A Torino, presso la Basilica di Valdocco, si sta svolgendo il 29° Capitolo Generale della Società Salesiana di San Giovanni Bosco (CG 29), iniziato domenica 16 febbraio 2025. Una delle decisioni adottate dall’assise che sta facendo più discutere è stata la delibera approvata il 13 marzo, che consentirà, ad experimentum, di affidare il compito di direttore di una comunità salesiana anche a membri non ordinati.
Questa decisione si inserisce in un contesto più ampio di riflessione sul ruolo dei religiosi e sul loro governo all'interno degli istituti. Come noto, nella Chiesa esistono gli Istituti clericali e gli istituti laicali. Il Codice di diritto canonico, al canone 588, chiarisce: «§1. Lo stato di vita consacrata, per natura sua, non è né clericale né laicale.
§2. Si dice istituto clericale quello che, secondo il fine o il progetto inteso dal fondatore, oppure in forza di una legittima tradizione, è governato da chierici, assume l'esercizio dell'ordine sacro e come tale viene riconosciuto dall'autorità della Chiesa.
§3. Si chiama invece istituto laicale quello che, riconosciuto come tale dalla Chiesa stessa, in forza della sua natura, dell'indole e del fine, ha un compito specifico, determinato dal fondatore o in base ad una legittima tradizione, che non comporta l'esercizio dell'ordine sacro».

La Società salesiana di San Giovanni Bosco nasce, per volontà dello stesso santo sacerdote, come istituto clericale. I Fratelli delle scuole cristiane, ad esempio, nascono come istituto laicale.

Già l'11 febbraio 2022, Papa Francesco, durante un’udienza concessa al Prefetto e al Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, aveva concesso «la facoltà di autorizzare, discrezionalmente e nei singoli casi, ai sodali non chierici il conferimento dell’ufficio di Superiore maggiore in Istituti religiosi clericali di diritto pontificio e nelle Società di vita apostolica clericali di diritto pontificio della Chiesa latina e da essa dipendenti, in deroga al can. 588 §2 CIC e al diritto proprio dell’Istituto di vita consacrata o della Società di vita apostolica, fermo restando il can. 134 §1». Il Dicastero ha inoltre scritto che «Il sodale non chierico di un Istituto di vita consacrata o Società di vita apostolica clericale di diritto pontificio è nominato Superiore locale dal Moderatore supremo con il consenso del suo Consiglio».

Il Pontefice, in realtà, parla di agire «discrezionalmente e nei singoli casi» ma il Dicastero ha interpretato questa concessione offrendo una disposizione che stabilisce che il superiore locale possa essere nominato «dal Moderatore supremo con il consenso del suo Consiglio». Allo stesso tempo è bene precisare che non è stata offerta, come in altri casi, una nuova formulazione del canone 588.

I Salesiani Coadiutori nella mens del fondatore

La figura del Salesiano Coadiutore è stata ideata e sviluppata da San Giovanni Bosco. Egli concepì la sua opera educativa e apostolica con due "mani": una sacerdotale, per guidare i giovani alla vita sacramentale e cristiana, e una laica, per educarli attraverso il lavoro e le competenze pratiche. È proprio da questa seconda dimensione che nacque la figura del Salesiano Coadiutore. Negli anni 1845-1850, mentre l’Oratorio era ancora in fase di sviluppo, Don Bosco si circondò di laici che, pur rimanendo nelle loro case, lo aiutavano nelle sue opere. Questa rete di collaboratori divenne l'embrione dell'Associazione dei Cooperatori Salesiani. Tuttavia, per garantire continuità e stabilità alla sua missione educativa, Don Bosco capì di avere bisogno di laici che vivessero pienamente all’interno delle opere salesiane, condividendone lo stile di vita e la stessa consacrazione religiosa. Nel 1860, Don Bosco iniziò a organizzare questi collaboratori laici in una forma stabile, facendoli diventare religiosi a tutti gli effetti mediante l’emissione dei voti. Essi vennero chiamati Salesiani Coadiutori e divennero parte integrante della comunità salesiana, accanto ai sacerdoti e ai chierici. Il primo vero esempio di questa figura fu Giuseppe Buzzetti, che pur non essendo stato formalmente riconosciuto come Coadiutore all'inizio, visse sempre accanto a Don Bosco con totale dedizione. Buzzetti, addirittura, pur esistendo già i coadiutori, per diverso tempo non volle emettere i voti perché riteneva «di non esserne degno».

