutti i momenti di prova che ho conosciuto, in tutte quelle situazioni umane che sembravano perdute, mi sono sempre affidato a Maria, rifugiandomi sotto il suo manto bianco immacolato, posto sotto la sua protezione. In questi momenti di abbandono, ho sempre sentito una grazia di consolazione, con la certezza che Maria vegliava, che era lì, vigile e protettiva. Non sono mai stato delusa o abbandonato da Lei. Vorrei testimoniare quanto la preghiera a Maria sia una fonte di grazie. La Santa Vergine ci conduce al suo Figlio divino, ci insegna, come una madre, a conoscerlo e ad amarlo.

Nella mia vita di sacerdote, Maria ha un posto privilegiato, perché è lei che ci ha dato il Salvatore, e questa è la missione del sacerdote: dare il Signore agli uomini. Senza la Beata Vergine, senza un legame speciale e affettuoso con lei, senza una preghiera costante alla nostra buona Madre del cielo, un sacerdote non sarebbe in grado di svolgere pienamente il suo ministero. Vorrei citare il cardinale Journet, di cui faccio mie le parole: “La Vergine Maria è rimasta e rimarrà sempre una gioia nella nostra vita di sacerdoti. Le feste della Vergine, come ogni sabato, sono come un po’ di sole e di primavera nei nostri cuori. Quando stiamo vicino a lei, la paura non esiste più. Le minacce di miseria e di mediocrità che ci avvolgono cessano di sopraffarci. Con lei siamo dall’altra parte perché siamo diventati suoi figli”. 

È stata Maria a rafforzare costantemente la mia fede. Mi sono sempre affidato alla sua fede chiara e incrollabile. È con lei che desidero pronunciare il mio fiat al Signore, sostenuto e guidato da lei. Il mio affetto per la nostra buona Madre del cielo è portato da lei nel cuore del suo Figlio divino. Grazie a Maria, il mio amore per Cristo è cresciuto e si è rafforzato. Più amiamo Maria, più lei ci fa amare suo Figlio. Più ci affidiamo a lei, più la nostra fede cresce. Che gioia avere Maria come madre! Che gioia sentire che interviene a nostro favore e che ci elargisce la sua tenerezza materna. Maria ci consola, asciuga le nostre lacrime come una madre sa fare. Ha pianto a Nazareth quando suo Figlio è stato incompreso, scacciato e rifiutato. Non vuole che soffriamo, è al nostro fianco per alleviare le nostre pene e aiutarci a sopportarle.

Sul mio calice, che mi è stato donato per l’ordinazione, ho fatto incidere un motto che faccio mio e che è il motto di San Giovanni Paolo II: “Totus tuus”. Queste due parole significano il mio desiderio di affidarmi a Maria in tutto, di passare attraverso di Lei, di consegnare e consacrare a Lei, in completa sottomissione e amore – secondo la preghiera di San Luigi Maria Grignon de Montfort – il mio corpo e la mia anima, e tutto ciò che devo realizzare. Quanto tutto è più semplice ed efficace quando scegliamo di affidare tutto alla Vergine! Il segreto è capire che nostro Signore ha voluto passare attraverso Maria per donarsi agli uomini, e che continua a farlo: le grazie passano attraverso la Vergine.

Nelle mie povere preghiere quotidiane, spesso segnate dalla debolezza, dall’aridità del cuore, dalle distrazioni, mi dico che Maria completa ciò che io non riesco a realizzare. È lei che presenta al suo Figlio divino i miei poveri balbettii di preghiera. Ecco perché, come scriveva il Curato d’Ars, “quando le nostre mani hanno toccato le spezie, profumano tutto ciò che toccano. Passiamo le nostre preghiere attraverso le mani della Santa Vergine, lei le imbalsamerà”.

Il racconto dell’Annunciazione è una delle pagine più belle dei Vangeli, perché ci viene rivelato un doppio mistero: il mistero dell’Immacolata Concezione e quello del concepimento verginale di Cristo. Questi due misteri sono legati dalla libertà di Maria che pronuncia il suo fiat al Signore dicendogli sì con tutto il suo essere. Questo sì di Maria, come ha scritto il cardinale Charles Journet, “è il più bel sì che la terra abbia mai detto al cielo”. E San Tommaso d’Aquino afferma: “Lo dice a nome di tutta l’umanità, dalla sera della caduta fino alla fine del mondo”. 

È attraverso Maria, e con lei, che possiamo dire sì al Signore e alla sua santa volontà. Il suo sì non è segnato dal peccato originale e dalla ribellione a Dio. È un sì puro, chiaro, totale, vero, senza alcun freno o secondo fine. Il nostro “sì” a noi stessi è sempre segnato da un “ma” nascosto, da condizioni imposte, da discrete evasioni… “Sì, Signore, ma…”. Eppure il Signore ci avverte: “La vostra parola sia sì se è sì, no se è no; ciò che è di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Con Maria possiamo finalmente dire un vero sì al Signore, lei ci aiuta ad abbandonarci al suo Figlio divino, ci porta nel suo fiat.

