Venerdì 19 luglio 2024 il Patriarca di Venezia, S.E.R. Mons. Francesco Moraglia, ha pregato innanzi al Santissimo Sacramento esposto in occasione della Festa del Redentore che si celebra ogni anni la terza domenica di luglio. «A Te, Santissimo Redentore, vogliamo affidare oggi non solo la nostra città, desiderosa di pace e da sempre luogo d’incontro, ma anche la nostra Europa affinché esprima ancora e di nuovo quella cultura e quella spiritualità che le sue radici cristiane le hanno dato e che l’hanno resa un continente capace di creare ponti tra persone e popoli differenti, relazioni buone e vere, in grado – come la storia insegna – di creare legami stabilendo unità e concordia che oggi paiono smarrite» ha detto Moraglia. 

Nella serata di Domenica 21 luglio il Patriarca ha celebrato la Santa Messa a cui hanno preso parte le autorità cittadine, il capitolo metropolitano, le nove congregazioni del clero veneziano, le scuole grandi e le comunità religiose veneziane. «Sì, Cristo viene prima della Chiesa, viene prima di noi, viene prima della nostra celebrazione che è resa possibile solo da Lui, il solo capace di renderci Chiesa perché è il nostro Redentore - ha detto Moraglia. La festa del Redentore, inoltre, ci ricorda che siamo una Chiesa in costruzione, la comunità del Risorto, da Lui edificata e che cerca di fare sua la redenzione vivendo il sacramento dell’Eucaristia: “Annunciamo la tua morte proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta"».