"Nel 1877 Don Bosco lo incontrò in cortile e gli espresse un timore: che loro due non si sarebbero trovati vicini in paradiso. «Perché?», domandò Buzzetti sorpreso. «Perché io starò in mezzo ai miei salesiani, e dovrò rassegnarmi a vedere lontani da me coloro che non lo sono diventati» disse don Bosco. Ce n'era a sufficienza per la teologia semplice ma schietta di Buzzetti, e subito si decise" si racconta. 
Per Don Bosco i coadiutori erano anch’essi educatori dei giovani, in particolare nei laboratori e nelle scuole professionali, e spesso assumevano responsabilità amministrative e organizzative. Nel 1875, Don Bosco inviò in missione in Sud America i primi dieci salesiani, tra cui quattro Coadiutori. Nel 1883, durante un Capitolo Generale, si discusse sull'identità di questa figura e si stabilì che i Salesiani Coadiutori avessero ruoli specifici nell’educazione e nella gestione delle opere. Alla morte di Don Bosco, nel 1888, i Salesiani Coadiutori erano già 284 e la loro presenza si stava diffondendo in Francia, Spagna e America Latina. Essi furono fondamentali per lo sviluppo delle scuole professionali salesiane, insegnando mestieri e trasmettendo valori cristiani ai giovani più poveri. Nessuno, però, aveva l’ambizione di arrivare a guidare le comunità o la stessa Società Salesiana, perché erano consapevoli che il compito che era loro richiesto dal Signore era un altro. Lo stesso don Bosco non ha mai pensato a questo per i Coadiutori, era più preoccupato che andassero in paradiso con lui non che stessero alla guida della Società. 

La crisi della vita religiosa e il declino della figura del Coadiutore

La vita religiosa è da tempo incagliata in una fase nella quale è incompresa da alcuni dei suoi membri e dalla gerarchia ecclesiastica. Già prima del Concilio Vaticano II, la Chiesa stava affrontando una profonda crisi in questo ambito. Sebbene il decreto conciliare Perfectae Caritatis abbia fornito numerosi spunti per il rinnovamento, la sua attuazione, unita a una deriva già in atto, ha portato a un’incomprensione sempre più radicata della vita consacrata.

Come già evidenziato da Silere non possum a proposito della vocazione monastica, anche all'interno della Società Salesiana di Don Bosco la figura del religioso non sacerdote si sta avviando progressivamente verso l’estinzione. Ciò è dovuto al fatto che, nel discernimento operato dai formatori, non si presta attenzione alla vocazione religiosa in sé: i candidati accolti vengono indirizzati necessariamente all’ordinazione sacerdotale oppure dimessi. Non si contemplano alternative, né ci si interroga sulla possibilità che un giovane possa essere chiamato alla consacrazione religiosa secondo l’ideale di Don Bosco senza il desiderio di accedere al ministero sacro. Si tratta di una contraddizione evidente in un contesto che proclama l'intenzione di valorizzare il sacerdozio battesimale, senza però comprenderne il vero significato.