Alla grotta di Massabielle, dove sono stata tante volte, ho chiesto alla Madonna di Lourdes di aiutarmi a volere ciò che Dio vuole per me. Questa grotta è per me un rifugio, un luogo santo, una roccia su cui appoggiarmi per recuperare le forze. La sorgente di acqua viva che sgorga in fondo alla grotta è la fonte di grazie che la Vergine desidera donarci. Ho gioito in questa grotta, vi ho reso grazie, vi ho depositato molte intenzioni di preghiera; è anche lì che sono stato guarito da Maria da una ferita proveniente dalla Chiesa. Questo luogo benedetto è per me un luogo fondante della mia fede fin dalla mia infanzia. Lì, nel freddo di gennaio, mi affido ancora una volta con ardore a Nostra Signora di Lourdes. Rimango davanti alla grotta, prego in silenzio, mi abbandono al Signore tra le braccia di Maria, riprendo le forze, recito il mio rosario. Il freddo non riesce ad allontanarmi da questo luogo benedetto. “La luce brilla nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno fermata. Contemplo la luce che emana dalla grotta, luce che non è stata fermata. benefica e salutare. Grazie, Maria, per la tua protezione materna e la tua costante presenza al mio fianco. Sento risuonare in me la voce del salmista: “Spera nel Signore, sii forte e fatti coraggio, spera nel Signore” (Sal 26,14). E faccio mie le parole del lebbroso del Vangelo di oggi: “Se vuoi, puoi purificarmi” (Mc 1,40). Sì, Signore, se è la tua santa volontà, puoi guarire il mio corpo ferito. Ma sia fatta la tua volontà! Affido questa umile preghiera a Maria.

Pharmakon: la rubrica per sacerdoti

LA BUONA BATTAGLIA

Come vorrei, alla sera della mia vita, gridare come San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato il mio corso, ho conservato la fede” (2Tim 4,7). Qual è la buona battaglia in questo mondo? Molte persone spendono energie in lotte che non ne valgono la pena, come questa ecologia eretta a nuova religione, o questa difesa della causa animale a scapito dell’uomo. […] Tutto questo allontana le persone da Dio e gli fa combattere false battaglie che sono quelle del diavolo.

La battaglia giusta è quella della fede: mantenere la fede e trasmettere la fede, nella fedeltà alla tradizione della Chiesa. La mia fede oggi è quella dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei santi e delle sante che ci hanno preceduto e che ci hanno trasmesso questo tesoro di fede nel vero Dio. Nel corso dei secoli della storia della Chiesa, quanto sangue è stato versato, quante sofferenze sono state sopportate, quante violente persecuzioni sono state intraprese per proteggere e trasmettere la fede!

La buona battaglia è quella che consiste nel rimanere fedeli alle promesse del proprio battesimo, nel lottare per rimanere uniti al Signore Gesù, nel vivere da cristiani, nel mantenere le proprie convinzioni. È una lotta quotidiana, perché il diavolo non smette mai di cercare di allontanarci da Dio. La buona battaglia è quella della fedeltà a Cristo, una fedeltà che si conquista ogni giorno attraverso i doveri della vita cristiana: la preghiera quotidiana, la Messa domenicale, la confessione regolare, la lotta contro questo o quel peccato che si ripresenta. Ci sono cristiani eroici che combattono ogni giorno per vincere un peccato che avvelena la loro vita. Queste battaglie nell’ombra, nei segreti della vita, sono piccole vittorie contro il Principe delle Tenebre.

Nella mia vita di sacerdote, combatto questa battaglia con zelo, perché porto sulle mie spalle il peso delle anime che mi sono state affidate. Come posso compiere la mia missione senza una vera vita interiore, senza essere unito a Cristo attraverso la preghiera e i sacramenti? Dove posso trovare la forza per santificare il popolo cristiano se non in Dio stesso? Mi rendo conto di quanto sia vitale per un sacerdote dare tempo al Signore, dedicargli tempo prezioso, stare con lui, amarlo, adorarlo. Un sacerdote deve prima di tutto essere vicino al Signore per poter dare Dio alle persone. La fecondità di un apostolato dipende dalla forza della preghiera che lo sostiene. Ho lottato contro la tentazione dell’attivismo, che ci fa credere che il tempo per la preghiera sia inutile, o impossibile in tale e tale contesto. Chi prega non perde tempo, chi prega non è mai solo. Quante volte nella mia vita di sacerdote ho sperimentato la potenza della preghiera! È la preghiera che, in modo invisibile, mi dà la capacità di predicare, di insegnare, di assumere una missione delicata, e soprattutto di farmi da parte per fare spazio a Cristo. Senza la preghiera e l’unione interiore con Cristo, la nostra vita crolla.

La buona battaglia è quella di ogni momento per compiere bene il proprio dovere di stato e portare il peso della giornata senza recriminare contro Dio. I compiti umili e spesso nascosti della vita quotidiana fanno parte di questa lotta, che ci aiuta a rimanere uniti a Cristo.

La buona battaglia è quella che consiste nel seguire Cristo, passo dopo passo“Chi vuole seguirmi deve rinnegare se stesso, prendere la sua croce ogni giorno e seguirmi” (Lc 9,23). Questa è la condizione di chiunque voglia essere discepolo di Cristo, in una parola, di chiunque voglia essere veramente cristiano. Il cammino di Cristo passa attraverso la Croce, e quindi anche il cammino di ogni cristiano passa attraverso la Croce. Non scegliamo le nostre croci, non scegliamo le nostre sofferenze. Esse si presentano a noi, senza che le abbiamo chieste. Ci sono le piccole croci di ogni giorno, fatte di rinunce, umiliazioni, sforzi. Il dovere di Stato.

E poi ci sono le grandi croci della vita, quelle che si piantano nel nostro essere, corpo e anima. Sono le sofferenze dovute alla malattia, il dolore per la morte di una persona cara, le prove delle persecuzioni per la fede. persecuzioni per la fede. Queste grandi croci possono essere portate solo con l’aiuto di Dio. Cristo ha portato la sua croce, così pesante, e non smette di aiutarci a portare la nostra. Tre volte è caduto, tre volte si è rialzato con la forza di Dio suo Padre. Egli prende sulle sue spalle il nostro fardello, se glielo affidiamo, per rafforzarci e sostenerci.

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FR testament spirituel