Omelia del Patriarca di Venezia - Francesco Moraglia

Santa Messa - 21 Luglio 2024

Saluto le autorità civili e militari, i presbiteri, i membri delle congregazioni, i diaconi, i consacrati, i laici e la fraternità cappuccina. Una festa liturgica deve aiutare la comunità ecclesiale ad essere se stessa, a valorizzare le molteplici vocazioni che la costituiscono e il rapporto con Dio nell’atto dell’adorazione e della carità vissuta. Sono ancora presenti, in noi, le parole e la testimonianza di Papa Francesco che abbiamo accolto il 28 aprile scorso in visita a Venezia. Anche quest’anno rinnoviamo il voto che i nostri padri hanno fatto quasi 450 anni fa per essere liberati dal morbo della peste che mieteva morte in città e nei territori della Repubblica. Oggi siamo chiamati a ripensare il nostro modo d’essere cristiani. La festa del Redentore ci conduce al cuore della fede cristiana: noi siamo dei salvati, dei perdonati, dei riconciliati. Il Redentore indica come Gesù si china su di noi, sulle nostre ferite e quelle delle nostre comunità. Dobbiamo cogliere tale opportunità. Talvolta guardiamo la Chiesa, la persona di Gesù e i sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) considerandoli come realtà giustapposte fra loro, quasi “cose” che ci stanno dinanzi. Invece siamo chiamati a cogliere, in una fede viva, la rivelazione cristiana nella storia, cogliendo il suo punto di riferimento che è Gesù Cristo, verso il quale tutta la storia è protesa. Il Signore risorto è la pienezza della redenzione e noi siamo salvati nella speranza, come ricorda la seconda lettura di oggi: “La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi” (Rm 5,5-6). Ma l’amore di Dio “riversato” in noi è lo stesso Signore Gesù che, per opera dello Spirito Santo, si rende visibile nel sì della Vergine Maria che cambia il mondo. La celebrazione liturgica ci fa vivere la Chiesa come “noi” e non come singoli “io” giustapposti. Questo “noi” ha il suo fondamento nel Signore Gesù che è il centro della nostra salvezza. Noi entriamo nella salvezza tramite i sacramenti della Chiesa, la Chiesa è il sacramento di Cristo e Cristo, nello Spirito Santo, è il sacramento del Padre. Il nostro incontro con Cristo - il Redentore che perdona e chiede alla Chiesa d’esser portatrice di perdono e riconciliazione - avviene nella Parola e nei sacramenti; la Chiesa è proprio tale relazione vivente con Cristo. Andiamo così al cuore della cristologia, ossia al Verbo che si riveste di carne umana e si fa storia nel mondo. Quale è, dunque, il mistero intimo di Cristo Redentore? Qual è il suo “io” che è, insieme, l’ “io” del Verbo? Il Redentore è il sì libero e doloroso dell’“io” umano di Cristo che acconsente al progetto di Dio che si compie nel contesto di un’umanità che si è allontanata da Dio; un’umanità peccatrice che ha fatto della volontà autonoma e dell’idea dell’emancipazione da tutto e tutti il suo criterio. Ora per la prima volta, nell’ “io” filiale di Cristo, si fa presente l’umanità che Dio ha, da sempre, pensato e voluto. L’Adamo della Genesi si allontana dal progetto di Dio ma Gesù, il vero Adamo - come ricorda la lettera ai Romani - lo avvicina e lo rende presente di nuovo. Ma come si fa accessibile a noi l’“io” di Cristo nel quale, finalmente, si risponde positivamente al progetto di Dio? Come possiamo farne parte? Entrando nella Chiesa, la compagnia di Cristo morto e risorto. L’Eucaristia non è solo celebrazione, non è solo banchetto; è amore totale consegnato alla Chiesa. “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta”: c’è un legame intrinseco con la Chiesa, la comunità che è il corpo di Cristo, un amore sponsale che rimane per sempre. Ecco perché il matrimonio è indissolubile: è dono della persona per sempre, come l’amore di Cristo per la Chiesa. Tale amore, donato nel sacramento dell’Eucaristia, costruisce la Chiesa, ossia l’umanità salvata, e così il titolo “Redentore” non è qualcosa di astratto ma richiama la misericordia, la vicinanza, il dono concreto di Gesù che cambia il nostro modo di pensare, parlare, agire, essere. È proprio attraverso l’Eucaristia che diventiamo Chiesa e quindi possiamo celebrare l’Eucaristia. Sì, sul piano del ministero noi celebriamo il sacramento mentre prima, sul piano del mistero, l’Eucaristia ci costituisce Chiesa. Nella seconda preghiera eucaristica, dopo la consacrazione, il celebrante dice: Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. Sì, Cristo viene prima della Chiesa, viene prima di noi, viene prima della nostra celebrazione che è resa possibile solo da Lui, il solo capace di renderci Chiesa perché è il nostro Redentore. La festa del Redentore, inoltre, ci ricorda che siamo una Chiesa in costruzione, la comunità del Risorto, da Lui edificata e che cerca di fare sua la redenzione vivendo il sacramento dell’Eucaristia: “Annunciamo la tua morte proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta“. Non è possibile imporsi o appropriarsi teologicamente o liturgicamente dell’Eucaristia da parte di una comunità o di una parte d’essa; l’Eucaristia plasma la comunità e non viceversa. Una comunità si lascia plasmare dall’Eucaristia quando, nella grazia, si rende disponibile ad una vera vita eucaristica. Ma la carità cristiana rischia, a sua volta, di ridursi al puro umano o al sociale, trasformando la Chiesa in attività in occasione di Gesù Cristo. La speranza cristiana, poi, non è l’ottimismo umano o l’autoconvincersi che alla fine tutto andrà bene. La carità e la speranza del cristiano sono originate dalla fede, dal sì di Cristo al Padre, che consente di costituire un’umanità nuova e quell’amore “politico” di cui ha parlato Papa Francesco a Trieste – nel contesto delle Settimane Sociali – quando ha sollecitato i cattolici a non trincerarsi in ”una fede marginale, o privata” ma di appassionarsi al bene comune e puntare tutto su quell’amore “che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile” (Papa Francesco, Discorso del Santo Padre in occasione della 50^ Settimana Sociale dei cattolici in Italia, Trieste 7 luglio 2024). Noi siamo e rimaniamo sempre dei redenti. Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18,9-14); si tratta di riconoscersi peccatori e di non giudicare la parola di Dio. Sì, è l’Eucaristia che ci rende Chiesa e noi entriamo nel sì del Verbo nel momento dell’incarnazione e durante la sua vita pubblica. Le nostre rinunce battesimali inscrivono in noi il sì di Gesù che vince Satana e le sue tentazioni. Le catechesi di san Cirillo di Gerusalemme (IV sec. d.C.) ci dicono come, nelle prime comunità cristiane, chi riceveva il Battesimo, prima di immergersi nel fonte, si voltava ad Occidente - la terra del tramonto, delle tenebre – e rinunciava a Satana (l’avversario) e ai suoi stili di vita che si oppongono a Dio, al non senso del “tutti fanno così” e al politicamente corretto. Poi si voltava ad Oriente, dove sorge il sole, per riconoscere il vero sole che è Gesù, il Redentore. Il sì del cristiano s’inscrive all’interno dello stesso sì detto da Gesù nell’orto degli Ulivi, tra apostoli assonnati e incapaci di capire. È il sì di Cristo in croce che dice: “È compiuto!” (Gv 19,23). Sì, tutto è compiuto; da qui nasce la Chiesa e ciascuno di noi. Non a caso Gesù fa tale dono dalla croce, mentre recita il salmo 21 in cui, oltre alle parole riportate dagli evangelisti – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (v. 2) -, risalta tutta la sofferenza di Cristo. Il salmo, nella sua interezza, ci mostra come dal sacrificio di un solo uomo – il Signore Gesù, il Giusto condannato ingiustamente – nasca un popolo nuovo. “Gesù – è ancora Francesco a Trieste - ha vissuto nella propria carne la profezia della ferialità, entrando nella vita e nelle storie quotidiane del popolo, manifestando la compassione dentro le vicende, e ha manifestato l’essere Dio, che è compassionevole... Egli è rimasto fedele alla sua missione, non si è nascosto dietro l’ambiguità, non è sceso a patti con le logiche del potere politico e religioso. Della sua vita ha fatto un’offerta d’amore al Padre. Così anche noi cristiani: siamo chiamati a essere profeti, testimoni del Regno di Dio, in tutte le situazioni che viviamo, in ogni luogo che abitiamo” (Papa Francesco, Omelia del Santo Padre in occasione della 50^ Settimana Sociale dei cattolici in Italia, Trieste 7 luglio 2024). Guardiamo al Redentore con sguardo di fede, a partire da una più concreta appartenenza alla Chiesa e passando attraverso l’Eucaristia che non è, in primis, rito o celebrazione ma lo stesso Mistero di Cristo, accessibile alle nostre comunità e a ciascuno di noi e che ci trasforma in Lui. Alla città di Venezia, a tutti i veneziani, auguro una festa del Redentore ricca di grazia e di grazie!