Già San Giovanni Paolo II metteva in guardia su questa crisi, affermando: «Purtroppo, nei tempi recenti si rileva, in alcuni paesi, una diminuzione del numero delle vocazioni alla vita religiosa laicale, sia negli Istituti clericali che in quelli laicali. È necessario compiere un nuovo sforzo per favorire la ripresa di tali importanti e nobili vocazioni: un nuovo sforzo di promozione vocazionale, con un nuovo impegno di preghiera. La possibilità di una vita consacrata “laicale” deve essere esposta come via di autentica perfezione religiosa anche negli antichi e nei nuovi Istituti maschili». (Udienza Generale, 22 febbraio 1995)

E aggiungeva: «Al tempo stesso è di grande importanza che negli Istituti clericali, dei quali fanno parte anche fratelli “laici”, questi abbiano un ruolo adeguato, così da cooperare attivamente alla vita e all’apostolato dell’Istituto. Occorre poi incoraggiare gli Istituti laicali a perseverare nella via della loro vocazione, adattandosi allo sviluppo della società, ma conservando sempre e approfondendo lo spirito di dono totale a Cristo e alla Chiesa, che si esprime nel loro specifico carisma. Chiedo al Signore che un numero sempre crescente di fratelli possa arricchire la santità e la missione della Chiesa».

Tuttavia, in un clima sempre più segnato dalla ricerca del potere e dall’attenzione alle pressioni mediatiche, anche i Salesiani sembrano adeguarsi a logiche che risultano ormai superate e poco efficaci nella realtà attuale. In un’epoca in cui i Salesiani Coadiutori sono sempre meno, si sta davvero lavorando per affidare loro la guida delle comunità locali? Possibile che nessuno si chieda se questa battaglia abbia ancora senso o se sia ormai superata? Invece di interrogarsi sulla natura e il valore della consacrazione religiosa, si preferisce offrire soluzioni di compromesso a coloro che si sentono emarginati e non adeguatamente valorizzati. Questa situazione è indubbiamente reale, ma non perché ai religiosi non siano concessi ruoli di governo, bensì perché il numero dei Salesiani Coadiutori è drasticamente diminuito. Contrariamente a quanto auspicato dal Concilio – Perfectae Caritatis, 18 -, non si è investito nella loro formazione, e al loro posto sono stati assunti laici non consacrati, spesso con compensi da capogiro. 

Eppure, qualche anno fa, la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica avvertì l'esigenza di riflettere sulla figura del Fratello Religioso, scrivendo: «La fraternità dei religiosi fratelli è uno stimolo per tutta la Chiesa, perché, di fronte alla tentazione del dominio, della ricerca del primo posto, dell’esercizio dell’autorità come potere, rende presente il valore evangelico delle relazioni fraterne, orizzontali: “Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo” (Mt 23,8-10). La comunione rappresenta oggi per la Chiesa una sfida particolarmente urgente nel nuovo millennio, in modo che essa diventi casa e scuola di comunione. I fratelli sono abitanti attivi di questa casa e sono allo stesso tempo alunni e maestri in questa scuola; per questo fanno propria l’urgenza che la Chiesa si propone: sostenere e promuovere la spiritualità della comunione» (Documento Identità e Missione del Fratello Religioso nella Chiesa della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica).

Queste parole rappresentano un monito chiaro: la Chiesa ha bisogno di riscoprire il valore autentico della vita religiosa laicale e di promuoverne la vocazione con rinnovato impegno, senza lasciarsi trascinare da smanie di potere o pressioni mediatiche.

Non contentini ma religiosi contenti

Oggi, la decisione di permettere ai Salesiani Coadiutori di assumere ruoli di governo nelle comunità salesiane sembra più una risposta alle recriminazioni di chi si sente emarginato piuttosto che una riflessione profonda sulla crisi della vocazione religiosa. Invece di rafforzare l'identità del Salesiano Coadiutore, si cercano soluzioni che rischiano di snaturare ulteriormente il carisma originario di questa vocazione. Il Documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica sottolinea proprio l'importanza della fraternità religiosa come testimonianza evangelica contro la ricerca del potere. Tuttavia, questa scelta sembra ignorare questa visione, privilegiando scelte che rispondono più a pressioni di varia natura che a una vera valorizzazione della consacrazione religiosa. Il rischio è che, anziché risolvere la crisi vocazionale, si finisca per aggravare la perdita di identità dei Salesiani Coadiutori, allontanandoli sempre più dalla loro missione originaria.

p.L.S.
Silere non possum